di Jeremy Rifkin (tratto da "Entropia", saggio del 1980).
L'età moderna è l'era delle macchine. La precisione, la velocità e l'accuratezza sono diventate di primaria importanza. Noi continuiamo a chiedere «a che velocità potrà andare ?» o «quanto ti ci vuole per essere qui?». Il miglior complimento che possiamo fare è di dire che qualcosa è così ben costruito (o pensato o progettato) che praticamente va da solo. Amiamo le sensazione che ci danno le finiture metalliche, di alluminio, di cromo, di acciaio. Troviamo che nulla è esteticamente più gradevole che avviare una macchina o girare un interruttore. Il nostro mondo è un mondo di leve, ruote e pulegge. Il tempo libero è tutto preso dal cercare di riparare le nostre macchinette; il tempo di lavoro serve a regolare monitor e a sintonizzare strumenti. Regoliamo il nostro ritmo giornaliero con una macchina: l'orologio. Comunichiamo con una macchina: il telefono. Impariamo con delle macchine: la calcolatrice, il computer, la televisione. Viaggiamo con delle macchine: l'automobile, l'aeroplano. Anche per vedere c'è una macchina: la luce elettrica ...
La macchina è il nostro modo di vivere e la nostra visione del mondo si è formata su una macchina. Vediamo l'universo come una grande macchina messa in moto milioni di anni or sono dall'ingegnere supremo, Dio. E' progettata così perfettamente che «gira da sola» senza perdere un colpo e con movimenti così prevedibili da poter essere calcolati fino all'ennesimo grado di dettaglio.
Siamo così affascinati dalla precisione che riusciamo a cogliere nell'universo, da cercare di riprodurne la grandiosità qui sulla Terra. Per noi la storia è un continuo esercizio di progettazione.
La Terra è come un gigantesco magazzino di componenti, fatti di ogni di sorta di pezzi che aspettano di essere assemblati in un sistema funzionante. Il nostro compito non è mai finito. Ci sono sempre nuovi progetti da prendere in esame e compiti da eseguire e tutti richiedono una continua sistemazione delle parti in gioco e un ampliamento dei processi. Il progresso ha ormai «innestato la marcia» verso la perfezione della macchina. Ci sarà sempre da recuperare i sottoprodotti, eliminare i rifiuti, ma l'espansione della macchina coinvolgerà sempre più ogni aspetto della vita. Questo è il paradigma storico del nostro tempo. Viviamo secondo le regole della macchina e anche se siamo abbastanza d'accordo a riconoscerne l'importanza nel regolare il nostro stile di vita esteriore, siamo molto meno desiderosi di renderci conto che penetra la centralità del nostro essere.
La macchina è così ben ingranata nella nostra persona che è difficile accorgersi dove finisce e dove inizia l'uomo. Anche le parole che escono dalla nostra bocca non sono più le nostre parole, sono le parole della macchina. Noi «misuriamo» i rapporti con gli altri dal grado di «sincronia» con loro. I nostri sentimenti sono ridotti al livello di buone o cattive «vibrazioni». Non è più corretto dire che intraprendiamo un'attività, piuttosto ci troviamo a una «partenza automatica». Cerchiamo di evitare gli «attriti» nell'ambiente di lavoro e scegliamo di «sintonizzarci» piuttosto che prestare semplicemente attenzione. Pensiamo alla vita delle persone come a qualcosa che gira «regolarmente» o magari «si è guastata», in quest'ultimo caso ci si aspetta che in breve tempo gli individui possano essere rimessi in funzione o «riparati».
(Tratto da "Entropia" di Jeremy Rifkin, Baldini & Castoldi, edizione riveduta e aggiornata nell'anno 2000 della prima edizione del 1980).