La soglia è quella della palazzina di Via Allende 13 ad Asti, davanti ai cui cancelli Sabato 10 Ottobre alle ore 15.00 il “Coordinamento Asti Est” ha indetto una conferenza stampa ed ha chiesto la partecipazione di tutti. Ma proprio tutti. Soprattutto in questi tempi di “brutta aria che tira”, per parafrasare Giovanni Pensabene. Soglia che piede umano ha, comunque, varcato. Anche in questi ultimi tempi: col diritto di conoscere, sapere e documentare o col dovere di difendere il proprio diritto alla vita contro le intemperie ed il freddo...
Oppure solo per apporre dei sigilli, prima rotti e poi rimessi, dimentichi dei tempi della possibilità data a sei famiglie di avere il diritto alla casa. Diritto strappato alla legalità di convenienza di chi difende solo gli articoli che vuole della Costituzione Italiana. Non certo, quindi, l’art. 3, che impone alla Repubblica ed ai suoi Rappresentanti di rimuovere gli ostacoli economici e sociali, che potrebbero limitare, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. E nemmeno l’art. 42 che pone dei limiti ben chiari alla proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
Per questo lo Stato può espropriare: perché la proprietà privata è un bene vincolato al bene di tutti, non di qualcuno. Per fortuna non siamo più ai tempi degli antichi romani e del loro feroce diritto di proprietà. Per fortuna siamo in uno Stato di Diritto. Nato dal sangue di chi ha combattuto per lui. Per la libertà di parlare, di pensare, di scrivere, di essere curato, di avere un lavoro, di avere una casa, di essere felice.
Sì, anche di avere una casa. Sì, anche di essere felice.
Perché è incontestabile il Diritto alla Salute, di Parola o di Pensiero ed è così difficile pensare all’inviolabilità anche del Diritto alla Casa?
Come si può essere liberi ed uguali, come si può fare in modo che la proprietà privata abbia una sua funzione sociale se non si ragiona in questi termini? Come si può difendere la Costituzione Italiana, escludendone due articoli? Come si può lasciare abbandonata una palazzina con sei alloggi nella città dove i senza tetto muoiono nel rogo da loro stessi acceso, per scaldarsi, nella vecchia caserma di Asti? A pochi passi dall’Università. A pochi passi dal monumento di Vittorio Alfieri. A pochi passi dal Municipio.
Come si fa a non usare questa palazzina quando a pochi passi, verso est, ci sono le nostre favelas? Bambini che giocano tra le carcasse dei topi, in mezzo a fili elettrici volanti, nella peggiore caricatura di una Rio de Janeiro nostrana. Autodeterminata ed autocostruita nel nostro silenzio e nella nostra complicità: con amministrazioni che razionano l’acqua al campo nomadi di Via Guerra e poi, alla visita delle nuove Autorità, fanno orecchie da mercanti e dicono: “Eh si, sono antigieniche, bisogna sgomberarle” come declamato in campagna elettorale.
Sgomberarle per mandarle dove? Non certo nella palazzina di Via Allende: proprietà privata sacra ed inviolabile come nel Diritto Romano e non come nella nostra Costituzione, nata lassù in montagna sulle ceneri del grottesco regime mussoliniano. Non certo nella palazzina di Via Allende, simbolo di una primavera di felicità e di diritti per sei famiglie e per tutti quelli che hanno lottato con loro e per loro.
Primavera durata dal 2010 al 2019 durante la quale, sotto la minaccia del freddo inverno gelido degli sgomberi decretati da Minniti prima e Salvini poi, è subentrato un piovoso autunno di volontari abbandoni. Alcune famiglie sono andate all’estero. Altre, tra mille difficoltà, hanno trovato una diversa sistemazione. Ora, invece, senza più nessuna disponibilità abitativa sufficiente sono padri al dormitorio maschile e madri e figli a quello femminile. Famiglie spezzate. Bambini che, come piccole spugne assorbono la disfatta dei genitori e la sconfitta della società che, invece, dovrebbe tutelarli: come cresceranno? Cosa faranno? Perché loro non possono dormire con mamma e papà e il loro compagno di scuola si? E’ colpa loro? Perché è successo a loro e non al loro compagno di scuola?
Chi vuole rispondere loro, alzi la mano e lo faccia pure: io non ne sono capace. E neppure lo psicologo più in gamba potrà rispondere alla domanda più importante: perché? Potrà insegnare loro a convivere con questo stato di cose. Proverà a farglielo accettare: ovviamente, col tempo, fallendo. Perché questo? Perché legioni di sociologi e psicologi dicono che, prima di tutto, bisogna fornire una casa a chi non ce l’ha.
Prima dello psicologo. Prima del medico. Prima del lavoro. Questo responsabilizza. Dà fiducia. Dà motivazione. Dà la spinta per uscire fuori dal baratro in cui la vita potrebbe, prima o poi, mettere ognuno di noi.
Il progetto si chiama “Housing First” ed è attivo con ottimi risultati un po’ dappertutto nel mondo. Da noi, ad Asti, invece, si fa il “Moneying First”: hai i soldi? Bene, ecco la casa. Non hai i soldi? Male, niente casa. Come ai tempi degli antichi romani: rinascimento, illuminismo e varie rivoluzioni qua da noi sono scivolate come olio su una padella antiaderente. Cosa c’e’ di bello è che non appena si parla di “Housing first” cioè di dare una mano alla società, provando ad includerne al suo interno un altro membro produttivo di idee e ricchezza, il mercato immobiliare si sveglia.
E’ successo per la palazzina al Fortino, lasciata in disuso per anni fino all’occupazione e poi ristrutturata con investimenti. E’ successo con la Ex-Mutua. Sta succedendo con Via Allende. Non appena si parla di dare alla proprietà privata una funzione sociale, questa si sveglia. Proporrei di lasciar trapelare la notizia di una possibile occupazione anche per l’Ex-Maternità, il Vecchio Ospedale oppure la Vecchia Caserma e, perché no, anche il vecchio Upim: sono certo che Asti sarà un rifiorire di cantieri e non ci saranno più contenitori vuoti.
Meglio investire in mattoni che in donne e uomini. Meglio spendere soldi per ristrutturare qualcosa che nessuno per anni comprerà, piuttosto che dare una speranza alle persone. Meglio impilare soldi e mattoni, piuttosto che permettere a famiglie disagiate di poter crescere dei figli nell’amore che gli è dovuto. Meglio far finta di nulla di fronte al diseredato e tenersi stretti quanto si ha. Perché il vero nemico del potere è la necessità, non il diritto. Il vero nemico del potere è il diseredato che per proteggersi dal freddo ha spezzato i sigilli in via Allende, per cercarsi quel tetto che la Costituzione Italiana prescrive come diritto di tutti.
Magari inconsapevolmente, ma il primo passo che noi - generali senza esercito ma pieni di passione e valori - non abbiamo fatto, lui l’ha fatto.
Paolo X Viarengo