C’è un diritto a cui tutti noi siamo abituati a pensare senza rilevarlo come tale, perché lo consideriamo talmente scontato da non farci caso. Ma, quando cominciano ad insorgere dei problemi, tutto diventa difficile, in salita e improvvisamente capiamo che ciò che ci pareva così intimamente unito alla nostra esistenza da essere una sola cosa con noi, può venirci strappato. Il diritto di cui stiamo parlando è quello a vivere nella propria abitazione, nel proprio ambiente, tra gli orizzonti che amiamo: è il diritto a riconoscersi ed espandersi in tutta quella sfera fisica e affettiva che è l’ampliamento e l’habitat di ognuno ...
Vivere nella propria casa, tra oggetti, luci e profumi rassicuranti, affacciarsi alla finestra e riconoscere un determinato paesaggio, percorrere intorno a sé strade conosciute e incontrare persone familiari, vuol dire rinnovare la propria fiducia nel quotidiano, trovare rassicurazione, avere il desiderio di continuare e sapere di potercela fare.
Nel linguaggio delle scienze sociali, questo concetto si chiama “domiciliarità” e a Torre Pellice, ha sede un’associazione di nome “La bottega del possibile”, di cui è fondatrice e presidente Mariena Scassellati Sforzolini Galetti, assistente sociale “storica”, che lavora e si batte perché la domiciliarità diventi reale per tutti, rifacendosi anche all’art. 3 della Costituzione italiana in cui si dice che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
“La bottega del possibile” è nata per far si che coloro nella cui esistenza interviene una fragilità, trovino le condizioni per poter continuare a vivere nella propria casa e sul proprio territorio.
I soggetti a cui subito corre la mente sono gli anziani, i disabili, i minori che non possono vivere con la famiglia di origine: è a tutti questi casi che l’associazione pensa e alla formazione dei professionisti che ne devono agevolare l’esistenza, cioè gli OSS, Operatori Socio Sanitari.
Spesso si è portati a pensare a queste figure come a personale di basso livello professionale, a cui possa essere sufficiente un livello di preparazione di base, ma è uno sbaglio perché sono proprio loro le persone che devono saper far fiorire ed applicare quel concetto di vicinanza (in francese proximitée, a segnalare l’idea delicata e profonda che è celata dietro questo termine) e di tutela della persona che è alla base di un rapporto di fiducia tra coloro che vengono aiutati in una situazione divenuta problematica e chi aiuta, fornito di doti umane, ma anche di competenze sicure.
Agli OSS, ma anche agli educatori e, in generale, a tutti gli operatori del sociale, “La bottega del possibile” dedica seminari, testi scritti, video e altri strumenti formativi di alto livello, come testimoniano i progetti portati avanti in questi anni dall’associazione (il “Progetto Rondine”, per fare un esempio, che ha riportato a casa, in varie zone del Piemonte, ben ottanta anziani dalle strutture in cui erano ospitati) e le collaborazioni richieste alla “Bottega” da parecchie USL, da altre regioni come il Veneto, l’Umbria e l’Emilia Romagna e da nazioni straniere, come il Brasile, dove Mariena Scassellati si recherà a breve.
Ed è agli operatori e agli studenti di scienze sociali che la biblioteca del Centro culturale san Secondo di Asti, dove Mariena è stata ospite martedì 20 gennaio, ha voluto dedicare uno spazio con “L’angolo della domiciliarità”, uno scaffale, primo di una serie che si vuole creare presso altre biblioteche, con testi consultabili, materiali in distribuzione e volumi che è possibile acquistare. Tra essi, l’ultima pubblicazione della Bottega del possibile: “Le parole dell’OSS”, un vero e proprio dizionario di mille termini sostanziali nell’attività di chiunque si occupi di sociale, nato con l’intento di chiarire dubbi, ma anche di creare un linguaggio comune tra le varie figure che operano nel settore e che sempre più dovrebbero essere educate ad una cultura globale del sociale, ad un confronto costruttivo e sinergico, come globale e sinergica, tessuto di mille fattori intersecati, è l’esistenza delle persone.
Ma “L’angolo della domiciliarità”, è rivolto anche a tutti i cittadini che vogliano informarsi ed essere più consapevoli d’un loro diritto perché, se lo si pensa bene, il discorso è ben più esteso rispetto ai casi che abbiamo preso in considerazione fin ora.
In un momento in cui si tenta di salvaguardare il territorio rurale dal degrado e dallo spopolamento, chiunque voglia continuare a vivere in zone isolate, montagnose o collinari in particolare, si trova ad esempio, prima o poi, a doversi battere per il diritto alla propria domiciliarità e per ottenere le condizioni che gli permettano di continuare ad abitare nel luogo che ha eletto ad accogliere la sua esistenza.
Le recenti grandi nevicate ce lo hanno ricordato: basta una stagione in cui la natura decida di impegnarsi particolarmente per metterci in difficoltà e rivelarci tutta la nostra fragilità e il nostro limite, anche se siamo in buona salute e normodotati.
Realizzare il diritto alla domiciliarità, significa quindi prendere coscienza che ad ognuno di noi serve, per condurre una vita desiderabile e di buona qualità, partecipare ed essere al centro di una rete di rapporti e di mutuo aiuto in cui si trova considerazione e solidarietà nel momento in cui gli altri diventano a loro volta soggetto della nostra considerazione: importanti con le loro storie, i loro desideri e bisogni, le loro capacità. E per altri s’intendono ovviamente le persone, ma anche la nicchia ecologica in cui ci troviamo ad agire e che è nostra responsabilità salvaguardare e far vivere in salute e serenità, nella sua composita biodiversità.
Anche nelle città il problema si ripropone: buon esempio di diritto alla domiciliarità realizzato sono i “Condomini solidali”, in cui persone e famiglie decidono di vivere all’interno di uno stabile in un patto di mutuo aiuto e arricchimento reciproco.
A Torino, a partire dal settembre 2007, è stato avviato un esempio di condominio solidale nelle case popolari di via Romolo Gessi, quartiere Santa Rita, dove trenta alloggi dello stesso stabile ristrutturato, sono stati assegnati in parte ad anziani ed in parte a mamme sole con figli, con l’intento di creare un rapporto intergenerazionale di aiuto e arricchimento reciproco e con lo scopo di recuperare da una fascia a rischio sociale le persone coinvolte nel progetto.
Insomma: fondamentale, in un’epoca di crisi e trasformazione economica e sociale di cui non intravediamo ancora i risultati, è come sempre far riemergere la consapevolezza e la grande capacità creativa e taumaturgica delle risorse umane, nostro primo ed essenziale strumento per conoscere e trasformare la realtà in qualcosa di più buono e bello rispetto a quanto vorrebbero spacciarci per certo: perché tutti siamo fragili, tutti invecchiamo, tutti siamo vivi e tutti possiamo pensare e realizzare una società più adatta a tutti.
“L’Angolo della domiciliarità” è aperto, presso la Biblioteca del Centro culturale san Secondo, via Carducci 24, Asti, dal lunedì al venerdì, dalle 15.00 alle 19.00.
Su prenotazione (0141354030), anche in altri orari, per persone o gruppi di studenti.