Oltre 4 mila cittadini supportati da associazioni e movimenti astigiani hanno inviato poche ore fa alla dottoressa Ida Grossi, direttore generale dell'Asl di Asti, una lettera per fare il punto della situazione sul progetto per la costruzione di un grande ed inquinante impianto industriale privato per la produzione di energia elettrica ed acqua calda per teleriscaldamento proprio all'interno dell'ospedale Cardinal Massaia ...
Ponendo l'accento sull'empasse dell'iter autorizzativo che ancora non ha definitivamente espresso il diniego alla sua realizzazione per evidenti e macroscopiche carenze basilari del progetto, la lettera sottolinea come il procedimento si trovi ora nella condizione di dover essere rilanciato da una eventuale azione diretta dell'ASL AT spettando, infatti, proprio alla sua Direttrice Generale decidere se avviare o meno la procedura per la concessione della disponibilità dell’area, dentro l’ospedale, su cui costruire i due capannoni industriali.
La lettera si conclude, quindi, con un motivato invito a non farsi protagonista di un "rilancio" dell'ipotesi progettuale e accogliere le ripetute richieste della cittadinanza astigiana che continua a sottolineare come il suo ospedale, che già subisce gravi ridimensionamenti operativi, debba essere protetto da ogni ulteriore possibile azione di disturbo a causa della presenza, al suo interno, di un impianto industriale incompatibile con le esigenze basilari degli ospiti di un luogo di cura e degenza e degli operatori che vi lavorano quotidianamente.
Ecco, a seguire, il testo completo della lettera inviata:
Oggetto: Teleriscaldamento - informazione e richiesta da parte della cittadinanza astigiana.
Gentile dottoressa Ida Grossi,
riteniamo importante aggiornarLa: rispetto alla prima lettera inviataLe nei mesi scorsi, sono aumentate da 2.657 a oltre 4.000 le firme dei cittadini contrari alla costruzione, all'interno dell'Ospedale Cardinal Massaia, dell'impianto industriale per la produzione di energia elettrica ed acqua calda per teleriscaldamento che un soggetto privato intenderebbe poi vendere alle famiglie di una rilevante parte della città di Asti e all’Ospedale stesso.
Abbiamo anche – e purtroppo – potuto constatare che, stando alla legge 241/90 la quale regola l'iter tecnico di un procedimento, si sarebbe potuto negare finalmente in modo definitivo l'autorizzazione alla realizzazione di tale impianto dentro l'Ospedale, impedendo quello che chiunque abbia seguito le varie segnalazioni di criticità via via formulate dagli Enti componenti la Conferenza dei Servizi ha compreso essere un progetto incompleto e privo dei presupposti essenziali come, anche solo istintivamente, appare assai evidente ad ogni persona comune di semplice buon senso.
Come Lei ben sa, un progetto tecnologico di qualsiasi tipo va valutato per la sua efficienza e efficacia tecnica: che senso ha che la società proponente AEC chieda addirittura l'applicazione di una legge del 1934, paghi studi di avvocati per cercare cavilli legali per impedire la bocciatura di un progetto che a distanza di oltre 10 mesi dalla sua presentazione mantiene inalterate criticità palesi e scarsità di documentazioni ?
La Provincia di Asti si è trovata nella condizione di non poter concedere l’autorizzazione al progetto presentato, ma ha preferito rimandare tale decisione – che riteniamo l’unica possibile decisione adottabile – coinvolgendo Arpa, Comune di Asti, Regione ed Asl At: a Lei in particolare è ora affidato un ruolo nevralgico.
Spetta infatti a Lei, Direttrice Generale, decidere se avviare o meno la procedura per la concessione della disponibilità dell’area, dentro l’ospedale, su cui costruire i due capannoni industriali.
Sappiamo che, dal punto di vista burocratico, è necessaria una delibera politica della Giunta regionale per autorizzare il passaggio dell'area da patrimonio indisponibile a patrimonio disponibile, per poi cederlo alla società costruttrice dell'impianto, ma sarà Lei a dover fare il primo passo, cioè la proposta alla Giunta stessa: i cittadini astigiani Le chiedono di non farlo !
A prescindere dal rispetto delle modalità Consip, La invitiamo a non proporlo.
