di Guido Bonino.
Prendo visione di quanto pubblicato in data 15 marzo da "La Stampa" edizione di Asti circa il sovradimensionamento dei piani regolatori, valore che per il comune di Asti supera di oltre il 40% il dato della popolazione attuale. A ciò va aggiunta la presenza di contenitori – anche pubblici – vuoti: ne sono esempio il vecchio ospedale, l’ex maternità, molti fabbricati di quella che fu la caserma Colli di Felizzano, la struttura della Caserma Mutti e via dicendo ...
Mentre l’ampliamento dell’area urbana a discapito del verde che è sistematicamente sottratto all’agricoltura fa sorgere nuovi quartieri, non solo produce nuovi immobili (sovente di scarso pregio e che rimangono invenduti), sottrae soprattutto valore immobiliare alle costruzioni presenti nel concentrico urbano come nelle frazioni, ed in tale perdita immobiliare vanno annoverati anche gli immobili pubblici dei quali quella citata è solo una campionatura.
Chiaro che, mentre da un lato la collettività perde suolo agricolo e le attività ad esso connesse, per altro verso sempre la collettività vede ridursi il valore del patrimonio immobiliare comune. In altre parole: l’operatore immobiliare che prima trae i propri redditi dall’acquisire a basso prezzo aree agricole per poi edificarle, urbanizzarle e lasciare alla pubblica amministrazione gli oneri della loro gestione futura, potrà poi acquisire a prezzo inferiore gli immobili pubblici in quanto in carenza richiesta avendo l’offerta del nuovo già saturato il mercato immobiliare.
Doppio vantaggio per l’operatore immobiliare, e … doppia perdita per la collettività.
Altro esempio di perversione del rapporto pubblico/privato del sistema immobiliare lo si riscontra là dove vengono proposte le demolizioni dei contenitori esistenti: il valore dell’immobile esistente sarà dato dal valore di quanto su quell’area ricavabile – con eventuali premi di cubatura e quant’altro – dedotte le spese per la demolizione dell’esistente e la conseguente nuova edificazione. Anche in questo caso il vantaggio per l’operatore sarà doppio: i costi della demolizione rappresentano per lui per un verso utili operativi e per l’altro riduzione del prezzo da versare all’ente pubblico per acquisire l’immobile.
Operazioni come quella all’edificio delle scuole elementari di piazza Vittorio Veneto, o all’ex torre dell’acquedotto di via Conte Verde, dimostrano come le strutture esistenti costituiscano un capitale che non va demolito, ma esclusivamente convertito dopo un’attenta analisi di quanto esistente, nonché della tipologia edilizia - sia dell’intervento che del prodotto finale - che si andrà a fine operazione a ricollocare sul mercato: senza ulteriore consumo di suolo, e senza nuove opere di urbanizzazione da gestire dalla pubblica amministrazione in eterno (in controtendenza quindi con la riduzione dei trasferimenti), e senza lasciare scheletri inutilizzati sul territorio.
Credo che da questa breve riflessione emerga un solo concetto: le operazioni immobiliari non devono essere lasciate agli operatori immobiliari privati, ma devono essere patrimonio della collettività e pertanto essere gestite dalla pubblica amministrazione che solo dopo oculate analisi delle necessità urbanistico/edilizie della città, nonché delle peculiarità valutative/commerciali di un’area o di un immobile, ne assegnerà la destinazione e la programmazione da porsi alla base dell’intervento degli operatori privati.
Diversamente, come accaduto finora ed opportunamente segnalato dal movimento Stop al Consumo di Territorio, si opererà senza nemmeno conoscere la reale dimensione dei volumi edificati inutilizzati, compiendo operazioni immobiliari che - come di fatto sta accadendo – non hanno più alcuna valenza positiva sia per gli operatori del settore e sia per la collettività.