Lo scorso venerdì 29 giugno l'Università di Asti ha ospitato un convegno importante per ragionare sugli effetti che il cambiamento climatico provocheranno (e stanno già provocando) sulla viticoltura, ad ogni latitudine. Molto stimolanti e condivisibili gli interventi che gli esperti - in ambito scientifico e giuridico - hanno dispensato ad una platea purtroppo non ampia e con una ristretta rappresentanza di viticoltori. Ma qualche altra considerazione merita di essere sviluppata a posteriori ...
Considerazioni che, forse, sarebbero potute essere utili per aprire un dibattito al termine delle relazioni degli esperti e della chiosa finale dell'assessore regionale Giorgio Ferrero ma che, purtroppo, non sono state previste: la giornata si è conclusa così, senza confronto con il pubblico. Probabilmente per favorire il trasferimento dei presenti in altra sede (a Castelnuovo Calcea alle ore 18 si discuteva di agricoltura sociale con la Cia), ma un tema di così attuale rilevanza meritava di dare spazio ad un confronto immediato su diversi aspetti che le relazioni (per ovvie necessità di tempo disponibile) avevano solo potuto tratteggiare senza approfondimenti. Utili.
Dal convegno sono emersi segnali chiari: siamo già nell'era del cambiamento climatico e l'annata vitivinicola 2017 lo ha pienamente dimostrato attraverso una stagione siccitosa che ha ridotto la produzione di uva da vino del 26% in Italia, del 18% in Francia, del 20% in Spagna, dell'8,5% in Germania.
Ma questo, si è detto, non significa confondere la "tendenza" (ciò che accadrà tra 20, 30, 50 anni) e l' "andamento" (cioè il breve-medio periodo: i prossimi mesi e qualche manciata di anni a venire).
Le nostre terre da vino non corrono il rischio di vedersi trasformate in deserto e abbiamo quindi il tempo per correre ai ripari e utilizzare dati scientifici e intelligenza umana per imboccare la via di un cambiamento indispensabile.
Quest'anno la siccità è solo un (brutto) ricordo e il mese di maggio è stato tra i più piovosi nella sequenza monitorata dai servizi agrometeo della Regione Piemonte. Ma i prossimi mesi cosa ci dispenseranno?
In ogni caso deve essere chiaro che la variabilità sarà la connotazione atmosferica del futuro: brusche impennate di temperatura, nei massimi e nei minimi, lunghi periodi secchi altermati ad altrettanti periodi umidi.
La siccità. Gran problema. A cui si può dare risposta anche (sottolineiamo il termine "anche") ipotizzando l'uso di irrigazioni in vigna. Una pratica che i disciplinari delle nostre Doc e Docg non prevedono se non come "irrigazione di soccorso"; ma cosa significa "di soccorso"? Come intervento estremo (e parziale) in caso di stress idrico della vite oppure come strumento per favorire il raggiungimento delle rese massime?
Una questione normativa che andrebbe modificata, tenendo presente che nella zona del Prosecco le irrigazioni sono già un fatto attuale e in Sicilia ancor più.
Si è parlato di portainnesti, di suoli, di esposizioni (luce sì, caldo no), di forme di allevamento della vite (in futuro la pergola potrebbe sostituire il guyot per il nostro moscato).
Ma la sensazione (nostra in sala) è stata quella di assistere ad un volo sereno dall'alto a bordo di un aereo. Da lassù tutto è bellezza e tranquillità.
E non è il nostro caso.
"Siamo in piena emergenza da cambiamento climatico in atto", queste le parole che avremmo voluto ascoltare.
L'irrigazione è una pratica possibile nelle pianure (quando i grandi fiumi e laghi sono in piena o, almeno, in buona salute) ma i vigneti del Piemonte stanno in collina, lontano dalle grandi risorse.
Lo ha affermato, alla fine, Giorgio Ferrero puntualizzando il fatto che un progetto di irrigazione "di massa" dei vigneti va valutato in termini finanziari sia individuali e sia collettivi (il gioco vale la candela? ...), che non si può immaginare di sottrarre l'acqua agli usi potabili (acquedotti e pozzi), che al massimo si può pensare ad invasi per raccogliere le acque meteoritiche, ma l'ipotesi va valutata con grande attenzione.
Noi diremmo: occorre acqua, ma l'acqua non è una risorsa riproducibile nè inesauribile.
E quindi ci saremmo aspettati una grande serie di ammonimenti al "come si cura un vigneto": diserbi, compattamenti, erosione, mancanza di rotazione, eccessi produttivi. Pratiche che hanno trasformato, nel tempo, i nostri agricoltori in "industriali seriali" anzichè in conoscitori sapienti della vitalità delle loro terre; terre che hanno necessità di ritrovare fertilità attraverso basso vigore vegetativo, inerbimenti e sovesci, fertilizzazione ridotta e mirata, compostaggio dei residui colturali, tempestiva gestione in verde, biodiversità.
Tutte pratiche in grado di garantire l'umidità sufficiente anche in presenza di periodi particolarmente asciutti.
Ecco, questo era il messaggio che avremmo voluto ascoltare, chiaro e forte: il futuro è in mano agli agricoltori sapiens, non a quelli che "trattano" rispondendo al meccanico avviso del bollettino fitosanitario via sms.
L'alternativa è usare i canadair caricati ad acqua di montagna, ai cannoni o ai pivot.
Cioè a non aver imparato nulla dai nostri errori.
Umani ...