5G: prima assicuriamo la salute delle persone

di Alessandro Mortarino.

Si allarga, finalmente, il dibattito attorno allo sviluppo del 5G, il nuovo standard per la comunicazione mobile che renderà più veloce di 100/1000 volte la connessione rispetto agli attuali sistemi. Fino ad oggi si è collegato il rischio possibile generato dal 5G rispetto alla sicurezza e protezione dei dati e ben poco alla salute umana, ma qualcosa di sta muovendo in tutta Italia e anche in Piemonte. Dove Franca Biglio (Sindaco di Marsaglia, nell'Alta Langa, e anche presidente dell'Associazione dei Piccoli Comuni d'Italia) ha preso posizione chiedendo ad AGCOM, Ministeri e Prefetto le motivazioni per cui tutti i 120 Comuni scelti come sperimentatori (nel senso di "cavie") della nuova tecnologia non siano stati coinvolti nella decisione e neppure informati della scelta e formalizzando la richiesta di ricevere informazioni scientifiche che attestino la totale assenza di rischi per la popolazione. Mentre a Cocconato (Asti) un convegno - con Relatori esperti di primaria rilevanza nazionale - fa il punto della situazione e solleva perplessità e quesiti importanti...

L'incontro si è tenuto lo scorso 10 luglio e sorprende il fatto che Cocconato non rientri nell'elenco degli ormai famigerati 120 Comuni che fungeranno da cavie per il 5G. Ma il neo Sindaco, Umberto Fasoglio, è un dottore in farmacia ed è anche un giovane (under 30): la sua giusta sensibilità ci pare uno stimolo per tutti gli amministratori che, ci auguriamo, lo vorranno seguire. Essere informati è un diritto.

L'approfondito incontro si è aperto con l'intervento dell'Ing. Daniele Trinchero, Professore presso il Dipartimento di Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni del Politecnico di Torino e anche "padre" del progetto di rete wifi pubblica "Senza fili senza confini". Con grande capacità, Trinchero ha sintetizzato l'evoluzione dalla prima alla quinta generazione degli standard di telecomunicazione e il passaggio dall'analogico (solo traffico voce) al digitale (prima i messaggi di testo sms, poi le videochiamate, quindi la velocità di connessione per smartphone e tablet in grado di competere con la velocità delle connessioni domestiche). Tecnologie che hanno rivoluzionato il nostro modello di relazione sociale, consentendo lo sviluppo di servizi di indubbia utilità che hanno, però, anche fatto registrare la crescita esponenziale di impianti e antenne della telefonia mobile (più di 1 milione di volte superiore a 30 anni fa), esponendo gli esseri umani a campi elettromagnetici mai sperimentati prima.
Senza addentrarsi sugli aspetti fisici e medici, Trinchero - essendo un ingegnere - ha preferito ragionare sulle implicazioni tecnologiche evidenziando come un buon uso degli standard 5G potrebbe ridurre l'impatto elettromagnetico già oggi esistente: non occorreranno nuovi impianti (cioè antenne di grandi dimensioni) ma tante piccole celle (piccole antenne) densamente raggruppate per dare una copertura continua che eviterà di dover duplicare il collegamento (diciamo: nostro dispositivo cellulare/ripetitore e ripetitore/dispositivo cellulare chiamato, giusto per semplificare...) che si aggiungerà alla possibilità di utilizzare il nostro smartphone come fosse esso stesso un'antenna. Con evidenti minori emissioni principali.
Se ne faremo un buon uso, dunque.
Molte paiono oggi le suggestioni sull'implementazione del 5G nell'ambito della telemedicina o delle "auto intelligenti", a cui si accompagnano follie pure, come i sensori inseriti nel pannolino del nostro bebè per conoscerne il grado di umidità oppure il livello di acidità raggiunto dalla bottiglia del latte all'interno del nostro frigorifero...

