L'evoluzione della Valle Belbo



di Claudio Riccabone, geologo e Vicepresidente dell'Associazione Valle Belbo Pulita (2a parte).


In questa seconda parte dell’articolo, riprendendo temi più volte affrontati anche nell’ambito dell’attività dell’Associazione Valle Belbo Pulita, vorrei sollevare la discussione sulle modalità di gestione complessiva del contesto fluviale, in termini di “ecosistema”. Per affrontare i temi della qualità dell’ecosistema fluviale in termini integrati, è necessario affrontare ad esempio, i temi della gestione della vegetazione ripariale, delle aree golenali, dei rapporti con le aree urbanizzate, dell’erosione e del consumo di suolo …

Solo in questa prospettiva è possibile immaginare un futuro per il nostro Belbo, disegnando un processo di riqualificazione del paesaggio, in cui il Torrente, vero asse di collegamento fra territori e comunità, torni ad essere l’elemento caratterizzante della valle.

Continuando allora i ragionamenti espressi nella prima parte dell’articolo, proverei ora a tratteggiare in maniera sintetica e possibilmente, non troppo tecnica, le caratteristiche principali dei due ambiti di “intervento”, che ritengo costituiscano oggi una sfida interessante, nell’ottica di un approccio integrato alla gestione delle aree e dei bacini fluviali, come quello della Valle Belbo. In particolare, due ambiti nei quali è davvero possibile concretizzare quel richiamo al “progettare con la natura” [1], con cui chiudevamo la prima parte dell’articolo precedente, sono costituiti:

- dalle problematiche della gestione della fascia fluviale (in particolare nei suoi problematici rapporti con le esigenze di difesa dal rischio idraulico);

- dalla definizione ed applicazione delle corrette pratiche di manutenzione del territorio, in particolare laddove le attività antropiche si incontrano/scontrano con l’esigenza di arrestare l’impermeabilizzazione del suolo, ridurne i fenomeni erosivi, incrementare gli elementi di naturalità.

La gestione della fascia fluviale
Affrontare, nell’ottica integrata che è stata descritta, una corretta gestione della fascia fluviale richiede di passare da una pianificazione parziale, in nome esclusivo delle esigenze di tutela idraulica e di regolazione tramite interventi artificiali, ad una pianificazione complessiva, che tenga conto dei molteplici aspetti connessi alla vita ed all’evoluzione stessa del corso d’acqua, che riguardano quindi la naturale dinamicità dell’assetto dell’asta fluviale, le caratteristiche ecologiche della sua fascia, la continuità degli habitat naturali, la ricchezza di diversità biologica, non ultime le possibilità di fruizione da parte degli abitanti.

In tale ottica, si va accrescendo sempre di più la consapevolezza che una certa dinamicità geomorfologica del corso d’acqua, legata al flusso dei sedimenti, ai processi erosivi e di sedimentazione connessi, è essenziale per la creazione, il mantenimento e l’evoluzione degli habitat fisici negli ecosistemi acquatici e ripariali” [2]

Analogamente, si percepisce sempre con maggiore chiarezza l’esigenza di promuovere un maggior grado di “naturalità”, nei contesti fluviali. Il funzionamento “naturale” di un fiume in equilibrio dinamico promuove spontaneamente la qualità delle acque, la diversità, la disponibilità di habitat, il miglioramento paesaggistico.

Per rispondere a tali esigenze, le strategie che si stanno mettendo a punto includono vari livelli di “dinamismo” fisico, fino ad arrivare ad una vera e propria “progettazione” geomorfologica di un alveo naturale.

Ciò presuppone il probabile “abbandono” di alcune aree, a vantaggio di un recupero di naturalità e, quindi, in generale, di un miglioramento qualitativo del “sistema-fiume” nel suo complesso.

Rientrano in tale ottica gestionale, anche le problematiche relative alla manutenzione della vegetazione riparia che normalmente, in nome della pulizia e del presunto miglioramento della funzionalità idraulica delle sezioni di deflusso, viene affrontata con l’approccio della “tabula rasa”.

