di Domenico Massano.
In questo particolare momento storico stiamo, nuovamente, assistendo al diffondersi di un linguaggio violento e di espressioni di odio (nei confronti dei migranti, delle donne, delle persone con disabilità, delle persone lgbtqi, …), che rischiano di alimentare ed essere presupposto di discriminazioni, violazioni dei diritti e vere e proprie aggressioni.
Questi discorsi d’odio o “Hate Speech” sono stati oggetto nel 2015 della Raccomandazione n. 15 dell'Ecri (Commissione Europea contro razzismo e intolleranza): “Si intende per discorso dell’odio il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, …”.
Tra le tante fonti autorevoli che si occupano del tema, Amnesty International, in particolare, è recentemente intervenuta con due pubblicazioni (un “Manuale di formazione” e, riferito ai politici, un “Barometro dell’odio 2018-2019”), finalizzate a contrastare questa preoccupante tendenza sempre più diffusa sui social (ognuno può averne un facile riscontro guardando i commenti ad alcune notizie e/o argomenti di attualità), ma non solo, visto che insulti e minacce (“devi morire, devi bruciare, ti stupro, …”), ultimamente sono anche urlati pubblicamente, nell’apparente immobilismo istituzionale.
Nel manuale di Amnesty si può leggere: “L'hate speech contribuisce a una narrazione che relega all'inferiorità i membri di alcune categorie sociali. In questo modo i discorsi d'odio creano e alimentano condizioni che indeboliscono il valore dei diritti e delle libertà delle persone stigmatizzate, la loro possibilità di vivere senza ostacoli e di difendere i loro interessi civili. L'hate speech attacca i diritti che garantiscono una eguale partecipazione alla vita civile e un dibattito pubblico aperto dove gli interessi di tutti sono presi in considerazione e ciascuno ha una voce che sarà ascoltata”.
Sono evidenti, quindi, le potenziali ricadute negative che i discorsi d'odio possono avere sulla qualità della vita sociale. Amnesty indaga anche le responsabilità della politica nella diffusione e nella legittimazione di tali discorsi da parte dei tanti “odiatori” da tastiera (e non solo): “È vero che i politici di solito non ricorrono agli insulti e all’hate speech propriamente detto, ma il messaggio è lo stesso. L’elemento aggressivo di alcuni messaggi, pur se “confezionato” senza includere insulti veri e propri, tradisce inequivocabilmente sentimenti di disprezzo o di ostilità”.
In tal senso preoccupano molto le dichiarazioni (e le loro potenziali ricadute) dell’Assessore alla cultura del comune di Asti che, riferendosi al Pride che si terrà sabato 6 luglio, ha affermato: “Un corteo violento e indecente”, “è una manifestazione violenta che incita alla violenza”.
Parole pesanti, sia per quello che appare come un uso quantomeno improprio e strumentale del termine “violenza”, sia (e soprattutto) perché sembrano trasudare di quei "sentimenti di disprezzo o di ostilità" che, come evidenziato nel rapporto di Amnesty, rischiano di contribuire alla formazione di un terreno fertile non solo per il moltiplicarsi di messaggi d’odio on line, ma anche per discriminazioni, aggressioni, violazioni dei diritti umani.