Il Movimento Stop al Consumo di Territorio, l'Osservatorio del Paesaggio e diversi privati cittadini hanno consegnato all'ufficio Urbanistica del Comune di Asti le loro dettagliate "osservazioni" alla variante strutturale al Piano Regolatore progettata per aggiungere un po' di nuovo cemento nelle belle Frazioni del capoluogo. Nei prossimi giorni tutti i documenti saranno visibili sul sito http://www.astiterritorio.org/ ; AltritAsti pubblica in anteprima il documento prodotto dal Movimento Stop al Consumo di Territorio ...
Al Comune di Asti
Assessorato Urbanistica
Asti, 12/12/2011
OSSERVAZIONI ALLA VARIANTE STRUTTURALE PER LE PREVISIONI DI INSEDIAMENTO NEI NUCLEI FRAZIONALI DEL COMUNE DI ASTI
Il movimento di opinione STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO opera a livello nazionale con l’obiettivo di fermare il consumo di suoli liberi, agricoli e boschivi, basandosi sulle esperienze in atto in alcuni Comuni italiani che hanno adottato Piani Regolatori a “crescita zero urbanistica” grazie alla concertazione tra amministratori, tecnici e cittadini.
Attualmente, l’adesione al Movimento vede la presenza di numerosi cittadini astigiani tra i firmatari del manifesto nazionale e astigiana è anche, sin dalla fondazione del Movimento, la segreteria nazionale; per questo motivo intendiamo esprimere un nostro documento di “Osservazioni” alla Variante Frazionale di Asti sottolineando che il suolo è un bene comune oltre che una risorsa non rinnovabile.
Di fatto, il nostro Movimento propugna il consumo zero di nuovi suoli per tutta una serie di motivazioni assolutamente realistiche oramai condivise da alte personalità in campo ambientale ed urbanistico, per cui non possiamo essere d’accordo con l’attuale proposta di piano presentata che, pur contenendo aspetti positivi, prevede nuovo consumo di suolo.
OSSERVAZIONI DI CARATTERE COMPLESSIVO
Il suolo libero costituisce una risorsa non rinnovabile per l’uomo, la società, la natura e l’ambiente: come pausa spazio di rallentamento e silenzio, come natura fruibile e abitabile, come spazio di complessità ecologica, come presupposto della produzione agricola e del relativo servizio ecologico. Il suolo va preservato e occupato con usi non reversibili solo se e quando necessario: questo non è il nostro caso.
Occorre ridurre i consumi della risorsa suolo. La necessità di ogni uso trasformativo del suolo (nuova occupazione o sostituzione di occupazione già esistente) deve essere oggetto di un iter di valutazione al fine di evitare la facile e non sostenibile sottrazione di spazio e funzioni alla natura e alle risorse ecologiche ed ambientali in generale e la perdita di risorse biologiche esistenti o che potenzialmente si insedierebbero. Il consumo del suolo, in qualunque forma e copertura esso si presenti, o la sua alterazione da parte di un’attività antropica, rappresenta dunque una forma di danno all’ambiente e all’ecosistema in quanto modifica l’assetto e le condizioni originarie dell’ambiente.
Il territorio è un bene comune. Qualunque politica territoriale deve avere origine e fine nell’esclusivo interesse della collettività, secondo modalità coerenti con i caratteri fisici, morfologici, biologici, storico-culturali e paesaggistici propri del territorio considerato.
Le strategie e le scelte delle amministrazioni locali in materia di politiche territoriali devono vedere il completo coinvolgimento delle comunità locali. Qualunque decisione in materia deve essere il risultato condiviso di una discussione aperta a tutti i cittadini, ai quali va assicurata la possibilità di esprimere la propria opinione in sede di progetto, individuando la migliore tra le possibili situazioni, che privilegi il rispetto del territorio, dell’ambiente e della salute di tutti.
Il territorio è un’opera d’arte. La sua architettura è il risultato di un processo storico di adattamento alla morfologia originaria da parte delle diverse culture umane che lo hanno abitato. Questo processo ha definito l’identità del luogo. Ogni intervento nel territorio deve comporsi nella sua architettura e riconoscerne l’identità.
Aggiungiamo che se, fino ad oggi, la “crescita zero” urbanistica poteva essere considerata una conquista dei soli Comuni di piccola dimensione, il nuovo PTCP della Provincia di Torino, il nuovo Piano Regolatore di Napoli e la costituzione del tavolo del coordinamento delle Agende 21 italiane sul tema del consumo di suolo dimostrano come la salvaguardia dei suoli sia oggi una priorità del nuovo modo di concepire la sostenibilità a partire dai nostri contorni municipali.