Anche in questo caso, più che mai, è invece fondamentale che gli interventi di manutenzione della vegetazione spondale siano programmati secondo un approccio integrato, in cui la vegetazione ripariale sia anche concepita come elemento fondamentale dell’ecosistema fluviale, in grado di svolgere varie ed importanti funzioni.

Senza pretese di completezza, si possono qui richiamare alcune fra queste fondamentali funzioni, svolte dalla vegetazione riparia:

- ruolo di filtro biologico e fisico nei confronti degli inquinanti (in particolare sostanze eutrofizzanti, azoto e fosforo) presenti nelle acque di dilavamento dei suoli agricoli e urbani, riducendone la veicolazione nei corsi d’acqua;

- ruolo termo-regolatore, per l’effetto dell’ombreggiatura sulle acque;

- aumenta il valore ecologico e la biodiversità di un territorio, in quanto la vegetazione ripariale si situa all’interfaccia tra l’ecosistema terrestre e quello fluviale, costituendo un habitat preferenziale per molte specie animali e vegetali, fungendo anche da fondamentale corridoio ecologico;

- rappresenta una componente paesaggistica da valorizzare, soprattutto nei centri urbani, dove il corso d’acqua e le sue rive potrebbero rispondere alla richiesta crescente di aree naturali di qualità, che permettano lo svolgimento di attività ricreative [3].

Si tratta pertanto di orientare e progettare interventi costanti, non saltuari, “che non implichino la distruzione totale della vegetazione arborea, quanto il suo costante controllo secondo criteri distributivi e strutturali, compatibili con il buon deflusso delle acque nei periodi di piena; interventi che tengano conto di un utilizzo della vegetazione ai fini del consolidamento dei terreni e della difesa delle rive stesse” [4].

Ancora, gli interventi dovranno garantire il mantenimento della continuità spaziale del corridoio fluviale [5], pena l’interruzione del ruolo di corridoio ecologico (almeno per quanto ne rimane), che già è minacciato e spesso letteralmente stravolto dalle interferenze con le aree antropizzate che il fiume attraversa.

La corretta manutenzione del territorio
La presenza e l’attività umana interferiscono in maniera pesante con l’assetto fluviale globalmente inteso (fondovalle e fascia fluviale, versanti vallivi): lo manifesta il modello di sviluppo territoriale-urbano fin qui applicato, basato sulla sottrazione indiscriminata di spazi naturali, che non è più sostenibile. Ma lo manifesta anche un complesso di situazioni quali l’abbandono dei presidi forestali nella parte alta del bacino, la scarsa o assente gestione delle acque sui versanti (abbandono delle pratiche di manutenzione dei fossi), alcune pratiche agronomiche “scorrette” (come la disposizione dei filari a rittochino o le profonde modificazioni morfologiche per agevolare la meccanizzazione agricola).

Schematizzando queste situazioni agiscono in maniera differente e contraddittoria fra loro, traducendosi sostanzialmente in:

- aumento del consumo di suolo per erosione e trasporto, con perdita di capacità d’uso, crescente limitazione alle culture tipiche, omogeneizzazione colturale ed ecologica, perdita di biodiversità[6];

- aumento delle superfici impermeabilizzate che da un lato provoca l’aumento dei deflussi superficiali e relativa crisi del reticolo idrografico, dall’altro si traduce ovviamente in ulteriore perdita di suolo;

- incremento dell’evoluzione dissestiva sui versanti;

- rimozione totale dei residui lembi boscati sui versanti coltivati: l’intenso sfruttamento agrario ha fatto sparire gli ultimi tratti di bosco, delle siepi e alberate, delle poche cortine verdi tra i differenti appezzamenti;

- l’abbandono delle pratiche colturali e della gestione forestale sugli alti versanti [7].

