Ogni bene viene dalla terra



di Angelo Gaccione.

Ho un profondo rispetto per la civiltà contadina e per il lavoro della terra. Quando ero ancora un ragazzino, mia madre mi lesse qualcosa che non avrei mai più dimenticato (forse un racconto, forse una poesia) e il cui titolo era il seguente: “Ogni bene viene dalla terra”. Da adulto ho sempre tenuto presente questa incontrovertibile verità. Una volta, in occasione di un incontro pubblico piuttosto animato, dissi più o meno questo: ogni civiltà che si sarebbe susseguita nel corso del divenire storico, avrebbe apportato la sua dose di utile e necessario vantaggio, e prodotto molte e rivoluzionarie modifiche, ma non avrebbe potuto in alcun modo cambiare le basi su cui si fonda la nostra esistenza di esseri umani. Saremmo, cioè, sempre dipesi dalla terra ...

Se ci pensate, noi potremmo fare a meno del petrolio e delle macchine; del laser e dei computer, ma non possiamo fare a meno del cibo per nutrirci. Cibo che in tutte le sue componenti ed elaborazioni, ha una sola e assoluta provenienza: la terra. Potremmo fare a meno di tutte le invenzioni più complesse e sofisticate nate dalla nostra fervida intelligenza ed immaginazione, ma non ci è possibile fare a meno di due semplici elementi della nostra sopravvivenza umana: acqua e aria. E anche questi due elementi hanno una sola e unica provenienza: la terra. L’acqua nutre la terra che a sua volta nutre le piante e che a loro volta nutrono ogni essere presente sulla terra. Respirare, bere e nutrirsi, sono le basi indiscutibili della natura e dunque della terra.

Provo molta tristezza quando mi capita di imbattermi in certi atteggiamenti da snob; si tratta generalmente di giovani o di professionisti le cui origini affondano nella civiltà contadina. Hanno mutato la loro condizione e ora il nuovo status di piccoli borghesi (in genere piuttosto ignoranti) li fa vergognare di ciò che sono stati, di ciò da cui provengono, come se essere nati da una famiglia o da antenati contadini, da gente che ha sopportato la grande fatica della terra, fosse un marchio di infamia. Tentano disperatamente di lavare questa “infamia”, per far dimenticare quelle origini e farsi accettare nel consesso della nuova classe verso cui sono approdati. Ridicoli. Semplicemente ridicoli e gretti. Verga ci ha dato un ritratto esemplare di questi ridicoli parvenu, nel suo “Mastro don Gesualdo”.

Io credo, invece, che bisogna andarne fieri. Senza gli uomini votati al duro lavoro della terra, non ci sarebbe disponibilità di alcun nutrimento per il genere umano, e questo sarebbe in pericolo. Senza il loro prezioso lavoro, gli stessi stupidi superficiali snob che guardano al mondo contadino e della terra con sufficienza e superiorità, morirebbero di fame. Se improvvisamente i lavoratori della terra decidessero di produrre solo per il loro unico fabbisogno: governanti, ministri, teste coronate, ambasciatori, cancellieri e cacasenno di ogni tipo, si ritroverebbero a domandare l’elemosina sui cantoni delle vie. Disavvezzi all’arte della coltura e della semina; incapaci di sopportare la fatica dei campi; tutti costoro non avrebbero scampo. Il loro denaro non gli servirebbe più, come non gli sarebbero di aiuto alcuno aerei, auto o computer. Non potrebbero mangiare le ruote delle loro belle macchine, i titoli che esibiscono nelle loro case, gli oggetti preziosi di cui si circondano. In casi di carestie, nulla è più importante di un tozzo di pane, di una giara d’olio, di un sacco di umili patate. Nessun diamante vale quanto un tomolo di legumi, uno staio di cereali o una forma di caciocavallo. Dipendesse da me, farei in modo che i beni della terra, tutti i beni della terra, compreso l’acqua e gli alberi che ci danno l’ossigeno, avessero il costo maggiore in assoluto e fossero considerati gli unici veri beni incommensurabili della vita. Svaluterei diamanti e computer, auto e televisori, ponendoli al più infimo gradino del valore monetario. E a chi ponesse obiezioni gli direi: “Ecco, ingoia questo saporitissimo telecomando. Assaggia un pezzo di questo gustoso pneumatico. Spalma sulle tue fruscianti banconote una fetta di questo magnifico personal computer”.  Dite che cambierebbe opinione?   

[Pubblicato sulla prima pagina di “Odissea” in data 27 luglio 2015]


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