Anche l'astigiano si mobilita: nei giorni scorsi è stato costituito il Comitato provinciale che si preoccuperà di promuovere nel nostro territorio il SI al referendum del prossimo 17 aprile per abrogare la norma introdotta dall’ultima Legge di Stabilità che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas che insistono nella zona di mare vicina alla costa di non avere più scadenza ...
Al Comitato astigiano aderiscono per ora: Acli provinciali di Asti - Agribio Piemonte - Altritasti - Arci Asti Langhe e Roero - Associazione A Sinistra - Associazione Dendros di Canelli - Associazione Terra, Boschi, Gente e Memorie Castelnuovo Don Bosco - Associazione Valle Belbo Pulita di Canelli - Associazione Villa Paolina/WWF Asti - Asti Possibile - Avamposto 129 Collettivo studentesco - Cittadinanzattiva Asti - Comitato astigiano a favore delle Acque Pubbliche - Coordinamento Asti est - Federazione Partito della Rifondazione Comunista Asti - Fiom/Cgil Asti - Il Gasti Gruppo di Acquisto Solidale - Legambiente Asti - Legambiente Valtriversa - Lipu Asti - Movimento 5 Stelle San Damiano d'Asti - Movimento Stop al Consumo di Territorio Astigiano - Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano - Tempi di Fraternità - Terra e Gente cooperativa - Uisp Asti.
Ecco l'appello del Comitato nazionale delle Associazioni "Vota SI' per fermare le trivelle":
Il 17 aprile 2016 il popolo italiano sarà chiamato a votare per il Referendum contro le Trivelle in mare. L’invito è di votare SI’ per abrogare la norma introdotta dall’ultima Legge di Stabilità che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas che insistono nella zona di mare vicina alla costa di non avere più scadenza. Con la Legge di Stabilità 2016, infatti, le licenze già in essere entro le 12 miglia dalla costa sono diventate “sine die”. Le trivelle sono il simbolo tecnologico del PETROLIO: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby ...
La vera posta in gioco di questo Referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale per un’economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata. Non dobbiamo continuare
a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile, ma affermare la volontà dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per pochi barili di petrolio non vale certo la pena mettere a rischio il nostro ambiente marino e terrestre ed economie importanti come la pesca e il turismo, vere ricchezze del nostro Paese.
Intanto, mancano strategia e scelte concrete per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla COP21 nel vertice di Parigi
per combattere i cambiamenti climatici, in cui si è sancita la volontà di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C.
Quindi il vero quesito è: Vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?
Al Referendum del 17 Aprile inviteremo i cittadini a votare SI’, perché vogliamo che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e la febbre del
Pianeta.
Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’Election Day che avrebbe permesso l’accorpamento del Referendum con le elezioni amministrative, ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto, puntando così
sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum.
Il Governo sta scommettendo sul silenzio del popolo italiano!
Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.
Per essere più efficaci, abbiamo costituito il Comitato nazionale “Vota SI’ per fermare le trivelle” per unire le forze di tutte le organizzazioni sociali e produttive affinché la Campagna referendaria diventi l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le
scelte energetiche strategiche che dovrà fare il nostro Paese, per un’economia più giusta e innovativa. Ci impegniamo ognuno nel proprio ambito e insieme per invitare gli italiani a recarsi al voto e votare SI’.
Il Comitato nazionale promuoverà comitati territoriali per moltiplicare la mobilitazione e diffondere capillarmente l’informazione in tutti i territori e metterà a disposizione strumenti comuni di comunicazione, di approfondimento e di mobilitazione. Inoltre, si coordinerà con
i Comitati delle Regioni proponenti il Referendum.
Invitiamo tutti e tutte: organizzazioni sociali, istituzioni territoriali, imprese che investono sulla sostenibilità, singoli cittadini/e, giovani e anziani a mobilitarsi con entusiasmo e creatività per far vincere il SI’.
PRIMI FIRMATARI
Adusbef, Aiab, Alce Nero, Alleanza Cooperative della Pesca, Arci, Arci Caccia, Aref International, ASud, Associazione Borghi Autentici d'Italia, Associazione Comuni Virtuosi, Associazione nazionale Giuristi Democratici, Associazione della Decrescita nazionale, Club Amici dei Borghi Autentici, Coalizione Mantovana per il clima, Coordinamento nazionale NO TRIV, Confederazione Italiana Agricoltori, Cospe, Energoclub, Fairwatch, Fare Verde, Federazione Italiana Media Ambientali, Fiom-Cgil, Focsiv – Volontari nel mondo, Fondazione Slow Food per la Biodiversità, Fondazione UniVerde, Giornalisti Nell'Erba, Green Cross, GreenBiz.it, GreenMe.it, Greenpeace, Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, Kyoto Club, Innovatori Europei, Italia Nostra, La Nuova Ecologia, Lav, Leaf, Legambiente, Libera, Liberacittadinanza, Link Coordinamento Universitario, Lipu, Lunaria, Marevivo, MEPI–Movimento Civico, Movimento Difesa del Cittadino, Movimento per la decrescita felice, Pro-Natura, QualEnergia, Rete degli studenti medi, Rete della Conoscenza, RSU Almaviva, Salviamo il Paesaggio, Sapienza In Movimento, Sì Rinnovabili No nucleare, Slow Food Italia, Soc. Coop. E’ Nostra, Soc. Coop. Retenergie, TerrediLago, Touring Club Italiano, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Unione Produttori Biologici e Biodinamici, WWF, Zeroviolenza.
