di Marco Aime, Docente di antropologia culturale presso l’università di Genova.
Peter Norman, chi era costui? Chi ricorda quest’uomo? Quasi nessuno, eppure dovremmo ricordarlo e non solo perché vinse la medaglia d’argento sui duecento metri alle Olimpiadi di Città del Messico, ma per ché lui, australiano e bianco, accettò di indossare il simbolo dell’Olympic Project for Human Rights, mentre Smith e Carlos alzavano il pugno guantato di nero, per protestare contro le discriminazioni razziali...
Peter Norman non chiese alla federazione se poteva farlo: lo fece. Perché pensava fosse giusto e il suo gesto è forse meno celebre, ma più profondo di quello di Smith e Carlos, perché fece propria una causa che a lui pareva giusta, anche se non lo toccava in prima persona. Norman pagò caro quel gesto: venne squalificato a vita dal suo Paese, ma fece la cosa giusta.
Nessuno dei nostri calciatori della Nazionale rischierebbe nulla oggi, eppure sembra impossibile che un gesto così semplice, come l’appoggiare un ginocchio a terra, diventi così difficile, crei così tante polemiche (e gaffe!). È troppo facile dire “nessuno di noi è razzista, ma lo esprimiamo in altri modi”.
Sono convinto che nessuno di quei ragazzi sia razzista, ma quel piccolo gesto non esclude “gli altri modi”. E quali sarebbero? In un’epoca mediatica come la nostra i gesti diventano ancora più importanti. Se un ragazzino, appassionato di calcio, vede uno dei suoi idoli farlo, lo farà anche lui, capirà quanto è importante.
Dire che lo faremo per solidarietà con gli avversari è poi ancora peggio. Non credo proprio che i calciatori del Belgio abbiano bisogno della nostra solidarietà: se lo fanno è perché ne sono convinti. Loro, punto e basta. Ricordo un incontro in un liceo insieme a Lilian Thuram: quando un ragazzo gli chiese “secondo lei, quando fischiano un giocatore nero, lui dovrebbe uscire per protesta?”. La risposta fu: “No, devono uscire tutti dal campo, non solo lui”. Perché il razzismo è un problema di tutti noi, non solo di chi lo subisce.
I calciatori sono giovani – ma lo era anche Mohammed Alì e lo erano Smith, Norman e Carlos -, non si deve chiedere loro di essere ciò che non sono, degli sportivi, ma poiché volenti o nolenti sono dei punti di riferimento per molti, dovrebbero comprendere l’importanza dei loro gesti. Se è vero che il calcio è un importante fenomeno sociale, allora i calciatori devono avere coscienza dell’importanza del loro ruolo sociale. Trovo idiota l’idea di imporre di inginocchiarsi: una cosa dall’alto non ha senso se non è sentita. Troverei preoccupante se la cosa non fosse sentita.
Ps. Il primato nazionale australiano sui duecento metri, dopo 53 anni, è ancora di Peter Norman: 20,6.
Tratto da: https://comune-info.net/appoggiare-un-ginocchio-a-terra/