Quel terreno di 6500 metri quadri all'interno del recinto ospedaliero potrà molto più utilmente in futuro essere destinato ad accogliere nuovi eventuali servizi sanitari e, nel frattempo, giardini verdi ed orti terapeutici.
Non esistono motivazioni accettabili tali da giustificare una Sua proposta di rinuncia a tale area e permettere di costruirvi sopra una grossa e definitiva struttura industriale.
La zona del Fontanino fa parte della cultura affettiva e delle tradizioni della città.
Certamente Le è nota l'origine ed il vincolo di destinazione dei terreni della zona su cui insiste l'Ospedale: nel 1934 e nel 1940, furono regalati dal senatore G. Penna all'Istituto di educazione Vittorio Alfieri, ente morale con scopi di assistenza sociale e formazione professionale in campo agrario dei giovani; dopo lo scioglimento dell'ente morale, con decreto 30 marzo 1982 X A S/ 141/G D/ RP, la Regione Piemonte trasferì la proprietà di tutti i terreni al Comune di Asti con il vincolo della destinazione dei beni e delle relative rendite a fini di assistenza sociale.
Non sono quindi ammissibili su quei terreni iniziative industriali private.
Non si renda promotrice di una scelta che potrebbe favorire il giungere alla fine della vicenda con un impianto costruito in base ad accordi fra le parti, senza però avere avuto l'approvazione dei tecnici: Lei sa che l'ARPA ha formalmente dichiarato - anche nell'ultima Conferenza dei Servizi - che «mancano nella documentazione prodotta (da AEC, ndr), i dati e i calcoli a supporto dei valori riportati in tabella e nel paragrafo "modalità di funzionamento ai fini della comparazione delle emissioni": non è quindi possibile effettuare una corretta valutazione di tali valori».
Si tratta di un'affermazione molto chiara che segnala un livello di pericolo e di precauzione che suggerisce di mostrare estrema attenzione.
Provi ad immaginare cosa accadrebbe se, per ipotesi, dopo la costruzione degli impianti, i limiti emissivi inquinanti (rumore, materie e gas inquinanti vari) non potessero poi essere rispettati; cioè se, come si dice in gergo tecnico, i limiti venissero sforati.
Normalmente, in casi come questo, verrebbe decretato il fermo impianti (anche se non sempre è stato così, come ad esempio con l'ILVA di Taranto ed altri casi in Italia), verrebbe cioè ordinato lo spegnimento degli impianti di produzione dell'energia elettrica, del riscaldamento e del raffrescamento.
Ma con quali conseguenze per l'Ospedale? Quali sarebbero le conseguenze sui degenti, sui dipendenti?
Quali conseguenze anche sugli eventuali utenti privati allacciati al teleriscaldamento?
Inutile dire che sarebbe una vera tragedia per tutti e, come tale, inammissibile. Inaccettabile sarebbe il disagio e quindi improponibile sarebbe la soluzione del fermo impianti.
Si potrebbe più realisticamente, purtroppo, ipotizzare un altro approccio, cioè una non soluzione: probabilmente, anziché adeguare gli impianti verso il ripristino dei limiti di legge, potrebbe essere più semplice modificare la legge, alzando i limiti ammessi.
Quale sarebbe quindi il risultato pratico finale ? Le promesse di una teorica riduzione dell'inquinamento verrebbero totalmente disattese nella pratica, con buona pace di tutti, senza responsabilità per nessuno.
Questo, secondo noi, è l’invito ad applicare il principio di precauzione che traspare dalle dichiarazioni formali espresse anche in sede competente dall’ARPA.
Lasci che gli anni della sua attività professionale ad Asti continuino ad essere da Lei spesi nell'obiettivo di migliorare il servizio ospedaliero astigiano, ponendo al primo posto la cura della salute dei Cittadini.
Di questo Suo impegno vorremmo ricordarci pensando a Lei in futuro: non faccia il primo passo verso la decadenza del Cardinal Massaia da centro di eccellenza nella cura della salute a luogo in cui svolgere attività industriali estranee, non istituzionali, non di natura ospedaliera.
Con vive cordialità.
Cittadinanzattiva, Legambiente, Salviamo il Paesaggio, Stop al Consumo di Territorio, Tempi di Fraternità, Tribunale per i Diritti del Malato, Paolo Montrucchio e oltre 4.000 Cittadini.