Quella che segue è un’opinione, una personale riflessione che l’Autore ha pensato di offrirci e che contiene alcuni elementi su cui provare ad effettuare una ricognizione sullo stato di salute delle forze di sinistra, a livello sia nazionale e sia europeo. Ci sono alcuni dati di base e parecchie posizioni personali.
E’ un contributo che proponiamo per un possibile dibattito collettivo e non per polemiche individuali …
Come mai nell’attuale crisi le sinistra europea non trae vantaggi politici ?
Il socialismo in Inghilterra è morto nel 1983. La sua dipartita si può datare con il Manifesto elettorale del Partito Laburista di quell’anno, definito “la più lunga nota di suicidio della storia”. Quello sciagurato documento combinava ideologie di rara purezza (includeva la creazione di un Ministero per la Pianificazione, il ritiro dalla Comunità Europea, dei severi controlli sui tassi di cambio per bloccare l’esodo di capitali e il disarmo nucleare unilaterale), con un totale disprezzo per quello che gli elettori veramente volevano.
Oggi si pongono domande sulla salute della sinistra europea visto che l’attuale crisi, con tutto il suo orrore e profondità, non avvantaggia neppure i “duri e puri” dei vecchi partiti socialisti e comunisti europei. Questo meraviglia non pochi. In fondo questa crisi ha dimostrato quello che le sinistre predicavano da Marx in poi, e cioè che le leggi del mercato, specie secondo l’odiata scuola anglosassone, erano delle eresie e che lo Stato doveva provvedere al benessere di tutti. Da ogni parte vediamo ex superbi banchieri, un tempo arroganti capitalisti industriali, ex spocchiosi docenti di dottrine della destra più sfrenata, che vanno con il cappello in mano a chiedere l’elemosina allo Stato per non soccombere e non far soccombere la società che ha respinto e relegato in soffitta le regole più selvagge del cosiddetto mercato.
Malgrado questo (non più di dieci anni fa una situazione simile avrebbe fatto vincere le sinistre in qualsiasi elezione), i partiti della sinistra non traggono vantaggi né elettorali né politici.
Il quotidiano francese Libèration, sempre a sinistra della sinistra, non accetta il termine “paradosso” e parla di “tradimento” e di “ingiustizia”.
Per avere qualche indizio di ciò che sta capitando, vale considerare il manifesto adottato all’inizio del corrente mese dai partiti di centro sinistra, per le elezioni del Parlamento europeo della prossima primavera. E’ un documento che tira parecchi pugni, accusando in generale i partiti conservatori delle destre di “fede cieca nei mercati”. Sotto l’egida del PSE (Partito Socialista Europeo), la sinistra chiede nuove “regole”, per eliminare sul nascere “rischi eccessivi, specie sull’ammontare dell’indebitamento” (mancano tuttavia spiegazioni sul come definire e quantificare in anticipo in rischi eccessivi: molte Banche pagherebbero per saperlo).
Nel manifesto del PSE c’è un leit–motiv, che offre di allontanare le economie dai mercati “senza regole” avvicinandole alla saggezza intrinseca delle Pubbliche autorità. E qui si trova il vero problema delle sinistre: il contrasto non più fra mercato e Stato: ogni economia dove più dove meno ha sempre avuto un mix di entrambi, e “il rischio eccessivo” dell’attuale crisi era sotto gli occhi di tutti ed era l’impossibilità politica - da parte di tutti - di far crollare l’economia americana prima che scoppiasse come ha fatto. No: il vero problema delle sinistre è di come comportarsi di fronte alla globalizzazione, e cioè di come reagire al “mercato di fatto”, e cioè alla competizione di Paesi diversi.
Da questo punto di vista il manifesto del PSE è così nebbioso che di più non si può. Di fatto, si può definire “la più lunga lettera di dimissioni della storia politica mondiale.
Il vero “mercato di fatto”: un Paese contro l’altro.
Di mano in mano che ogni economia europea va in recessione, la paura - e la rabbia - dei lavoratori è di perdere il posto a favore di gente pagata meno di loro. Il manifesto del PSE “danza” su questo problema, parlando di “gestire” la globalizzazione a favore di tutti e usare la combinazione della ricchezza europea e delle sue dimensioni per difendere il mercato del lavoro e “gli alti standards sociali” dell’Europa. Ma non fa cenno su come fermare la chiusura di fabbriche, i licenziamenti e le riduzioni di personale. Di fatto, il manifesto del PSE sulla protezione del lavoro mantiene un silenzio assordante.
E questo silenzio ha due spiegazioni:
- Primo: i partiti europei di centro sinistra sono divisi su cosa è meglio o più opportuno fare per proteggere il lavoro. Poco tempo fa, ad una riunione a Madrid per le definizione del Manifesto, alcuni partiti dei Paesi dell’Europa Occidentale, tra cui l’Inghilterra, volevano includere dei concetti di limitazione del libero movimento di lavoratori all’interno della Comunità. Però i rappresentanti di Paesi dell’Est, come Lituania, Ungheria e Polonia hanno respinto queste idee, insistendo che “il libero movimento dei lavoratori è una delle cose migliori della Comunità Europea”. Alla fine, l’accordo sul cosa dire è stato un frasario pasticciato e quasi incomprensibile che auspica che standard sociali ridotti e bassi salari “non dovrebbero dare a nessun paese dei vantaggi competitivi a spese dei lavoratori”.
