di Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale del Sindacato Fillea Cgil.
Tra le tante emergenze della società italiana, sembra che non vi sia spazio per quella dell’offerta abitativa pubblica. Le statistiche ci dicono che un’alta percentuale d’italiani (famiglie o single) possiede almeno una casa di proprietà e che un numero notevole di essi possiede anche la seconda casa. Al rilevante patrimonio privato si deve aggiungere un patrimonio pubblico che, pur essendosi assottigliato negli anni, si aggira intorno ad 800 mila unità abitative. E un notevole patrimonio di unità abitative private invendute, abbandonate, degradate o ubicate in luoghi dove la domanda è quasi inesistente ...
Le periferie di pasoliniana memoria
Nonostante questo e a dispetto di un immenso patrimonio abitativo pubblico e privato, come mai si continuano a dare autorizzazioni a costruire? Come mai non vi sono abitazioni proporzionate ai redditi dei normali lavoratori dipendenti ? Come mai le abitazioni costruite negli ultimi 20/30 anni si trovano in luoghi mal serviti sia dai sistemi pubblici di mobilità (metrò, treni locali, bus, etc.) sia da quelli privati (auto, piste ciclabili, taxi, etc.)? Come mai sono in tanti a sostenere che ci troviamo alla riproposizione delle periferie di pasoliniana memoria ?
Queste considerazioni e queste domande, che abbiamo sviluppato in iniziative specifiche, ci hanno fatto maturare le scelte che esporrò tra poco. Il modello di sviluppo, ma forse è più corretto parlare di “modello di arricchimento”, che si è affermato sull’azione di precisi interessi politico-affaristici e in alcuni casi anche mafiosi, ha fatto apparire il costruire, o il “cementificare”, come una pratica inarrestabile portatrice di ricchezza e lavoro e che ha impinguato le casse degli Enti Locali. Esso, ai primi segnali di crisi ha dimostrato tutta la sua debolezza. Come succede in alcune opere pubbliche, era basato su pilastri di sabbia ed è crollato miseramente.
Per i prossimi dieci anni “zero nuove abitazioni”
Questo “modello di arricchimento” oggi ci consegna un settore che può benissimo prevedere “zero nuove abitazioni” almeno per i prossimi dieci anni. Non ci sono comuni piccoli, medi, grandi o aree metropolitane che non si trovi nella condizione di prevedere questo obbiettivo. E’ opportuno associare la necessità di “zero nuove abitazioni” con la necessità di contribuire ad un notevole decremento degli indici di impermeabilizzazione del suolo.
Queste sono scelte che oggi le amministrazioni pubbliche possono già assumere senza che necessiti una nuova legislazione. Non serve essere “virtuosi” nelle fonti energetiche se in contemporanea non si producono atti formali che vietano di cementificare il territorio.
Servono atti concreti per alimentare il patrimonio pubblico
La Fillea ritiene che il Pubblico (Stato, Regioni, Province e Comuni) debba, senza tentennamenti e ambiguità, ricominciare ad alimentare “il patrimonio pubblico abitativo” producendo atti concreti verso:
- La ristrutturazione/ricostruzione dell’attuale patrimonio;
- L’acquisto, e non la costruzione ex novo, di nuovi appartamenti già presenti sul mercato e allocati in zone urbane non periferiche;
- Utilizzo commerciale, in affiancamento all’Amministratore Giudiziario, degli immobili sequestrati o confiscati alla criminalità e alle mafie;
- Realizzazione di eventuali nuovi alloggi esclusivamente in aree già impermeabilizzate.
Stop alla infruttuosa vendita di abitazioni pubbliche
Questi atti contemplano anche il definitivo abbandono dell’infruttuosa fase di vendita delle abitazioni pubbliche. Queste tre proposte non richiedono una nuova legislazione. La nuova legislazione di cui bisogna l’Italia, e di cui hanno bisogno ordinariamente almeno due o tre milioni di Italiani, deve rispondere all’esigenza culturale, economica e sociale di avere uno stock di abitazioni, rispettosi delle compatibilità ambientali ed energetici, da utilizzare in affitti popolari solo momentaneamente e per periodi di vita legati a condizioni precise, come lo studio, il lavoro, la riduzione o l’aumento del nucleo familiare.
Per la Fillea è decisivo contribuire a far uscire il Paese e la filiera da questa lunga crisi strutturale con una proposta, che ha già visto momenti di mobilitazione delle categorie, che metta al centro la fase di ristrutturazione ordinaria e straordinaria dell’attuale patrimonio pubblico e privato.
Dato che il privato si può “orientare” azzerando le nuove concessioni edilizie (compreso quelle già rilasciate), il Pubblico si deve “auto-orientare” investendo sull’esistente e sul costruito.
Gli effetti catastrofici del “modello di arricchimento”
Siamo consapevoli che è più semplice dirlo che farlo. Gli effetti catastrofici del precedente “modello di arricchimento” che ha prodotto dal 2008 a oggi la perdita di oltre 400.000 posti di lavoro ci chiama a non essere né tattici, né a usare guanti bianchi.
La Fillea ritiene che necessiti una nuova fase di ricostruzione e ristrutturazione in grado di dare una prospettiva credibile ai lavoratori e al sistema delle imprese. Ciò, a nostro avviso, si realizza attraverso una nuova stagione di Edilizia Residenziale Pubblica, ma forse è meglio dire – senza giri di parole – una nuova stagione di case popolari moderne ed energeticamente ecocompatibili, per gli italiani che hanno redditi da lavoratori dipendenti, pensionati, precari o partite IVA.
Questa sfida, per i lavoratori rappresenta la necessità di avere una filiera delle costruzioni in grado di essere un settore al quale affidare la propria realizzazione economica e occupazionale, e per le imprese, invece, rappresenta la necessità di affermare una profonda svolta che le faccia diventare non più soggetti della speculazione, delle mafie, della cementificazione, dei professionisti d’assalto e con pochi lavoratori dipendenti nei loro organici aziendali e con tanti sub-appalti e sub, sub tutto.
Pertanto, rilanciare l’offerta non è uno slogan senza “odore”. Va rilanciata un’offerta virtuosa e popolare, contrastando in tutto il paese quella speculativa, cementificatoria e criminale. Sono in tanti a confermare che questa attività, al netto della fallimentare attività del social housing in salsa italiana, continua a essere una delle poche leve che dà una spinta agli investimenti reali.
Risorse finalizzate alle case popolari ferme alla Cassa depositi e prestiti
Utilizzo immediato delle risorse finalizzate alle Case popolari e inspiegabilmente ferme presso la Cassa Depositi e Prestiti, e nuova finalizzazione delle risorse comunitarie e nazionali rappresentano una discontinuità con un passato che ha rappresentato una forte negatività per la filiera delle costruzioni, per il sistema Paese, per il territorio e per i lavoratori edili.