Marciare per la terra: un rito sacrale



di Gino Scarsi (intervento finale alla Marcia per la Terra tenutasi a Cuneo il 21 aprile scorso).


E’ forse la prima volta che succede dopo tanto tempo, si torna a marciare per la terra. Questa volta usiamo lo  strumento più collaudato che abbiamo, scendere in piazza, usare il buon cammino per mettere al centro dell’attenzione ciò che per noi è più importante: madre terra. E, di riflesso, certamente l’uomo, la natura e il paesaggio.
Ma badate: questa è una marcia beneaugurante di "ritorno"; per questo vogliamo sperare possa ridisegnare un vecchio sentire, legato alla sacralità della terra ...

Troppo in fretta abbiamo sepolto un mondo di sapienza contadina e artigiana e ne stiamo pagando carissimo il prezzo.
Ho detto che torniamo a marciare per la terra perché già lo si faceva con le rogazioni e questo soltanto la generazione prima della mia; un rito collettivo pre-cristiano trasformato nelle processioni campestri che in qualche caso hanno resistito come folklore, additate, con sufficienza come ancestrale residuo di una cultura ormai morta.
Eppure le rogazioni muovevano decine di migliaia di persone, ogni anno, agli inizi del mese di maggio; qui nella provincia di Cuneo e in tutto il Piemonte, da ogni paese e da ogni più piccolo villaggio, alle cinque-sei del mattino in processione si marciava verso la campagna per un inno di lode a madre terra, per impetrarne la sua fecondità e per invocare misericordia e clemenza dagli eventi naturali.

Di questa realtà ho avuto la possibilità di viverne qualche ultimo spicchio da chierichetto, a sei-sette anni; ricordo come un sogno le rarefatte atmosfere di una campagna al primo risveglio e gli slogan  ripetuti del corteo (in pratica le litanie in processione):
Pater de Caelis Deus, miserere nobis – Fili Redemptor mundi  Deus, miserere nobis – Spirito Sancte Deus, Miserere nobis …


Si aveva l’umiltà di invocare  misericordia mentre adesso un delirio di onnipotenza porta allo scontro continuo con le leggi naturali. E puntualmente si perde la battaglia con morti sul campo che non stiamo più neanche lì a seppellire ...
Le emozioni e il fascino che quella campagna e quel paesaggio suscitavano sono impossibili da comunicare alle nuove generazioni; era come stare su un altro pianeta, come se nelle ultime due generazioni avessimo steso su tutto un velo di plastica.

Sono convinto che questa nostra marcia, che io trovo molto bella perché penso che si porti dietro la parte buona del cambiamento avvenuto, si agganci in qualche modo allo spirito delle rogazioni seppure in chiave laica.
Io penso che noi tutti siamo qui per un rito di PENITENZA COLLETTIVA, per una DICHIARAZIONE D’AMORE e per una SOLENNE PROMESSA.
Il perdono a  Madre Terra sappiamo tutti benissimo perché va richiesto, ma facciamoci aiutare dal grido di un poeta, Andrea Zanzotto:
Ti abbiamo intossicata, sconquassata, rosicchiata, castrata, non per il bene nostro che da te non può separarsi, ma per l’avidità di pochi gufi dal gozzo pieno, zeppi fino all’intontimento e pur sempre intenti a sgranocchiare per le bave di soldi lumacosi, marci, fradici ...”.

E poi siamo qui per una dichiarazione d’amore a Madre Natura, ai paesaggi e alla terra che abitiamo; non riusciamo ad essere dei freddi robot, indifferenti a egoismi e incontinenze di una minoranza di speculatori, non ci rassegniamo a veder sparire giorno dopo giorno una parte di noi stessi.
Dichiariamo la nostra solidarietà completa agli ultimi e lottiamo per il superamento delle ingiustizie perché siamo convinti che il valore dell’uomo stia  nel punto più alto, ma siamo maggiormente convinti che la difesa di questi valori non possa essere disgiunta dalla cura del creato, perfino un Papa se n’è accorto.  
Senza passare per inguaribili sentimentali vogliamo poter pensare a prati verdi, al ronzio degli insetti, a una terra madre e non matrigna, a un paesaggio amato come un fratello e una sorella.

L’ultima cosa è una promessa e sarebbe bello fosse corale: la promessa fatta dai partecipanti a questa manifestazione a guardare con occhi nuovi Pacha Mama, Madre terra. Guardata come a una madre ritrovata in tutte le sue espressioni, anche quelle più scomode, l’impegno a interessarsi, a non fregarsene di quello che succede nel nostro piccolo territorio di città, paese, campagna, non lasciare carta bianca agli esperti, ficcare il naso.

I piani regolatori non nascono per caso, occorre una nuova sensibilità che veda nel risparmio totale dei suoli fertili e nel  recupero e  riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente il primo e fondamentale passo per una nuova stagione umana e  urbanistica degna di questo nome.

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