di Paolo X Viarengo.
A Basilio Magno, cristiano greco del III secolo, è attribuita una delle più feroci definizioni del denaro: lo sterco del diavolo. Titolo ripreso da Jacques Le Goff nel suo saggio sull’economia nel mondo medievale, dove l’usura era bandita in quanto contraria al precetto evangelico di prestare senza nulla chiedere in contraccambio (Luca 6, 34-35). La possibilità di redimersi, di fronte a Dio e agli uomini, veniva dal restituire il “maltolto” sotto forma di opere di carità. Redenzione che non era arrivata al protagonista della novella del Verga “La roba”, in cui il protagonista, ossessionato dall’accumulo compulsivo, vedendo giungere la morte, esce da casa e, come un pazzo, si mette ad uccidere le oche che aveva, tra le altre cose, accumulato nel corso della sua vita. Spesa per nulla...
E’, forse, la lettura di queste opere il movente che spinge le banche a creare fondazioni volte al finanziamento di opere culturali e caritatevoli. Si parla tanto di greenwashing, ipocrita operazione di grosse aziende volta a procurarsi un lasciapassare ambientalista con spot pubblicitari in contrasto con la loro reale attività che di “green” ha ben poco, vedi Eni.
Si parla poco invece di soulwashing, altrettanto ipocrita operazione volta a pulirsi la coscienza con elargizioni caritatevoli di denaro accumulato con metodi ben poco caritatevoli. La Fondazione dell’Istituto Bancario San Paolo, la Compagnia San Paolo di Torino, è nota per le sue attività filantropiche. Culturali. Di ampio respiro. Lodevoli. Meritevoli. Peccato che la sua controparte operativa, l’Istituto bancario San Paolo, colosso del settore, sia finito nel mirino di Greenpeace per i suoi finanziamenti alla multinazionale indiana Adani. 77 milioni di euro di finanziamento per creare una delle più grosse miniere di carbonio in Australia. Una miniera da 60 milioni di tonnellate all’anno. La più grossa miniera a cielo aperto del mondo.
La miniera Carmicheal. Un miniera che, a detta, dei portavoce di Adani porterà benessere, prosperità e posti di lavoro nell’Australia sconvolta dagli incendi. Una miniera che immetterà nell’ambiente e contribuirà ad immettere nell’ambiente emissioni da incubo, mentre in tutto il mondo si cerca di arginarle. Una miniera contro cui si battono gli ambientalisti di tutto il mondo e gli aborigeni Wangan e Jagalingou, espropriati delle loro terre con atti simili a quelli che depredarono i nativi americani nel 1800 per fare posto al progresso. Ai soldi. All’inquinamento. E, infatti la logica è ottocentesca anche se la data è 2020. Logica di profitto. Logica di sfruttamento. Incuranti di emissioni, popoli, tradizioni e salute pubblica, in nome del profitto. In nome dell’accumulo fine a se stesso, come il protagonista della novella del Verga.
In nome dello sterco del demonio. Per questo il pensiero deve essere libero. La cultura deve essere libera. La gente deve essere informata e deve capire. Ma, la cultura è libera? Oppure è avvenuto quello che Naomi Klein paventava nel suo libro “No Logo” e i finanziamenti arrivano da chi, in nome del marchio, del profitto e in cambio del silenzio, investe in cultura?
In un operazione che non sa di soulwashing ma di cinico calcolo, in un mondo in cui gli stati sovrani hanno sempre meno fondi, sono sempre più le fondazioni filantropiche private a finanziare la cultura. Il pensiero. E, quindi l’agire dei popoli. Un ristretto gruppo di Gran Lup Man di fantozziana memoria che si arroga il diritto di finanziare il pensiero, che dovrebbe essere libero. Diritto e dovere che dovrebbe essere riservato al popolo. A tutti.
Magari, mediante un crowdfunding, cioè una raccolta fondi popolare, gestita dal popolo. Ma, un momento, non c’e’ già in atto un crowdfunding per questo? Enorme anche: si chiama tasse.
Un versamento di denaro sulla base delle possibilità al fine di finanziare iniziative utili a tutti, gestito da rappresentanti liberamente eletti. C’e’ già. Si chiama democrazia.
Semplicemente i guadagni delle banche, sui nostri soldi, sulle nostre operazioni bancarie, sui nostri finanziamenti, possono essere talmente elevati da essere investiti anche in operazioni filantropiche o, a pensar male, di controllo. Gestite da pochi, invece, che in tasse, gestite da tutti.
E, questo succede in Australia all’altro capo del mondo. Anche se l’attuale crisi climatica e sociale ha reso evidente la globalizzazione del problema. Ha, di fatto, reso reale quello di cui si discuteva: global o no global. Global, è evidente. E’ un fatto.
Le emissioni in Australia danneggiano anche noi, essendo sulla stessa navicella spaziale che si chiama Terra.
Da questa parte della terra, invece, ad Asti, patria di Vittorio Alfieri che già nel suo “Del Principe e delle Lettere” (1778-1786) ragionava sull’opportunità per i potenti di influenzare la cultura, avviene che la filiera Asti Musei sia gestita dalla Fondazione Banca Cassa di Risparmio di Asti. Avviene che un istituto come l’Israt sia sempre meno finanziato dal crowdfundig costituzionale che sono le tasse, e sempre più da fondazioni ed enti privati.
E, per la sua stessa sopravvivenza, non può fare a meno di accettarli...