OSSERVAZIONI SPECIFICHE
Osservazione numero 1.
Desideriamo, inoltre, richiamare alla Vostra attenzione quanto contenuto nel recente PTR-Piano Territoriale Regionale, che ci pare non sia stato minimamente tenuto in considerazione nell’elaborazione del Piano. In particolare riportiamo qui per esteso gli articoli 31 ed 32:
Art. 31. Contenimento del consumo di suolo
[1] Il PTR riconosce la valenza strategica della risorsa suolo, in quanto bene non riproducibile, per il quale promuove politiche di tutela e salvaguardia, volte al contenimento del suo consumo.
[2] Il consumo di suolo è causato dall’espansione delle aree urbanizzate, dalla realizzazione di infrastrutture, dalla distribuzione sul territorio delle diverse funzioni o da altri usi che non generano necessariamente impermeabilizzazione (attività estrattive, aree sportive-ricreative, cantieri, ecc.) e che comportano la perdita dei caratteri naturali e producono come risultato una superficie artificializzata.
[3] La compensazione ecologica rappresenta una modalità per controllare il consumo di suolo, destinando a finalità di carattere ecologico, ambientale e paesaggistico, alcune porzioni di territorio, quale contropartita al nuovo suolo consumato.
Indirizzi
[4] Gli strumenti per il governo del territorio assumono come obiettivo strategico la riduzione ed il miglioramento qualitativo dell’occupazione di suolo in ragione delle esigenze ecologiche, sociali ed economiche dei diversi territori interessati.
[5] La pianificazione settoriale, in coerenza con le finalità del PTR, definisce politiche volte a contenere il consumo di suolo e la frammentazione del territorio derivanti dalle azioni oggetto delle proprie competenze.
[6] La pianificazione locale definisce politiche di trasformazione volte a:
a) garantire un uso parsimonioso del territorio favorendo lo sviluppo interno agli insediamenti, attribuendo priorità assoluta per le aree urbanizzate dismesse e da recuperare, contrastando il fenomeno della dispersione insediativa;
b) limitare il consumo di suolo agendo sull’insediato esistente (trasformazione e riqualificazione), tutelando il patrimonio storico e naturale e le vocazioni agricole ed ambientali del territorio, anche mediante misure di compensazione ecologica;
c) ridurre all’indispensabile gli interventi di nuova edificazione, demolizione e ricostruzione di edifici nelle aree rurali se non strettamente funzionali all'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale e delle attività integrative.
Direttive
[7] Per il monitoraggio del consumo di suolo, la Giunta regionale predispone strumenti atti a realizzare un sistema informativo coerente e condiviso aggiornabile almeno ogni cinque anni, nonché criteri e metodologie per il contenimento del consumo di suolo (banche dati, linee guida, buone pratiche), garantendo il necessario coordinamento con le province che collaborano alla predisposizione di tale sistema.
[8] Il piano territoriale provinciale, anche sulla base delle indicazioni di cui al comma 6, definisce soglie massime di consumo di suolo per categorie di comuni, anche in coerenza con quanto previsto dal PPR, ed in ragione delle seguenti caratteristiche:
a) superficie complessiva del territorio comunale;
b) fascia altimetrica;
c) classi demografiche;
d) superficie del territorio comunale che non può essere oggetto di trasformazione a causa della presenza di vincoli;
e) superficie urbanizzata;
f) dinamiche evolutive del consumo di suolo nell’ultimo decennio o quinquennio;
g) densità del consumo di suolo in relazione alle diverse destinazioni d’uso.
