C'è un paesaggio anche in città

Imagedi Guido Bonino.

Mentre da più parti ci si interroga sullo sviluppo turistico cui è vocato il territorio astigiano e si lanciano proposte invocando il suo riconoscimento da parte dell'Unesco, le varie Pro loco lavorano a pieno ritmo per cercare di portare sulle colline astigiane i visitatori del fine settimana. Accanto agli stand enogastronomici, conditi sovente da serate musicali, si alternano musiche classiche nelle prestigiose chiese romaniche che pullulano nel nostro territorio, testimoniandone non solo le tradizioni storiche, ma facendone conoscere anche beni culturali sovente sopiti nel tempo, o sconosciuti ai più ...

Accanto a tali e tante iniziative che animano l'estate dei nostri grandi o piccoli nuclei, voglio rilevare come ben poco venga fatto, in molti di questi, per adeguare l'offerta dei territori e delle scenografie urbane che ospitano non solo le manifestazioni, ma gli stessi turisti.

Mentre sovente si discute di paesaggio quale bene di tutti, raramente viene presa in considerazione la qualità dei contesti urbani - concentrici come frazioni - che costituiscono l'ambito in cui vivono ed operano quotidianamente i suoi abitanti, e che viene offerto ai suoi visitatori in occasione della promozione degli stessi.

Accanto a località che paiono più vivaci, con edifici ristrutturati e colorati (ricordiamo l'effetto benefico dato dalla percezione del colore sulla psiche umana) quali San Damiano, Canelli, Montiglio, Cocconato, Castelnuovo Don Bosco, tanto per spaziare nella provincia e toccare quelli che presentano zone già oggetto di svariate operazioni di recupero, ne annoveriamo altre ove dominano intonaci ingrigiti dal tempo, murature e finizioni ammalorate dalle intemperie, costruzioni che, anche se degli anni '70 e oltre, sono state lasciate con intonaci rustici mai tinteggiati.

Probabilmente non solo l'età della popolazione ivi residente, ma soprattutto lo scarso utilizzo di tante costruzioni da parte dei loro proprietari: perché emigrati nelle grandi città, od ancora spezzettate da successioni e divisioni varie, contribuiscono a dare un'immagine non solo di abbandono del luogo, ma anche e soprattutto di tristezza, che non invoglia di certo coloro che vi transitano a frequentare quei contesti, anche solo per una vacanza, o per un fine settimana, limitando pertanto le presenze al «mangia e fuggi».

E così, in luogo dei concentrici tipici che potrebbero svilupparsi ed annoverare presenze di visitatori non solo in occasione delle feste locali, ma anche far prosperare attività ad esse collegate: da quelle commerciali alla ristorazione, dalle produzioni enologiche all’artigianato, si insediano centri commerciali che con i loro colori, insegne e musica, soffocano le poche realtà locali ancora esistenti.

Proposte quali l’«Agrivillage», dimostrano chiaramente che non solo è in crisi la diffusione, ma anche l'esistenza del tipico quale prodotto locale, gestito e venduto in un territorio che lo rappresenta ed ha quale peculiarità da sempre una sua mirabile miscela di sapori, profumi, colori, cultura e tradizioni. Quando anche le piccole realtà locali saranno cadute sotto l'aggressione di fasulle strutture in cartongesso - ricostruzione ora di borghi tipici ora di villaggi rurali - vittime non già delle iniziative che vengono calate sul territorio dall'esterno, ma dell'assoluta mancanza di iniziative tra gli stessi operatori locali che non osano andare oltre i campanilismi delle proloco o simili, il nostro territorio avrà perso non solo l'identità quale «genius loci», ma anche la sua autonomia economica.

Le Sagre di settembre rappresentano oggi una tangibile e inequivocabile dimostrazione della forza che può rappresentare l’unione tra le diverse realtà presenti sul territorio, quando le stesse operano in sinergia tra loro, riuscendo cioè a produrre non solo turismo, ma anche servizi e forza d'attrazione atti a valorizzare e far vivere quel «tipico» che altri vogliono oggi scippare ai nostri concentrici grandi o piccoli che siano.

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