Suolo, oro marrone. Ma sappiamo quanto vale?



Ammettiamo di avere un certo capitale in banca. Capitale che abbiamo ereditato dai nostri genitori e che negli anni è cresciuto regolarmente. Ammettiamo che, a un certo momento, accada un’inversione di tendenza e la banca, ove il capitale è depositato, non solo non corrisponda più interessi positivi, ma li decresca e alla fine cominci ad intaccare il capitale, prima lentamente e poi sempre più velocemente ...

Ognuno di noi correrebbe ai ripari cercando una soluzione tra varie scelte possibili: potrebbe ritirare il capitale e affidarlo ad un’altra istituzione finanziaria, oppure lanciare una class action al fine di difendere i propri diritti, o ancora re-investire il capitale in immobili o azioni o altro.
Cercheremmo certamente di salvaguardare il capitale per noi e per i nostri discendenti.
Come mai lo stesso comportamento non si applica nei confronti del nostro capitale suolo ? Perché si accetta con indifferenza che un bene comune – quale è il territorio – si degradi e non sia più trasmissibile alle generazioni future ?
È forse perché non sappiamo attribuirgli un giusto valore economico ?

Su quest’ultima domanda si è concentrato un gruppo di ricercatori studiando la pianura dell’Emilia Romagna. L’obiettivo era di arrivare a definire il costo di un ettaro di suolo in base al suo cambiamento d’uso in termini di percentuali di PIL (prodotto interno lordo), tenendo in debito conto che, per comprendere appieno il valore economico del suolo e dei relativi costi di cambiamento d’uso, si devono valutare anche gli impatti prodotti dai cambiamenti su aree molto più ampie di quelle direttamente coinvolte.
I ricercatori hanno identificato tre tipi di costi:

1) costi effettivamente coperti dai gestori del territorio e spesso, in ultima analisi, dagli utilizzatori diretti.
Il suolo è analizzato come produttore di cibo e biomasse. Durante il periodo 2003-2008 nell’area campione, l’estensione di boschi, pascoli, aree naturali e zone umide non è significativamente cambiata; mentre le aree urbane e industriali sono aumentate a scapito quasi esclusivamente dei terreni agricoli fertili. Nel confronto di mappe di uso del suolo, il terreno agricolo sembra essersi ridotto di 157 km2 (equivalente ad fascia di quasi 1 km tra Milano e Modena); mentre, secondo il censimento delle aziende agricole, tale riduzione è pari a soli 30 km2. Questa differenza è dovuta al fatto che su larga scala l’agricoltura professionale è rimasta quasi invariata, mentre l’agricoltura come attività non principale è diminuita. A dispetto della contrazione dei terreni coltivati, tuttavia, la produzione lorda vendibile è più o meno la stessa.

2) costi coperti da tutta la comunità che vive la trasformazione del territorio, anche se i beneficiari sono solitamente specifici gruppi di individui.
Il suolo come fonte di materie prime: nel 2008 nella zona campione le aree di estrazione di materiali inerti occupavano una superficie di circa 41 km2. Nel 2003, circa un milione di metri cubi di argilla, un volume analogo di sabbia, e undici milioni di metri cubi di ghiaia sono stati estratti, per un reddito complessivo di 270 milioni di euro (0,25 % del PIL regionale) e che nei sei anni del periodo studiato raggiungono i 1323 milioni di euro.

3) costi impliciti che coinvolgono la società nel suo complesso,ma sono più difficilmente quantificabili e non a carico di unici beneficiari.
Il suolo come riserva di carbonio con un totale equivalente di CO2 immagazzinato nel suolo dell’area campione stimato a 3,7 milioni di tonnellate (3,7 × 106 tonnellate). Altri 2,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente sono contenute in asfalto e cemento importati nell’area. La produzione di calcestruzzo e asfalto ha provocato un’emissione netta di 0,14 milioni di tonnellate di CO2, che, considerando i prezzi del 2008 – aggiustati ad una tonnellata di CO2 nel commercio globale del carbonio – corrisponde a circa 19 milioni di euro.

Nella pianificazione territoriale dell’Emilia Romagna, la conversione di 15.000 ettari di suolo agricolo del periodo 2003-2008 implicava una perdita netta di 109.000 tonnellate di frumento all’anno, che rappresenta le calorie necessarie per il 14 % della popolazione della regione (425.000 persone). I costi complessivi di trasformazione dell’uso del suolo sono stati calcolati per un ammontare di circa 1.010 € ad ha. Ad essi andrebbero aggiunti i costi dovuti a possibili tipi di impatto come, tra gli altri, aree specifiche di decontaminazione, cure delle persone colpite dalle malattie correlate, perdita di biodiversità, necessità di requisiti energetici aggiuntivi, salvaguardia del patrimonio culturale, cattura del carbonio, sicurezza idraulica, oltre naturalmente al miliardo e trecento milioni dell’estrazione di materiale inerte che è un bene comune dato in concessione a privati a fronte di un contributo di concessione di molto inferiore al 3% .

Ovunque, ma in particolare in Italia più che in altri paesi geomorfologicamente complessi, le scelte locali costituiscono i fattori chiave della gestione del suolo e del paesaggio. Le future politiche hanno il dovere di perseguire sistemi di urbanizzazione che contribuiscano alla crescita sociale, alla riduzione della povertà e alla sostenibilità ambientale, piuttosto che indiscriminatamente incoraggiare o scoraggiare l’urbanizzazione.
Nella maggior parte degli Stati membri dell’UE la pianificazione del territorio è una questione nazionale, regolata da leggi nazionali o federali. In Italia, dove i Comuni sono divisioni amministrative di tipo aziendale, dotati di un certo grado di autogoverno, la pianificazione territoriale è coordinata a livello regionale, pur restando in gran parte una questione locale.

Dal 1977, i permessi di costruzione sono sottoposti all’obbligo di provvedere anche ai cosiddetti “oneri di urbanizzazione”. I fondi così recuperati avrebbero dovuto essere utilizzati dal Comune esclusivamente per i servizi pubblici, come ad esempio nuove strade, fognature, scuole, restauro di edifici. Dal 2001 però, i Comuni sono stati autorizzati a farne uso per sostenere le spese anche dei servizi “correnti”, assumendosi di conseguenza il potere di prendere decisioni sul passaggio da un uso del territorio ad un altro, influenzando direttamente il potenziale di funzioni del suolo. Cosí le scelte locali sono diventate i fattori chiave nella gestione del suolo e del paesaggio su scala molto più ampia.
Il caso studio della Pianura Emiliano-Romagnola dimostra che la perdita netta di suoli fertili è estremamente imprudente, persino in una regione del mondo sviluppata e relativamente ricca.

Non è un caso che al momento tra Camera e Senato siano in discussione ventuno disegni di legge che contengono la parola suolo nel titolo.
Cionondimeno, noi cittadini dobbiamo occuparci più personalmente e direttamente del nostro capitale suolo, perchè non è sufficiente affidarlo ad una “banca” sicura, ma va mantenuto efficacemente, se non si vuole che diventi un problema ingestibile in momenti di tensione internazionale o di declino economico.

RapaNui (pedologi per “Salviamo il Paesaggio”) - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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