[9] La pianificazione locale, al fine di contenere il consumo di suolo rispetta le seguenti direttive:
a) i nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali possono prevedersi solo quando sia dimostrata l’inesistenza di alternative di riuso e di riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti. In particolare è da dimostrarsi l’effettiva domanda previa valutazione del patrimonio edilizio esistente e non utilizzato, di quello sotto-utilizzato e di quello da recuperare;
b) non è ammessa la previsione di nuovi insediamenti residenziali su territori isolati dagli insediamenti urbani esistenti. Il nuovo insediato deve porsi in aree limitrofe ed organicamente collegate alla città già costruita, conferendo a quest’ultima anche i vantaggi dei nuovi servizi e delle nuove attrezzature, concorrendo così alla riqualificazione dei sistemi insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme;
c) quando le aree di nuovo insediamento risultino alle estreme propaggini dell’area urbana, esse sono da localizzare ed organizzare in modo coerente con i caratteri delle reti stradali e tecnologiche e concorrere, con le loro morfologie compositive e le loro tipologie, alla risoluzione delle situazioni di frangia e di rapporto col territorio aperto evitando fratture, anche formali, con il contesto urbano. Nella scelta delle tipologie del nuovo edificato sono da privilegiare
quelle legate al luogo ed alla tradizione locale;
d) promuove il ricorso alla compensazione ecologica, anche mediante l’utilizzo di tecniche perequative.
[10] In assenza della definizione delle soglie di cui al comma 8 le previsioni di incremento di consumo di suolo ad uso insediativo consentito ai comuni per ogni quinquennio non possono superare il 3% della superficie urbanizzata esistente.
[11] La soglia di cui al comma 10, quando le previsioni siano coerenti con le indicazioni e prescrizioni del PTR e del PPR, potrà essere superata per la realizzazione di opere pubbliche non diversamente localizzabili, in caso di accordo tra Regione, provincia e comuni per la realizzazione di interventi di livello sovralocale o nel caso di piani intercomunali
o di singoli piani redatti sulla base di accordi e/o intese con i comuni contermini, mediante il ricorso a sistemi perequativi e compensativi.
Art. 32. La difesa del suolo
[1] Il PTR riconosce la valenza strategica delle tematiche inerenti la difesa del suolo e la prevenzione del rischio geologico ed idrogeologico quali componenti indispensabili per un consapevole governo del territorio.
[2] Il PTR, a tal fine, promuove azioni finalizzate alla conoscenza del territorio regionale,
all’attuazione di interventi, strutturali e non, per la mitigazione del rischio, il recupero della qualità idromorfologica e per la valorizzazione degli ambienti naturali oltre che alla definizione di indirizzi e azioni di pianificazione coerenti con le caratteristiche di vulnerabilità presenti sul territorio regionale.
[3] Le azioni di cui al comma 2, con particolare riferimento alle tematiche più complesse
(attività estrattive, gestione dei sedimenti, manutenzioni del territorio e dei corsi d’acqua, mitigazione e monitoraggio dei fenomeni franosi) interagiscono direttamente con il territorio, ed incidono significativamente su questo imponendo, prioritariamente, l’esigenza di correlare le problematiche di fragilità dei domini fluviali e dei territori montani e collinari con le linee strategiche di sviluppo del territorio. In questo contesto dovranno privilegiarsi le opzioni di sostenibilità e di basso impatto ambientale.
Indirizzi
[4] La pianificazione territoriale a livello provinciale e comunale costituisce lo strumento
attraverso il quale dare attuazione alle politiche di difesa del suolo e di prevenzione del rischio idrogeologico, in coerenza con gli obiettivi del PTR e del Piano di bacino.
[5] Le province devono conseguire le Intese con la Regione e con l’Autorità di bacino del Po sul proprio piano territoriale (ai sensi del d.lgs. 112/1998 e della l.r. 44/2000):
a) condividendo le conoscenze e le criticità locali in forma di copianificazione,
b) approfondendo e analizzando il territorio interpretandone le peculiarità con criteri di univocità per ogni bacino o sottobacino,
c) definendo obiettivi, azioni e progetti per uno sviluppo sostenibile, anche da attuare attraverso i piani locali.
[6] Tutti i piani dì settore, fin dalla fase preliminare della loro predisposizione, devono confrontarsi con le caratteristiche geomorfologiche e idrauliche del territorio sul quale andranno a incidere, considerandone la vulnerabilità, valutando i possibili impatti e adeguando, in base a questi, le proprie azioni, prevedendo altresì interventi di mitigazione e compensazione qualora dette azioni aggravino la vulnerabilità dei beni esposti o il rischio sul territorio.
Direttive
[7] I comuni, nella redazione dei propri strumenti di pianificazione, devono definire obbligatoriamente il quadro del dissesto a livello comunale in adeguamento al PAI secondo
le procedure in vigore per garantire che le scelte da attuare anche attraverso strumenti
concertativi o di programmazione negoziata, siano coerenti e compatibili. Sono auspicabili interventi di tipo perequativo tra comuni per favorire la realizzazione di interventi (vasche di laminazione, ecc.) per la mitigazione del rischio idraulico e la messa in sicurezza dei territori.
