Lo hai sentito anche tu? Un rumore sordo, uno schianto. Netto, preciso, senza preavvisi nè echi ritardati. Secco.
Un attimo prima eccolo eretto e maestoso, poi un lampo e già lo vedi - o lo immagini - a terra, proteso verso il grande fiume e con le radici ben solide conficcate nel "suo" terreno.
Non è un uomo. Ma un suo simile.
Un platano.
Sì, un platano.
Proprio lui, proprio quell'esemplare che si dice sia stato capace di nascondere nel suo tronco cavo il serpente dell’Eden e fu per questo dagli Dei punito: la sua corteccia divenne altro, assunse l'aspetto della pelle maculata di quel serpente, ogni anno in metamorfosi.
Il serpente.
Che, in fondo, sappiamo rappresenti l’illusione di poter giudicare le azioni di Dio e sostituirlo alla guida dell’umanità.
Un platano, dunque, custode - così mi piace pensarlo - del bene e del male, vigile discreto della cacciata dal Paradiso. Sotto le sue chiome le tracce indissolubili di molteplici incontri amorosi che, per Socrate, diventarono rinfrescante sede estiva per discettare di vita.
E di amore.
E che dire di Plinio il Vecchio e di Ovidio, che raccontarono quanto il platano fosse tenuto in considerazione dai loro contemporanei, tanto da annaffiarlo con il vino, ritenuto alimento prezioso per lo sviluppo delle sue radici. Plinio scrisse "abbiamo insegnato a bere anche agli alberi", con ironia e malcelate dubbiosità.
Oggi noi non diamo da bere il vino al nostro platano. Non la barbera astigiana, non il moscato.
E neppure l'acqua.
Noi il platano lo vogliamo abbattere.
Perchè crea qualche fastidio a un nuovo cantiere che non ha tempo da perdere in "rammendi gentili": avanti rapidi e lineari, senza tentennamenti nè palpiti. E in più ora si sà che il cantiere prevede il passaggio di una pista ciclabile proprio dove ora sta lui, il platano con le sue radici.
Abbattere.
Per amore, si intende: se vai in bicicletta non inquini e ti senti bene.
Ti senti meglio.
Ti senti.
E se il platano va kaput, tu pedala più veloce. Fino a perdere l'orientamento e non capire più se stai davvero bene o meglio o benissimo. O...
Ma poi frena, di colpo.
Lo hai sentito anche tu? Un rumore sordo, uno schianto. Netto, preciso, senza preavvisi nè echi ritardati. Secco.
Un attimo prima eccolo eretto e maestoso, poi un lampo e già lo vedi - o lo immagini - a terra, proteso verso il grande fiume e con le radici ben solide conficcate nel "suo" terreno.
Non è un uomo. Ma un suo simile.
Un platano.
No, non un platano. Sette platani.
Come un castello di carte, cade il primo platano e cade il secondo, che cade sul terzo, che cade sul quarto, che cade sul quinto, che cade sul sesto, che cade sul settimo.
I platani non hanno sangue. Ma le ruote delle biciclette lasciano una scia rossa che compone una scritta: "davvero ci rendiamo conto?".
Sul primo platano, a terra, i resti di un uomo - o forse una donna - con una sega fumante in mano. Non si taglia il ramo su cui si sta seduti.
Grazie, non ce n'eravamo accorti.
Già...
Alessandro Mortarino