Il dibattito apertosi in merito all’insediamento “Agrivillage” che si vorrebbe far sorgere in quel della Val Rilate, ha richiamato alla mia mente uno studio che, unitamente ai colleghi Lucia Viarengo e Stefano Rossi, presentammo in occasione del ventennale dell’Ordine Architetti di Asti nel 1995 ...
Essendo la rassegna – che si tenne nell’allora ristrutturando teatro Alfieri – a tema libero, scegliemmo quale fulcro del nostro lavoro il riuso della “fabrica d’j brichet”, che a quell’epoca occupava l’area che ha quale delimitazione il corso Torino, il corso Ivrea e la ferrovia. Sulla base dello studio, puramente utopistico e scevro da qualsivoglia interesse di parte (come era il presupposto a base della rassegna: l’architetto libero dai vincoli generalmente imposti dalle committenze – private come pubbliche) ipotizzammo per gli immobili, e la relativa area libera, il recupero a fini espositivi, promozione prodotti ed artigianato locale, fiere e convention.
Ciò non solo al fine del solo riuso di quegli edifici, simboli e memoria della storia della Città, ma anche e soprattutto in ragione della strategica posizione del complesso: testimonianza in evidenza all’ingresso della città, ed altrettanto comoda allo svincolo autostradale non solo nella direzione est-ovest, ma anche dell’ipotizzanda Asti-Cuneo.
Ma si sa: alcune operazioni immobiliari non sono mosse dagli interessi della collettività, quanto da quelli di pochi. E così, mentre da un lato ci si era ormai impantanati con la struttura espositiva dell’ex vetreria, nell’angusto corso Felice Cavallotti (date le dimensioni sarebbe più esatti “via” – vedasi a raffronto “corso Europa” ad Alba) nell’intento di farvi nascere un polo fieristico, contemporaneamente si dava il beneplacito alla demolizione dei fabbricati dell’ex Saffa.
Risultato: uno scampolo residuo di azienda vetraria delegato ad improponibile sede di Fiera Regionale da una parte, ed un residuo ritaglio di fabbrica (praticamente il frontone centrale su corso Ivrea) con retrostante ipermercato dall’altra.
Contrabbandando con il binomio memoria – conservazione le cospicue demolizioni e le relative nuove edificazioni abbiamo assistito non solo allo stravolgimento degli spazi e dei volumi, ma anche all’eliminazione e/o riduzione a semplici icone delle architetture originarie delle epoche industriali in cui si erano sviluppate. Per contro al loro posto, ed in nome della funzionalità alla nuova funzione, si sono prodotti in entrambi gli ambiti immobili alquanto dissonanti se paragonati ai originari: sia per tipologia, che per forma e dimensioni.
Effettuati così, sul nostro territorio e sul patrimonio edilizio esistente quelli che più che interventi di cuci-scuci e riqualificazione, hanno assunto l’effetto di arroganti intromissioni, giunge ora, con tanto di premio in nome della valorizzazione dei prodotti locali, una nuova iniziativa che si appresta a portarci via – questa volta – uno spazio attualmente verde, per creare – ma guarda un po’ – ciò che già avevamo, ma che non abbiamo saputo, e forse nemmeno voluto tutelare.
Il tutto a favore di coloro che, affacciandosi di volta in volta nella realtà astigiana, se ne impadroniscono: lasciando poi alcuni più ricchi da una parte, ma la città molto più povera dall’altra ! …