di Daniela Grassi.
Ad Asti esiste un piccolo gruppo di cittadine e cittadini, non coordinato, ma di quelli che agiscono seguendo nel loro volo le stesse coordinate: amore per la loro città e per il vasto insieme di creature che vi respirano, dandole vita, che siano persone, animali o alberi.
Ci sono, ad esempio, Paola e Teresa Lazzarato, due sorelle indomite che salvano gli alberi dal soffocamento delle infestanti e Teresa da anni è la custode spontanea del Parco del Borbore; c’è Fiore Lazzaro che con il suo trattorino in quel parco taglia l’erba per renderlo praticabile a tutti; c’è Roberto Novara, che sempre sul Borbore ha creato l’Isla Ripa, ha innestato sedie poetiche e un tepee, e ora è giunto al Bosco dei Partigiani portando il Boccino d’oro come simbolo luminoso di una visione sull’Oltre, sul Possibile, che accomuna le generazioni che cercano la via alla libertà...
E ci sono tanti altri di cui non conosciamo i nomi, ma che ogni giorno, con piccoli gesti significativi, cercano di dare speranza ad Asti, di non lasciarla sola nella discesa verso un triste e colpevole degrado.
In particolare vorremmo parlare di Paola e Teresa, le quali, non senza fatica, proprio e anche quella fisica, girano tra i parchi con occhio attento e cuore aperto: loro ascoltano il respiro dei grandi alberi e lo sentono farsi sempre più faticoso mentre, dimenticati dalle istituzioni che dovrebbero occuparsene e prendersene cura, soffocano stretti dalle infestanti.
“La prima pianta che ho ripulito è stata una roverella, sulla strada per Viatosto. E’ stato anni fa, avevo solo un minuscolo coltellino e con quello ho cominciato, pian piano a staccare l’edera. Dovrei tornare a trovarla, e controllare.” Così racconta Paola quando le chiedo perché abbia iniziato questa attività, ma in realtà è inutile chiedere perché: questa è quella che si dice una “chiamata”, e quando è così non c’è bisogno di spiegazione.
Paola, a volte da sola, a volte con la sorella Teresa, di parchi ad Asti ne ha già traversati parecchi, tirando via dai tronchi edere e caprifoglio con cesoie e guanti, liberando con tenacia alberi che lei chiama per nome e che quando la vedono passare capiscono che c’è speranza.
Paola e Teresa tagliano e poi lasciano le lunghe ramaglie accanto ai cestini dell’immondizia, perché era stato loro detto che qualcuno le avrebbe raccolte. Ma si sa, nella nostra articolata società dove ognuno ha un compito e non può andare oltre, chi raccoglie le cartacce, raccoglie quelle e non altro, forse non è tenuto, forse andrebbe addirittura nei guai se lo facesse. Così le ramaglie rimangono lì a seccare, simbolo dell’immobilismo e della trascuratezza del nostro falso sistema.
Una delle ultime imprese di Paola è stata ripulire una grande e bella siepe di forsythia accanto alla scuola Salvo d’Acquisto.
Per chi non lo sa, la forsythia è quell’arbusto che per primo illumina l’inizio della primavera con i suoi fiori gialli, cespugli che sono esplosioni di luce solare. Ne potete vedere tanti ad esempio, al parco Biberach.
Ebbene la siepe a cui si è dedicata Paola era completamente imprigionata e soffocata dal caprifoglio. Voi direte: “Ma insomma, alla fine si tratta di una siepe, non di un albero pregiato”.
Bene, sentite cos’è accaduto mentre Paola lavorava alla sua liberazione.
Sono arrivati nel parco i bambini e le bambine della scuola e hanno cominciato a chiedere che cosa facesse. Lei ha spiegato e ha spiegato che c’era anche un bagolaro lì vicino, quell’albero forte e bello tanto che è chiamato “Spaccasassi”, a cui voleva dedicarsi.
E’ nell’area della loro scuola, ma rinchiuso come in un castello incantato nella recinzione che circonda una centralina dell’ARPA.
Coperto di liane e di vite selvatica, anche uno Spaccasassi, può perdere coraggio, come una siepe di forsythia.
E le bambine e i bambini, hanno capito benissimo e hanno pregato Paola di tornare e parlare con la loro maestra, perché loro credono ancora negli adulti, quando li sentono sinceri e appassionati.
Paola è tornata, come promesso, ha parlato con la maestra ed è andata in classe a spiegare quell’amore che la muove.
Un bambino vedendola entrare ha detto: “Ecco la Fata dei Boschi!”
E non sbagliava, perché è Fata e Mago o Cavaliere, ogni umano che, sensibile, riconosca l’importanza e la dignità di una siepe, d’un albero, del greto di un torrente o di un sentiero che rispettosamente porta ad esso.
Così, con una bacchetta - non quella magica, ma quella per riporre gli indumenti negli armadi - non potendo entrare nel recinto, la Fata degli alberi ha cominciato a tirare a sé gli infestanti che soffocavano lo Spaccasassi: lo aveva promesso a lui e ai bambini e non poteva deluderli.
Lo Spaccasassi per ora è libero, le ramaglie abbandonate lì vicino da parecchi giorni.
Peccato che troppo spesso gli amministratori comunali dimentichino il loro dovere, il loro ruolo nel gioco, e si limitino a lodare con un atteggiamento che odora di presa per il naso le cittadine e i cittadini i quali “ingenuamente” ed eroicamente si impegnano in imprese che senza un intervento ed una progettazione politica rischiano di essere vane.
Forse, se gli amministratori credessero alle favole, se per assurdo ascoltassero la voce dei bambini o quella degli alberi, sarebbe un gran bene per tutte e tutti noi.