Centrali elettriche a biomasse: utili o dannose ?

Imagedi Giuseppe Ratti.
Se disponiamo di combustibile fossile (ad esempio gasolio) e di biomassa (legno, mais o altro) e vogliamo ricavarne calore per riscaldamento ed elettricità, c’è una regola da seguire per risparmiare energia ed inquinare di meno ? C’è, ed è questa: usare la biomassa per il calore ed il combustibile fossile per l’elettricità. Pochi numeri per capirlo: 1 Kg di gasolio e 2,5 Kg di legna sviluppano la stessa quantità di calore, con la stessa quantità di CO2, sono cioè termicamente equivalenti; ma se il calore è convertito in elettricità, da 1 Kg di gasolio si ottengono oltre 4 kWh elettrici, da 2,5 Kg di legna a malapena 2 kWh; la differenza deriva dalla diversa temperatura di combustione di legna e gasolio. Quindi, se usiamo la legna per l’elettricità consumiamo ed inquiniamo più del doppio ...

L’uso elettrico delle biomasse è cioè irrazionale ed ingiustificabile; né può giustificarlo la presunta rinnovabilità delle biomasse, in quanto questa c’è per qualunque uso delle biomasse stesse. Ne consegue che le centrali elettriche a biomasse (termiche o a biogas) sono impianti intrinsecamente inefficienti, con un rendimento energetico molto basso e molto inquinanti; più dannose che utili.

Ma c’è un’obiezione: in centrale – dicono i sostenitori – abbiamo anche una gran quantità di calore residuo, che può essere recuperato per usi termici; il rendimento in energia utile (elettrica + termica) aumenta e, con un buon recupero, l’impianto ridiventa vantaggioso e competitivo. Purtroppo il recupero del calore è facile a dire, difficile a fare: perché il calore non può essere conservato (come legna e gasolio), né portato lontano; va usato sul posto, e subito, dove e quando spesso non serve; in più, se il calore residuo costa poco, anzi nulla, così non è per il suo recupero. Di calore residuo ce n’è ovunque ci sia un impianto industriale o un motore a combustione, è tutto recuperabile, ma quanto è recuperato ?

Perché allora da un paio d’anni c’è tanto interesse per queste centrali, che prima erano quasi ignorate, ed i progetti si moltiplicano come se le biomasse fossero illimitate ? Solo perché ci sono ora allettanti incentivi statali per le fonti energetiche rinnovabili, tra cui le biomasse. Anche qui qualche numero: 1 Kg di mais vale oggi sul mercato alimentare 0.13 €; convertito in 1 kWh elettrico varrebbe 0.08 € sul mercato normale, ma su quello delle bioenergie, invece, arriva a valere 0.28 €, grazie agli incentivi.

A queste condizioni è chiara la destinazione di quel mais e la necessità di una centrale per riceverlo. Per avere 1 kWh verde da 0.28 € conviene addirittura spendere non solo 1 Kg di mais alimentare, ma anche, in più, 1 kWh normale ricavato da combustibili fossili. Il bilancio energetico (tra energia ottenuta e quella spesa) ed il bilancio della CO2 (tra CO2 immessa nell’atmosfera e quella sottratta) possono diventare negativi; quello finanziario, mai. Un’assurdità!

Che dire allora di questi incentivi ? Il loro obiettivo di favorire il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili va condiviso e difeso; sennonché gli incentivi sono commisurati ai kWh elettrici prodotti e questo criterio – valido per gli impianti eolici, fotovoltaici, idraulici – è inadeguato e controproducente nel caso delle biomasse. Perché le biomasse non sono solo energia grezza trasformabile in elettricità, come quella del vento, ma sono la totalità delle sostanze vegetali, con infiniti usi e funzioni, sempre con ricadute energetiche ed ambientali.

Tra tutti gli usi possibili, gli incentivi premiano solo la produzione di elettricità, l’uso forse peggiore. Questo è il loro difetto. Quanta più possibile biomassa sarà così convogliata verso centrali elettriche, sottraendola agli altri usi e destabilizzandoli. Per un pugno di elettricità, di cui si ignora la destinazione, sarà conveniente bruciare granaglie, foreste, tutto. Come chiamare tutto questo ?
Sull’intera questione “biomasse”, centrali ed incentivi compresi, pesa ancora un dubbio: in che misura la biomassa sia rinnovabile, se si tiene conto anche del terreno, che contribuisce al rinnovamento con la sua non illimitata fertilità. Il ruolo del terreno vien sempre ignorato.

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