Legate ad ognuno degli aspetti elencati, si individuano alcune azioni, attività e pratiche manutentive da promuovere, che possono portare ad un miglioramento dell’assetto idraulico-forestale.

Dalle attività più semplici, quali l’inserimento di siepi ed alberate interpoderali, al miglioramento della rete stradale bianca per una corretta gestione delle acque, dal rifacimento e la gestione della rete di raccolta delle acque superficiali, al deciso cambiamento da attuarsi nelle pratiche agronomiche, che devono arrivare a prevedere l’inerbimento dei vigneti e dei corileti, nell’ottica essenziale di aumentare l’infiltrazione, diminuire la capacità erosiva del ruscellamento, migliorare gli aspetti paesaggistici.

Si passa evidentemente poi a livelli di pianificazione di bacino, con l’incremento delle superfici boscate e la previsione di adeguati criteri di gestione forestale per evitare l’abbandono dei terreni e la perdita della diversificazione delle essenze.

I criteri che dovranno guidare la progettazione di tali interventi saranno comunque sempre quelli della “a scala di bacino”, in un’ottica di gestione che vede l’asta, la fascia fluviale, il fondovalle ed i versanti come elementi costituenti un ecosistema unitario.

Quello che si prospetta infine, non è più un approccio strutturale intensivo (in un’ottica tradizionale) ma un approccio diffuso, dove l’attuazione possa anche essere affidata agli operatori che vivono ed agiscono sul territorio con il quale hanno quindi legami storici e di conoscenza diretta, mediante innanzitutto una crescita culturale rispetto a tutto l’insieme delle problematiche che sono state affrontate.

NOTE:

[1] McHarg Ian L., Progettare con la Natura, New York, 1969, Franco Muzzio, Roma 1989.

[2] Rinaldi M., Gumiero B., Il recupero dei processi geomorfologici nei progetti di riqualificazione fluviale: problematiche e casi di studio in Italia. Geologia dell’Ambiente, Anno XVI, n. 1/2008.

[3] Valgano a titolo di esempio, molti dei lavori presentati dagli alunni delle scuole elementari e medie della Valle Belbo, al Primo Concorso di Cultura Ambientale promosso dall’Associazione Valle Belbo Pulita nell’anno 2013, dove uno dei temi, svolto dagli alunni con passione e notevole competenza paesaggistica, era proprio quello della valorizzazione delle aree abbandonate, trascurate e dimenticate, che caratterizzano molti tratti urbani o periurbani del corso del Belbo.

[4] Regione Piemonte, Il ruolo della vegetazione ripariale e la riqualificazione dei corsi d’acqua, Atti del Seminario Nazionale, Torino, ottobre 2008.

[5] Francesca Ciutti, Vegetazione riparia e funzionalità dell’ecosistema fluviale, Forestry 2003, Padova, febbraio 2003.

[6] Uno studio sperimentale svolto tra il 2005 ed il 2006 dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino per il Comune di Nizza M.to, ha evidenziato una situazione insostenibile, dal punto di vista dell’erosione e perdita di suolo agrario sui terreni collinari. Prendendo in esame alcune zone tipiche (coltivazioni a vigneto, aree agricole, reticolato viario interpoderale e comunale), i risultati sperimentali hanno evidenziato valori di erosione potenziale compresa fra 20,6 e 55,1 t/ha/anno nella situazione di attuale gestione dei coltivi, mentre nell’ipotesi di inerbimento al 60%, l’erosione potenziale scende a valori fra 4,1 e 8,6 t/ha/anno. Si evidenzia pertanto il fondamentale ruolo antierosivo che gioca il rivestimento vegetale dei terreni e dei coltivi.

[7] L’analisi dei fattori di pressione relativamente all’Agricoltura evidenzia che il bacino del Torrente Belbo ricade, secondo lo schema classificativo del PSR 2007-2013, nelle “aree rurali intermedie”, in cui l’analisi SWOT evidenzia una diffusa minaccia di “Dissesto del territorio per abbandono delle pratiche rurali e forestali”.

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