A cura del Coordinamento Asti Est.
Nonostante l’invito più o meno esplicito del Ministro dell'Interno a disertare la ricorrenza del 25 Aprile, le strade e le piazze si sono popolate, come sempre. Quella parte della popolazione, che si è portata dietro, attraverso le generazioni, le ragioni, le contraddizioni e le ambivalenze di quella insurrezione popolare, era di nuovo lì. Quest’anno c’era però in modo meno rituale del solito. Così è parso a noi...
Con una inquietudine mascherata dai sentimenti della festa e con simboli identitari meno esibiti.
Persino le bandiere dell’anarchia, per ritrovare la loro aura, hanno dovuto sventolare sulle immagini e le parole della lotta di liberazione dei kurdi. Ma anche quelle, nelle mani di un gruppo di giovani, donne e bambini, annunciavano conviviali radunate, piuttosto che discussioni sull’autogoverno dei popoli. “Il riscatto del lavoro, del lavoro opra sarà”, si diceva, con linguaggio fin troppo letterario. Ora, solo nei nodi della logistica, o nelle baraccopoli del bracciantato d’immigrazione, dove il capitale ha ancora bisogno della forza-lavoro viva, si raccoglie l’eco di quelle parole.
Neppure il Sindaco Rasero, che non a caso, abbiamo pensato noi, è intervenuto a braccio, ha voluto cancellare quell’inquietudine vestita a festa, anzi l’ha confermata facendo il contrappunto al canzoniere anni 70 di Maria Rosa e alle letture fin troppo politicamente corrette dei giovani dell’Anpi. Così, quando ha affermato che Resistenza e Costituzione sono due facce della stessa medaglia, il compiacimento ha accomunato lo sguardo di amici e di fieri avversari politici. Noi stessi, che abbiamo attraversato le stagioni dell’antifascismo, quando facevamo la resistenza rossa e non democristiana per evitare che fosse imbalsamata, non siamo rimasti indifferenti.
Proprio mentre citava l’appello di Calamandrei agli studenti, affinché mantenessero vivo lo spirito della Resistenza, diversamente il tempo avrebbe reso vane le promesse della Costituzione, dall’altra parte della piazza, dove i manifestanti erano più radi e le forze dell’ordine erano più fitte, quell’inquietudine vestita a festa ha rivelato una delle sue inquietanti ambivalenze. Un cartello auto prodotto (Ministro dell’insicurezza Salvini, sei milanista o fascista ? Ebbene si, sei ambedue le cose) è stato trattato come un corpo del reato. Sottratto con autorità al suo proprietario, è stato tolto dalla piazza, senza le ovvie (in tempi normali) spiegazioni che lo stesso proprietario e i pochi testimoni richiedevano al questore e all’ispettore di polizia, lì presenti.
Per riscattare quell’accaduto dalla marginalità in cui la situazione lo ha destinato, vogliamo ricordare che Piero Calamandrei, tra i fondatori del Partito d’Azione e membro della Costituente, è stato uno dei difensori di Danilo Dolci, il sociologo e attivista portato a processo con i suoi sodali, per aver rivendicato il diritto al lavoro con forme di lotta non violenta. Restituire alla sua funzione, senza compenso, una strada comunale chiusa dall’incuria, oppure, digiunare su una spiaggia, ascoltando Bach, per allontanare i grossi pescherecci dal tratto di mare riservato alle piccole imbarcazioni da pesca, erano azioni collettive agite necessariamente su suolo pubblico. Eccolo il pretesto legalitario, la strumentale identificazione del dolo, subito impugnata da benpensanti, polizia e pubblico ministero: violazione dell’art. 633 del codice penale, invasione di suolo pubblico, pena prevista 8 mesi di reclusione, pescatori poveri e braccianti disoccupati trasformati in nemici dell’ordine pubblico.
E’ lo stesso art. 633, inasprito nelle pene detentive, che sta al centro delle misure repressive implementate nei decreti Minniti e Salvini. Sono cambiati solo i nemici dell’ordine pubblico. Migranti, clandestini, senza tetto, poveri, esclusi dal mercato, al posto di pescatori poveri e braccianti disoccupati.
E’ cambiato anche lo scenario. Non più Partinico e la Sicilia del 1956, i proprietari assenteisti, gli industriali cresciuti con le corporazioni fasciste e la polizia di Scelba, ma il mercato globale e la costellazione dei suoi poteri; sovranazionali e sempre più inafferrabili quelli economici, sempre meno legittimati democraticamente quelli politici.
Gli atti di quel processo, durato un mese, e le vicende sociali e politiche che l’hanno preceduto e accompagnato, sono stati messi in testo dallo stesso Dolci, con il titolo “Processo all’art.4”. Non una “comunissima vicenda giudiziaria”, aveva opposto Calamandrei ai giudici, ottenendo l’assoluzione di Dolci e dei suoi sodali, ma il “contrasto tra la Costituzione democratica e il codice penale fascista”. Più precisamente, tra le promesse di una società di liberi ed uguali, cooperante e solidale, che la Costituzione ha annunciato, e uno stato delle cose e un modo di condurle che smentivano, a dieci anni dalla sua approvazione, quelle promesse.
Il contrasto si manifesta tutt’ora, ancora più aspro ed è precisamente la ragione della nostra inquietudine.