Ho voluto la bicicletta. (O, anche: Fanc**o i ciclisti !)


di Matteo Scarabelli.


Perché la bicicletta dà tanto fastidio? E per quale ragione la mobilità urbana scalda le discussioni come il calcio e la politica? Secondo me è per paura. Paura del cambiamento. Come succede per i vegani.
Vegani e ciclisti hanno molto in comune ...

Me ne sono accorto una sera, al termine di una di quelle discussioni "auto contro bici" che mi sono ripromesso di non affrontare più perché, salvo rarissime eccezioni, si dimostrano sterili e ideologiche. Me ne sono accorto quella sera, ma in realtà era una cosa a cui pensavo da tanto tempo cercando di rispondere a una domanda: per quale motivo il ciclismo urbano, il muoversi per la città pedalando, l'andare in bicicletta, insomma, è diventato un argomento così scottante? Stiamo parlando di una modalità di trasporto, in fondo. Eppure, di questi tempi, è benzina sul fuoco delle discussioni, come il calcio di rigore negato all’Inter, l’espulsione del Milan, il gol in fuorigioco della Juve. Osservando tutto ciò, mi sono venuti in mente i vegani.

Avete mai notato che polemiche scatena un vegetariano a tavola? Ecco: moltiplicate per cento e avrete un’idea di quel che può innescare un vegano, che oltre a carne e pesce, rinuncia nella sua dieta a qualunque alimento di natura animale. Quindi niente uova, latte, burro, formaggio, yogurt. Io ho grande simpatia per i vegani. Frequentandoli ho visto da vicino come, parlando della loro scelta, vengano spesso trascinati oltre il confine alimentare. Se il punto di partenza è il cibo, quello di arrivo è quasi sempre la società dei consumi che non permette di fare certe scelte. O, peggio, che le rende del tutto marginali. Perché, alla fine, si può anche evitare di mangiare il tacchino ma questo non risolverà i problemi del mondo. Insomma, il sistema è fatto così ed è inutile tentare di cambiarlo.
Ecco, si tira su un bel muro per evitare di vedere la realtà. La realtà di dolore e crudeltà di cui è fatta l’industria della carne, per esempio. Ma anche la realtà della salute degli animali che mangiamo. Che si ripercuote - va da sé - anche sulla nostra. Non è una valutazione soggettiva, è un dato di fatto. Poi si può anche scegliere di non vedere, non sapere, non pensarci. Ma è un altro discorso...

Succede lo stesso con la bicicletta. I numeri dicono che l’Italia, con i suoi 37 milioni di veicoli, è il paese con il più alto tasso di motorizzazione in Europa. E adesso di auto non se ne vendono più (anche se nessuno sembra rassegnarsi a questa evidente realtà). I numeri dicono che l’aria in molte città è irrespirabile: a Milano, per fare un esempio, da ottobre ad aprile, il PM10 è stabilmente oltre i limiti consenti dalla legge. E lo è da dieci anni.
I numeri dicono anche che le strade italiane sono pericolose: sempre negli ultimi dieci anni la media è quasi di un ciclista ucciso al giorno. Eppure i ciclisti sono sempre più odiati. Odiati, sì. Non è una parola a caso, è proprio il sentimento dichiarato da tantissimi nei confronti di chi va in bicicletta. Da Filippo Facci a Giorgio Terruzzi, passando per i tanti gruppi su Facebook per arrivare agli hacker che, qualche giorno fa, hanno attaccato il profilo di #salvaiciclisti per pubblicare commenti del tipo: "Mi propongo come cecchino la domenica mattina per le vie del centro , missione: abbattimento del ciclista". Oppure: "Usiamoli come birilli, facciamo il gioco del bowling con le palle umane". E ancora: "Possa essere la parola Scania l'ultima cosa che leggete". Anche questi sono dati di fatto. Poi si può anche scegliere di non vedere, non sapere, non pensarci.
Ma è sempre un altro discorso...

Qual è il punto? Il punto è che tanto i ciclisti quanto i vegani sono portatori di un cambiamento radicale. Tentano di ribaltare un equilibrio che, per quanto dannoso, ingiusto e antieconomico, rappresenta una sicurezza per la maggioranza. È questo che fa alzare la temperatura della discussione.
I vegani mangiano in quel modo perché vorrebbero un mondo che garantisse gli stessi diritti a tutti gli esseri viventi della Terra. Uomini, scimmie, balene, cavalli, dromedari, aironi.
I ciclisti si battono per una strada sicura in cui portare il loro mezzo di trasporto. Il che, però, significa implicitamente una nuova concezione dello spazio urbano. E quindi delle città diverse. I ciclisti, di fatto, rivendicano un nuovo spazio in cui pedalare. Quindi stare. E di conseguenza vivere (anche dopo essere scesi dalla bici).
Avete idea di quanto territorio si potrebbe ricavare eliminando la metà del parco automobili di una città? E quante iniziative, progetti, attività, potrebbero essere organizzati su quella nuova porzione di città?
Cibo e bicicletta non c’entrano nulla. È l’attacco a quel che viene considerato “normale” il nervo scoperto di chi se la prende con i ciclisti e i vegani. E pazienza se il pollo è pieno di ormoni e antibiotici, l’importante è che sia disponibile nella rassicuranti confezioni del supermercato. E pazienza se più biciclette farebbero guadagnare salute (a tutti, anche ai non ciclisti) oltreché risparmiare denaro.
Pazienza, perché si fa così. Si va in auto.

E fanc**o i ciclisti!

Tratto dalla newsletter dell'Istituto Sereno Regis di Torino.

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