Tutto quello che c'è da sapere sul referendum no triv del 17 aprile
(A cura di Act!).
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello Stato.
E riguarderà le concessioni estrattive per le piattaforme oltre le 12 miglia; è stato proposto "da 10 Regioni italiane (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise; l’Abruzzo ha poi ritirato il suo sostegno ai quesiti)".
Purtroppo non è stato possibile accorparlo con le imminenti amministrative di giugno perché "È intervenuta invece una legge della Repubblica Italiana, approvata nel 2011, nella disputa riguardante la possibilità di un “Election Day” ovvero l’accorpamento delle votazioni amministrative con il quesito referendario. Proprio il citato decreto 98/2011 esclude l’ipotesi che le due consultazioni possano avvenire in concomitanza l’una con l’altra".
Tutto questo costerà circa 300 milioni di euro.
In questi giorni sta girando un utile documento di FAQ con domande e risposte sulla consultazione preparato dai comitati territoriali e che provvediamo a sintetizzare. La pubblico qui in basso. Internazionale ha messo in rete una propria FAQ dove si spiegano anche quali sono i siti interessati dal provvedimento. In rete c'è anche un video di Greenpeace ed un altroautoprodotto. Mentre invece Comune-Info ha pubblicato un articolo denuncia che racconta un po' l'insieme delle vertenze di tutti i territori coinvolti: Il referendum che spaventa l’Eni.
Il referendum è comunque un esercizio di democrazia. E' importante perché, di fatto, apre la campagna referendaria sui diritti sociali (scuola, lavoro, beni comuni) e perché riguarda temi importanti che toccano la vita delle persone sui quali non si viene generalmente consultati. Motivo in più per sapere di cosa si tratta e provare a bucare la cappa di silenzio che è già calata su tutta la questione da qualche settimana.
Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum.
DOVE SI VOTERÀ?
Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum. Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
QUANDO SI VOTERÀ?
Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.
COSA SI CHIEDE ESATTAMENTE CON IL REFERENDUM DEL 17 APRILE 2016?
Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare. In questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane.
Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa. Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni.
QUAL È IL TESTO DEL QUESITO?
Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
È POSSIBILE CHE QUALORA IL REFERENDUM RAGGIUNGA LA MAGGIORANZA DEI “SÌ” IL RISULTATO VENGA POI “TRADITO”?
A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa. L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria. Qualora però non si raggiungesse il quorum previsto perché il referendum sia valido (50% più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio ovunque.
È VERO CHE SE VINCESSE IL “SÌ” SI PERDEREBBERO MOLTISSIMI POSTI DI LAVORO?
Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri.
Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre.
L’ITALIA DIPENDE FORTEMENTE DALLE IMPORTAZIONI DI PETROLIO E GAS DALL’ESTERO. NON SAREBBE OPPORTUNO, AL CONTRARIO, INVESTIRE NELLA RICERCA DEGLI IDROCARBURI E INCREMENTARE L’ESTRAZIONE DI GAS E PETROLIO?
L'aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in concessione a società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i giacimenti esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo. Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto. Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty. Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
IL RILANCIO DELLE ATTIVITÀ PETROLIFERE NON COSTITUISCE UN’OCCASIONE DI CRESCITA PER L’ITALIA?
Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane. La ricchezza dell’Italia è, in verità, un’altra: per esempio il turismo, che contribuisce ogni anno circa al 10% del PIL nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di circa 160 miliardi di euro; la pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce circa il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1 milione e 400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro; il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro; e soprattutto la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l'81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella misura del 53,6%.
PERÒ GLI ITALIANI UTILIZZANO SEMPRE DI PIÙ LA MACCHINA PER SPOSTARSI. NON È UN CONTROSENSO?
Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante per le autovetture ed ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese. Ad ogni modo, gli italiani si trovano spesso costretti ad utilizzare l'auto di proprietà. A fronte di un sistema di trasporti pubblici gravemente lacunoso non hanno praticamente scelta. In alcuni Paesi del Nord Europa l’utilizzo dell'auto privata è spesso avvertito come un “peso” e ritenuto economicamente non vantaggioso. Le cose andrebbero diversamente se si perseguisse una seria politica dei trasporti pubblici. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, l’Italia è al riguardo agli ultimi posti.
COSA CI SI ATTENDE?
Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a disposizione dei cittadini italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese. Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della decarbonizzazione. Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo. È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro. Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.
PERCHÉ QUESTO REFERENDUM?
Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene – produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3 delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche. La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute all’utilizzo di tale tecnica può elevare il livello di stress dei mammiferi marini, può modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Le attività di prospezione sismica e le esplosioni provocate dall’uso dell’airgun possono provocare danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena trofica. Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.