[8] La pianificazione locale, nella realizzazione di nuovi insediamenti per attività produttive o terziarie, residenziali, commerciali o di opere infrastrutturali dovrà privilegiare l’ubicazione in aree non soggette a pericolosità o a rischio idrogeologico; solo in seconda istanza potrà esserne consentita l’ubicazione in aree di moderata pericolosità, così definite dalla normativa del PAI, limitando in tal modo il numero di opere esposte a rischi di natura idraulica ed idrogeologica e contenendo, al contempo, i costi economici e sociali per la realizzazione di nuove opere di difesa.
[9] I comuni nei cui territori il PAI abbia individuato aree a “rischio molto elevato” (RME), devono definire il quadro del dissesto e della pericolosità in modo condiviso con la Regione e la provincia di appartenenza, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di responsabilizzazione degli enti, al fine di poter affrontare le modalità e i tempi per la revisione di tali aree.
[10] Le comunità montane nell’ambito degli strumenti di programmazione previsti dal Testo
unico delle leggi sulla montagna (l.r. 16/1999 e s.m.i.) individuano le azioni di manutenzione e difesa del territorio in coerenza con gli obiettivi del PTR e del Piano di bacino e in accordo con la pianificazione territoriale a livello provinciale.
Osservazione numero 2.
Vogliamo anche sottolineare come la Variante strutturale in questione risulti, a nostro avviso, assolutamente da evitarsi, nella certezza che il suo massiccio intervento sul vigente Piano Regolatore Comunale dovrebbe imporre un più consono percorso, ovvero la completa ridefinizione di un nuovo Piano urbanistico e non già qualche ulteriore variante, per giunta di così rilevante portata. Ricordiamo che proprio nei giorni scorsi l’amministrazione comunale ha promosso un primo incontro pubblico con cui si è posta la “prima pietra” per la progettazione di un nuovo Piano Regolatore e troviamo strano (ed errato) che a fronte di una simile decisione venga parallelamente avviata una variante che stravolgerà l’assetto delle frazioni di Asti.
Osservazione numero 3.
Riteniamo che diversi tra i rilievi mossi dalla Regione Piemonte in data 27/9/2007 non trovino risposte esaustive nel Piano Frazionale formulato, in particolare gli impatti sul nuovo sistema viario e il divieto di sviluppo “lineare nastriforme” lungo gli assi stradali e/o la “ricucitura urbanistica” di ambiti territorialmente differenti e/o la previsione di nuove aree di espansione urbana o frazionale in ambiti agricoli isolati.
Osservazione numero 4.
La capacità insediativa residenziale del P.R.G.C. della città di Asti è di 127.503 abitanti potenziali, a fronte dei 76.641 reali abitanti attuali.
Nel 2010 la popolazione di Asti era pari a 75.910 abitanti, nel 2002 era di 71.231, nel 1981 era di 77.681 persone: nell’arco degli ultimi trent’anni, dunque, la popolazione residente è addirittura diminuita e tale dato storico dovrebbe imporre una revisione del PRGC che basi le proprie previsioni espansive esclusivamente sul trend demografico effettivo registrato negli ultimi trenta anni.
Osservazione numero 5.
Facendo riferimento ad una sentenza del Consiglio di Stato non recente ma interessante per la sua stretta analogia col tema (C. Stato sez. 4 17.10.1985 n. 436) sottolineiamo che il Piano Frazionale: "è carente di istruttoria in ordine al fabbisogno abitativo ed è pertanto illegittimo il piano di zona per l'edilizia economica e popolare (PEEP) le cui dimensioni siano state calcolate non con riferimento all'andamento demografico previsto per il decennio a venire bensì soltanto con riferimento alle previsioni di espansione dell'abitato urbano assunte in base allo strumento urbanistico generale redatto alcuni anni prima. Considerati infatti i diversi effetti delle previsioni di piano regolatore e la loro diversa efficacia temporale rispetto a quelli propri del PEEP, la stima del fabbisogno ai fini della formazione del secondo non può essere desunta puramente e semplicemente dalle previsioni di espansione contenute nel primo" (previsioni che nel caso di Asti si sono rivelate clamorosamente sbagliate per eccesso).
Dunque Vi invitiamo a voler rivedere la Variante strutturale per le previsioni di insediamento nei nuclei frazionali di Asti alla luce di tali necessarie attenzioni.
Con vive cordialità.