- Secondo, ogni sforzo di frenare o contenere gli effetti della globalizzazione è fatalmente destinato a durare poco: in Inghilterra e nei Paesi Nordici, i partiti di centro sinistra hanno rinunciato a proteggere i posti di lavoro esistenti cercando di proteggere invece i lavoratori, attraverso ad esempio programmi di ri-addestramento. Ma da molte parti si percorre il vecchio socialismo classico: in Francia si chiede una legge che vieti di licenziare ad aziende che fanno profitti. Il Portogallo, che ha un Governo di Centro sinistra, sta discutendo un piano per pagare i salari del settore auto fino ad un anno, in caso di fermata delle linee di produzione. E i lavoratori Europei, a livello di bocca dello stomaco, sono ben consci della breve durata delle misure palliative e temporanee: prova ne sia la bocciatura delle sinistre estreme in Italia alle elezioni di neppure un anno fa. Quando una fabbrica chiude o annuncia la chiusura, i lavoratori possono fare dimostrazioni e cortei, e possono anche far due chiacchiere con i rappresentanti politici e sindacali che si uniscono a loro con bandiere e striscioni: ma sanno che le fabbriche chiuderanno comunque.
Maledizione, è il modello sociale europeo che rischia di crollare.
Il trofeo più splendente e più alto della sinistra europea è stato ed è, giustamente, “il modello sociale”, un intreccio di leggi sul lavoro e sul welfare che ha offerto negli anni “un alto grado di protezione sociale”. Si è detto da molti anni che se gli operai americani lo avessero potuto capire veramente, a cominciare dai Servizi Sanitari Nazionali, sarebbero emigrati in Europa “en masse”.
Questo modello è emerso dal boom del dopoguerra, quando gli standard di vita si alzarono in tutta Europa. Un Professore di Università inglese che vive però a New York , Toni Judt, ne ha dato una storia molto bella e interessante in un suo recente libro: “Dopoguerra”.
La cause furono molte: i dazi doganali furono abbattuti, nascevano moltissimi bambini (i baby boomers), l’energia costava pochissimo e l’Europa aveva molta strada da fare sulla via del benessere e dello standard di vita: in Italia, nel 1957 - anno di laurea di chi scrive - solo il 2% della case aveva il frigorifero: nel 1974 si era giunti al 94%, rivoluzionando lo stile di vita attraverso l’industria alimentare.
Grazie al Comunismo, alla Cortina di Ferro e al Muro di Berlino (ma guarda un po’ chi e cosa ci tocca di andare a ringraziare !), il modello sociale europeo non aveva concorrenza. I lavoratori tedeschi non avevano nulla da temere, neppure dai loro colleghi della Germania dell’Est: non si parlava dei lavoratori asiatici, stretti nella morsa ipercomunista di Mao e dei suoi seguaci e tutto andava benissimo. E pensare che il Presidente Reagan, che più di destra non si può ed ex attore di serie B di Hollywood, li chiamava “l’Impero del male”. Bah, ci sono i George W. Bush e ci sono i Reagan. Da noi solo il vecchio Andreotti aveva capito quale era la posta in gioco: poco prima del crollo del Muro di Berlino, a chi gli chiedeva se amava la Germania, rispondeva di esserne tanto innamorato da volerne sempre non una ma due. Già.
Nel 1960 c’erano nel mondo industriale mondiale circa 1,5 miliardi di lavoratori manifatturieri. Trent’anni dopo, con l’ingresso di Cina, India, e l’ex blocco sovietico nell’economia mondiale, diventarono 3,0 miliardi, con i nuovi arrivati pagati poco o pochissimo. E’ stato un “grande raddoppio”, e le conseguenze per noi non potranno che essere di un progressivo impoverimento.
Mai più, infatti, i lavoratori Europei vivranno e opereranno con la poca concorrenza che hanno avuto ai tempi della guerra fredda. I politici europei onesti e intelligenti - ce ne sono ancora, pare - lo sanno e lo sa anche la maggioranza dei lavoratori. Ed ecco perché i sindacati stanno perdendo iscritti: per loro colpe sono diventati inutili. Ed ecco perché, nella sinistra anche estrema sanno che non potranno invertire il cammino della globalizzazione, e preferiscono invece, “pour la galerie” buttare la colpa sui mercati non abbastanza regolamentati. Ma lo stesso Presidente Francese Sarkozy, rigorosamente di destra, ha vituperato e vitupera i mercati, quindi non è questa una strada che la sinistra può percorrere come linea politica, a parte il fatto che dopo decenni di comoda e ben pagata ideologia, non hanno né cultura né preparazione né uomini per poterlo fare in modo credibile.
Ma se la sinistra non saprà essere più precisa, propositiva e aperta sul problema della globalizzazione, e continuerà e parlare con le parole ed i criteri del XX° secolo, allora in Europa è morta, e con essa, purtroppo, il modello sociale Europeo che aveva contribuito a costruire. Serviranno altre forze o forze rinnovate (come si sta provando a fare a Torino, ad esempio) ma non si trovano nella sinistra, come la vediamo non agire e non ragionare oggigiorno.