di Carlo Sottile.
La proposta di modificare la destinazione urbanistica dei terreni di proprietà della Consolata, formulata nel marzo del 2014 dagli architetti Fassone, è adesso in discussione nella forma di variante specifica del Piano Regolatore, con relativi strumenti urbanistici esecutivi. La notizia è di qualche giorno fa ed è di quelle che si fanno rileggere. Con il blocco del mercato immobiliare le possibilità che quei 46 mila mc di nuova edificazione si traducano in valori d'uso sono davvero minime. Più facilmente possono prendere la via della finanziarizzazione immobiliare (cartolarizzazioni, fondi immobiliari), piuttosto che incarnarsi in domiciliarità, relazioni di vicinato e socialità ...
Un esito che non sta solo nelle previsioni di inguaribili pessimisti ma è già largamente documentato nelle analisi di sociologi, urbanisti e soggetti sociali che lo contrastano duramente, mostrandosi, nelle sue infinite repliche, come una delle cause del tragico dissesto del territorio, della crescita a dismisura del bisogno abitativo insoddisfatto. Un esito che nelle dimensioni nazionali è la testimonianza di una sistematica violazione degli articoli 9 (tutela del paesaggio) e 42 (la funzione sociale della proprietà) della Costituzione.
Da questo punto di vista l'auspicio che l'Atc e le cooperative edilizie possano avvalersi di porzioni di terreno al costo “poco più che simbolico” (10 euro a mq) e i cittadini possano godere di una ulteriore quota di verde e servizi, sono puri pretesti. Sono previsioni fondate sul nulla. Non c'è solo l'assenza di una decente manutenzione del parco Tanaro a dimostrarlo. C'è la liquidazione della originaria missione sociale dell'Atc, accompagnata, in relazione di causa ed effetto, dagli scandali dei suoi amministratori.
La variante che si annuncia deve essere dunque bocciata perché è l'ennesimo atto di una contrattazione urbanistica in cui l'attore pubblico, abbandonato ogni progetto di città dei cittadini, scambia diritti edificatori con oneri concessori. L'altro interlocutore, il partito del mattone (costruttori, proprietari delle aree, banche, corporazioni professionali), va dunque fermato perché progetta ormai da trent'anni una città che cresce su se stessa in densità edificatoria e consumo di territorio, senza alcun rapporto con la città viva, la sua popolazione le sue attività.
In quanto al Vescovo dovrebbe scegliersi meglio la compagnia. Ci sono in città quattro edifici occupati, sottratti all'abbandono, al degrado e all'attesa di una valorizzazione mercantile che non arriva. Due sono di proprietà pubblica, uno di una banca e il quarto di una immobiliare. Ne hanno preso possesso cinquanta famiglie sfrattate, con redditi “fuori mercato”. Mettono necessariamente in discussione il presente statuto del lavoro e della proprietà. Sono cinquanta famiglie che chiedono da anni di ricostruire una trama del vivere in cui città e cittadinanza vengano rimesse in rapporto tra loro, in cui la cittadinanza non sia una variante del reddito. Nel loro piccolo fanno esercizio di virtù civiche e pratica di democrazia e propongono un modello del vivere in città che non sia solo merci e consumo.
Ignorare queste esperienze, o far di peggio decretandone l'isolamento e la fine, fa tutt'uno con la presentazione di proposte, temerarie e irresponsabili, come quella della Consolata.