di Paolo X Viarengo.
Primo nome ufficiale per le prossime elezioni comunali ad Asti e non è una notizia da poco, poichè questa volta le forze di centro-sinistra hanno scelto un candidato unico per il ruolo di Sindaco: si tratta di Paolo Crivelli. Cinque anni fa le forze che oggi candidano questa personalità della società civile non avevano trovato un accordo e ognuna aveva indicato un differente soggetto, scelta che aveva escluso tutte e quattro dal ballottaggio del secondo turno...
Paolo Crivelli è piccolo di statura e tutti dicono abbia una vocetta stridula. Sabato 22 gennaio, quando ha presentato la sua candidatura alla Stampa al Nuovo Circolo Nosenzo, introdotto da una perfetta Laura Nosenzo e scortato dai rappresentanti dei suoi sostenitori (Gianfranco Miroglio per i Verdi, Mauro Bosia per Uniti Si può, Angela Quaglia per CambiAmo Asti, Mario Mortara per il Pd, Marco Castaldo per Art. 1 e Mario Malandrone per Ambiente Asti) c'ero anch'io.
E, come sempre, cerco di capire e mi è venuto in mente un filo d'erba. Gracile, modesto, indifeso, facile preda di chiunque e tanto più di chi ha fatto della politica una professione e i peli che ha sullo stomaco sono più lunghi ed affilati di qualunque filo d'erba. Affilati come gli artigli delle belve che vivono in Africa. La sua Africa. Perchè Paolo Crivelli è Mwambia, colui che inizia una strada nuova. Nome datogli oltre quaranta fa da suo suocero, un leader indipendentista keniota.
Paolo Crivelli ha studiato. Liceo Classico ad Asti e poi Medicina, servizio civile e Africa. A quei tempi la scelta del servizio civile era diversa: bisognava andare al distretto militare di Alessandria e spiegare le proprie ragioni, per poi fare due anni, anzichè uno solo. Paolo lo ha fatto ed è partito per il Kenya. Dagli anni settanta ad oggi ha lavorato 3 anni in Kenya, 2 in Somalia e 5 in Gambia, passando poi spesso i periodi di ferie dal lavoro in Italia come medico volontario in Camerun ed Uganda. All'Africa lo legano anche gli affetti famigliari: in Kenya, oltre 35 anni fa, ha conosciuto e sposato Jennifer, infermiera con cui ha avuto quattro figli che, a loro volta, gli hanno dato quattro nipoti.
Medico Cardiologo ed infettivologo, specializzato in malattie tropicali a Liverpool, parla inglese, francese e swahili. A lungo primario al reparto di malattie infettive di Asti, a maggio di quest'anno è uscito dal portone della pensione per rientrare dalla finestra delle necessità della Pandemia. Ora lavora, richiamato dalla pensione, ancora al Cardinal Massaja, dopo aver passato un periodo da medico volontario a Porto Empedocle e Lampedusa.
Quando finisce la Conferenza Stampa ed esco dal circolo Nosenzo, non ho le idee chiare. Ho sentito un medico parlare di una città da curare: scontato. Ho sentito parlare di una città del "noi" e non dell'io: già sentito. Ho sentito parlare di cultura come mezzo di crescita per ogni cittadino e non solo per far vendere qualche caffè in più ai commercianti: banale. Ho sentito parlare di coinvolgimento dei giovani, riutilizzo dei contenitori vuoti, di rivitalizzare la città e di darle, di nuovo, vita e speranza: chi non lo vorrebbe?
Ho visto un uomo minuto e buono, dedito più all'ascolto che ai proclami: l'ennesima innocente vittima sacrificale gettata in pasto ai leoni. Ho visto un volontario che si dedica ai negri e mi sembra già di sentire le voci di qualche anziano nei bar: questo qua ci riempe la città di "moru". Sconfortato, mi reco alla mia auto, che avevo lasciato al parcheggio vicino al Parco di Biberach. Apro l'auto e, nel mentre, calpesto un ciuffo d'erba cresciuta nelle crepe dell'asfalto. Istintivamente, non so perchè, mi viene da alzare il piede e quasi a scusarmi con la piantina per averlo fatto. Ma lei non si preoccupa di me. Del mio peso. Del mio cinismo. Lentamente. Inesorabilmente. Si rialza. Sembra che mi guardi. Sembra che mi dica "Non importa, non ti preoccupare se mi hai calpestata, non l'hai fatto apposta, ci sono abituata e oramai non ci faccio neanche più caso: in fondo io non sono nessuno".
Mi guarda, mite, e non sembra arrabbiata. Ma io non sono così ingenuo da scambiare la mitezza per acquiescenza: non è così. Lei è lì perchè vuole essere lì. Lei è lì perchè trova giusto vivere lì. E' mite e non si arrabbia, ma non per questo, niente che io possa fare potrà impedirle di crescere lì. Che la schiacci. Che la estirpi. Che le dia il diserbante, lei, troverà sempre il modo di crescere lì. Fra le crepe di un parcheggio di periferia. Trova giusto farlo e lo farà. Con calma. Senza gridare. Ascoltandomi e scusandomi per averla calpestata.
Perchè è inutile e controproducente fare discussioni con chi ti calpesta. Se lo fanno o è perchè sono distratti o è perchè lo vogliono fare: e in entrambi i casi è inutile arrabbiarsi o discutere. L'importante è rialzarsi. Fare quello che si è promessi a sè stessi, prima ancora che agli altri. Ma quante elucubrazioni mentali inutili, penso. Ora mi preoccupo per un inutile filo d'erba. Salgo in auto. Chiudo la portiera. Metto in moto. Ed alzo lo sguardo. Verso i tanti fili d'erba che compongono il parco Biberach. Proprio lì. A fianco della loro compagna serenamente irriducibile. Piantata nel cemento di un parcheggio di periferia...