di Fabio Balocco.
Seppure molto lentamente nell’opinione pubblica si sta facendo strada la sensazione, ma in molti casi anche la convinzione, che continuare ad “artificializzare” il territorio non è più una necessità come nell’Italia del boom economico in cui si dovevano costruire case ed infrastrutture, ma una semplice convenienza per le imprese che costruiscono e le amministrazioni comunali che introitano oneri di urbanizzazione ed imposte (nel caso di edifici a scopo residenziale od industriale), ovvero per i concessionari (nel caso di gestione di opere pubbliche). Di scuola il caso di Torino, dove si contano fra i 35.000 ed i 50.000 alloggi sfitti eppure il Comune continua a rilasciare permessi a costruire ...
I privati guadagnano, magari anche l’ente locale, ma la collettività ci perde, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di possibili futuri disastri. Obiter dictum. I guadagni vengono privatizzati, i disastri socializzati.
D’altra parte è anche vero che il settore edile è in crisi ed i nostri politici fanno di tutto per lanciargli ciambelle di salvataggio sotto forma di opere pubbliche, che di pubblico hanno appunto solo i disastri che creano (la grande torta dell’alta velocità su tutte).
I tempi sono maturi per lanciare quella che può sembrare a prima vista una provocazione. Impedire che si costruisca oltre. Ed un mezzo legittimo alla nostra portata è quello di acquistare terreni dichiarati edificabili dai piani regolatori per conservarli come tali, per preservarli per il futuro dalla loro trasformazione. L’idea quindi è: acquistare terreni edificabili (tra l’altro il periodo si presta proprio perché l’edilizia abitativa è in forte crisi, i prezzi degli alloggi in caduta libera, molti terreni restano invenduti), e rendere poi partecipe dell’operazione la collettività, verso cui fare un’opera di sensibilizzazione.
Come? Ad esempio posizionando in loco cartelli che spieghino come non esista uno ius aedificandi nel nostro diritto; come un terreno non edificato valga in realtà di più di uno che edificato invece è; come l’operazione di salvaguardia porti un vantaggio alla popolazione locale; magari realizzando un percorso didattico all’interno del terreno per dimostrare - soprattutto ai giovani - la ricchezza del terreno che sarebbe andata persa se fosse stato costruito. E non è da sottovalutare che l’operazione avrebbe anche un effetto “educativo” sull’amministrazione comunale, che avrebbe reso il terreno edificabile.
L’idea premetto che non è nuova: nel 1800 molti privati soprattutto statunitensi destinarono fondi per l’acquisto di terreni da preservare. Negli anni nostri Yvon Chouinard (tramite la Patagonia) ha investito nell’acquisto di terreni in Sudamerica.
Certo, il progetto è ambizioso. I terreni edificabili purtroppo costano di più dei terreni che edificabili non sono. Ma pensiamo che si potrebbero coinvolgere non solo singoli cittadini che verserebbero quote ad hoc, ma anche chi avesse terreni edificabili e potrebbe donarli (non saranno molti ma, secondo me, ce ne saranno ...); ed anche imprese, che potrebbero destinare una quota per l’acquisto e potrebbero pertanto beneficiare di deduzioni fiscali sulle somme destinate (è da valutare).
Quale il soggetto destinatario dei fondi, ovvero il soggetto proprietario? Anche questo è da studiare. Se creare un soggetto ad hoc, che forse sarebbe l’ideale, od usufruire di soggetti che già esistono ed operano sul territorio (associazioni ambientaliste). Io opterei per la prima soluzione, in quanto questo soggetto avrebbe per statuto, per scopo, proprio quello della tutela per sempre dei terreni che acquista. Un’associazione, una volta che è proprietaria, in teoria potrebbe anche disfarsene. Si dirà: “no, una ennesima associazione”. Comprendo, anche se non so pensare in altri termini, al momento.
I terreni ovviamente dovrebbero essere “declassificati”: si chiederebbe ai Comuni che tornino ad essere agricoli. Anche al fine di pagare minori imposte (da studiare anche questo).