E' quindi seguito l'intervento applauditissimo della dottoressa Fiorella Belpoggi, Direttrice dell’Area Ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che ha innanzitutto voluto mettere in risalto la mancanza di indagini scientifiche a livello internazionale sui rischi del 5G e il ruolo della Ricerca indipendente, cioè quella non finanziata dalle grandi Corporation. Lo ha fatto spiegando che cos'è l'Istituto Ramazzini,  un’accademia internazionale di 180 esperti che studia i rapporti tra sviluppo, ambiente e salute proseguendo il lavoro di Cesare Maltoni che, nel lontano 1971, avviò un grande progetto sperimentale sulla cancerogenicità del cloruro di vinile (un composto utilizzato soprattutto per la produzione di polimeri plastici-PVC) che mise in luce gli effetti nocivi anche di molti altri composti industriali allora massicciamente usati nella produzione della plastica e, successivamente, si indirizzò su un altro campo allora tabù per la ricerca: il benzene e gli altri costituenti aromatici presenti nei carburanti. Nel 2000, dopo il decesso di Maltoni, la percezione che i campi elettromagnetici generati dalla corrente elettrica e dalla tecnologia della telefonia mobile potessero rappresentare un rischio cancerogeno, indusse l'Istituto a programmare una serie di studi sperimentali per valutarne i potenziali effetti e, a latere, vennero studiati i rischi cancerogeni di costituenti, additivi e contaminanti di alimenti, bevande, dolcificanti ed integratori come l'aspartame, ampiamente utilizzato da oltre 30 anni e risultato agente cancerogeno dalla ricerca del Ramazzini.
La storia dell'Istituto è, dunque, la storia di una seria e approfondita Ricerca (con la R maiuscola) indipendente: il Ramazzini non è neppure finanziato dal Ministero della Sanità ma agisce sotto la forma giuridica di Cooperativa Sociale onlus formata da tanti soci individuali che ogni anno contribuiscono a finanziare le sue indagini libere e decisamente "scomode". I cui risultati, frutto di sperimentazioni in laboratorio sui ratti (geneticamente simili per il 98% all'uomo), hanno mostrato la cancerogeneità di sostanze e situazioni fisiche poi puntualmente confermata (ma con ritardi addirittura fino a 38 anni) dalle Organizzazioni internazionali della Sanità.
Le Ricerche del Ramazzini hanno, dunque, pieno valore scientifico e i suoi riscontri dovrebbero essere il faro-guida per ogni corretta implementazione tecnologica. Ma non è così, come dimostra la questione legata ai suoi studi sull’impatto dell’esposizione umana ai livelli di radiazioni a radiofrequenza (RFR) prodotti da ripetitori e trasmettitori per la telefonia mobile. «Non stiamo parlando del 5G - ha specificato Fiorella Belpoggi - perchè su questa questione si sta procedendo al buio, senza dati nè certezze. La nostra ricerca è legata alle tecnologie in atto, dunque al 3G, e certifica aumenti statisticamente significativi riguardanti i tumori del cervello e del cuore in ratti esposti dalla vita prenatale alla morte spontanea a campi elettromagnetici a radiofrequenza. Sono le stesse conclusioni a cui è giunto anche uno studio del National Toxicologic Program (USA): purtroppo i nostri sono gli unici due studi esistenti al mondo. Ma è evidente che il problema esiste e che la salute pubblica necessita di un’azione tempestiva per ridurre l’esposizione: siamo responsabili verso le nuove generazioni e dobbiamo fare in modo che i telefoni cellulari e la tecnologia wireless non diventino il prossimo tabacco o il prossimo amianto, cioè rischi ben conosciuti eppure ignorati per decenni con danni gravissimi per le persone. Questo non significa voler tornare "indietro", ma ricercare e possedere informazioni e grazie a queste scegliere il nostro futuro. Oggi non stiamo scegliendo, sono la tecnologia e gli affari a scegliere per noi».

