di Daniela Grassi.
Ad Asti non ci sono, ma a Torino le incontro spesso: sono le “Pietre d’inciampo”, i cubetti di porfido dorato dell’artista Gunter Denmig che vengono posti sulla soglia di casa delle persone deportate nei campi di sterminio nazisti durante la seconda Guerra Mondiale. Ora ce ne sono molte, perché se ne incastonano di nuove ogni anno, e ogni volta che le incontro, anche se vado di fretta, mi fermo almeno per quel breve attimo necessario a leggere il nome o i nomi delle persone che un giorno sono uscite di lì, dalla loro casa, sotto minaccia armata per non tornare mai più...
E ogni volta, seppure in quel brevissimo attimo in cui leggo il loro nome, mi pare di sentirne, nel vuoto, la presenza quasi fisica di fronte a me, nel traffico e nel viavai, quasi di sentire il profumo degli abiti e delle poche cose che portavano con sé, lasciando la normalità per la disumanità, per la ferocia, che ormai li aveva artigliati.
Oggi 3 ottobre, è la Giornata della memoria e dell’accoglienza. A Lampedusa, si leggono i nomi delle 368 vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, e ovunque si ricorda chi è morto, donna, uomo, bambino, artigliato anch’esso dalla stretta di una forza infame, tentando la traversata del Mediterraneo, ma anche sulle frontiere dell’Europa o in strutture che dovrebbero essere di accoglienza.
Ad Asti da tre anni ci si riunisce nel centro della città per leggere ad alta voce i nomi di tutte le vittime di questo demone dalle mille facce, ma sempre spietato, e lo abbiamo fatto anche venerdì.
Ci è voluta circa un’ora e mezza per elencare i nomi di coloro che sono scomparsi tra il 2020 e il giugno 2021 e spesso non erano nemmeno nomi, ma numeri a identificare una persona o gruppi di due, cinque, trenta persone di cui non si sa né il nome, né la provenienza.
Tutti dovrebbero provare a leggere ad alta voce almeno una volta una piccola lista di questi nomi o numeri, perché sebbene sia doloroso, nominandoli si capiscono tante cose cominciando dal fatto che davvero siamo, insieme, un’unica grande creatura. Infatti, bisogna mantenere un certo distacco durante l’operazione, per non farsi prendere dalla commozione certo, ma anche per evitare che il respiro affannoso di queste persone, che il loro terrore e la loro disperazione, ci posseggano totalmente, e non ci traversino con troppa potenza i loro ricordi di giornate e sorrisi lontani, già illimitata nostalgia, e quelli della violenza e della barbarie subite prima d’incontrare la morte. Perché siamo tutti un’unica cosa e i nomi degli altri, a nominarli, non ci danno scampo, infinite pietre d’inciampo della nostra mancata evoluzione d’Umanità.
Una differenza segna chi usciva dal portone di casa sua per essere distrutto in un campo di sterminio da chi è partito dal proprio paese in questi ultimi anni: i primi, forse non immaginavano fino in fondo ciò che avrebbero incontrato, ma già sapevano di avviarsi sicuramente a una durissima prigionia per il pregiudizio e il disprezzo che il Mostro gli aveva cucito addosso; i secondi fuggono da situazioni di prigionia di idee, di guerra, di schiavitù fisica, di grave disagio, di carestia, con la legittima speranza di incontrare un mondo che li accolga in virtù del loro essere persone. E invece, dopo calvari spesso irriferibili, come i primi divengono fantasmi della Storia, quella con S maiuscola e quella di tutti i giorni.
L’incontro di venerdì si è concluso con un Flash Mob seguito alla sentenza nei confronti di Mimmo Lucano. Già Cicerone ricordava “Summus ius, summa iniuria”, cioè “Il massimo del diritto è il massimo dell’ingiustizia”.
L’ingiustizia senza anima, o con l’anima sporca: la massima pietra d’inciampo dell’Umanità senza umanità.