Molto tecnico l'intervento del Dr. Giovanni D’Amore, Fisico e Direttore del Dipartimento di Rischi Fisici e Tecnologici dell’Arpa Piemonte, che ha spiegato quali protocolli di monitoraggio l'Ente di controllo stia approntando per la "sorveglianza" sul 5G, con una certezza di risultato che non sarà semplice assicurare e che verrà effettuata utilizzando come parametri i valori massimi previsti dalle norme tecniche internazionali.

Per il Dr. Franco Merletti, Coordinatore del Centro di Riferimento per l‘Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica in Piemonte (CPO-Piemonte), i rischi per la salute derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza possono essere così definiti, con un gioco di parole: «Assenza di evidenza. Che non significa evidenza di assenza»:  numerosi studi epidemiologici effettuati su popolazioni residenti in prossimità di impianti per telecomunicazione non consentono di evidenziare una correlazione tra l’esposizione alle radiazioni a radiofrequenza ed effetti sulla salute, ma nel maggio 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza tra gli agenti “possibilmente cancerogeni (gruppo 2B)”. Questo non deve "demonizzare" la tecnologia attuale e quella futura, ma certamente impone qualche necessario richiamo al Principio di precauzione. Perchè ogni medico sa che "prevenire è meglio che curare".

In conclusione l'appassionato intervento del Dr. Paolo Orio(medico veterinario, co-fondatore e Presidente dell‘Associazione Nazionale Elettrosensibili e esso stesso elettrosensibile da oltre 19 anni) che ha sciorinato una autentica "raffica" di dati per sostenere la tesi che gli attuali telefoni cellulari e i wi-fi non possono essere considerati tecnologie sicure e che i limiti espositivi a livello internazionale sono stati definiti non da un organismo scientifico rigorosamente indipendente, ma da un'associazione di privati, con sede in Germania, il cui acronimo è ICNIRP (commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti). Nei suoi laboratori di ricerca, nei primi anni 90, questo soggetto prese a riferimento un unico effetto generato dalle radiazioni, quello termico (rilevabile attraverso un aumento di temperatura) che testò su un manichino cavo riempito di gel proteico e poi "bombardato" con radiazioni. Un esperimento che ha permesso di stabilire le soglie di legge senza tenere conto che una radiazione elettromagnetica, quando ha a che fare con la materia vivente, è in grado di generare interazioni biologiche anche per valori di uno o due ordini di grandezza inferiori: si tratta di effetti non termici, oltre tutto valutati come media nelle 24 ore anzichè nella media di 6 minuti come nel resto d'Europa. Siamo dunque già oggi troppo sovraesposti e il 5G aggiungerà migliaia e migliaia di micro antenne posizionate in ogni dove - dai lampioni lungo le strade, alle pensiline dei mezzi pubblici - che genererà, attraverso frequenze mai esplorate in precedenza, un ulteriore innalzamento dei livelli elettromagnetici. L’elettrosensibilità è una malattia moderna che colpisce 1,8 milioni di italiani; il 5% della popolazione in Svizzera, l'8% in Germania, il 10% in Svezia: dati impressionanti se pensiamo a quante persone nel mondo possiedono almeno uno smartphone e a quanti bambini si trovano inconsapevolmente esposti.
La sua chiusura è stata: «mancando precisi studi epidemiologici diffusi, nessuno è in grado di valutare l'enorme pericolo che l'umanità intera sta correndo. E' come se il nostro medico ci prescrivesse un farmaco sul cui "bugiardino" fosse indicato che la casa farmaceutica non può garantire la sicurezza del medicinale mancando approfonditi studi: voi quella medicina avreste il coraggio di trangugiarla?».

Molti spunti per approfondire, dunque. E in attesa che qualcuno dei sei Comuni astigiani inseriti da AGCOM nella lista degli sperimentatori-cavie del 5G (Celle Enomondo, Cortandone, Montabone, Revigliasco d'Asti, San Giorgio Scarampi e Vigliano) si decida ad aprire il dibattito anche tra le mura di casa, invitiamo - chi non l'ha ancora fatto - a sottoscrivere la richiesta di moratoria dell'Alleanza italiana Stop 5G, attraverso la petizione online che trovate qui.

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