di Gianfranco Monaca.
Il Consiglio Comunale di Asti ha votato: il crocifisso rimane in aula. Mi inchino alla decisione, ma mi permetto, come cittadino, una riflessione. Sulla stessa parete compare l'enorme rappresentazione delle due fazioni che, sbranandosi a vicenda (per avidità e stupidità, come dice Guglielmo Ventura), all'inizio del XIV secolo hanno rovinato il libero Comune che aveva raggiunto una notevole potenza grazie all'esercizio del libero commercio: la celebrazione della violenza ...
Il crocifisso, di per sé, dal punto di vista simbolico rappresenta la povertà sovversiva, vittima inerme dei “poteri forti”. Quale delle due rappresentazioni hanno scelto di far prevalere i Consiglieri ?
A parte ciò, quel crocifisso è comunque una suppellettile orribile, dozzinale paccottiglia dell'industria del sacro, che proclama il cattivo gusto e il disprezzo con cui un certo devozionismo di maniera umilia la sensibilità estetica, prima che religiosa, di chiunque.
È questo che il Consiglio ha voluto confermare?
In tal caso, credo che sarebbe meglio, per il buon nome della Città, farlo sparire. Aggiungo però che prima di prendere una decisione, bisognerebbe scegliere ad alta voce se il crocifisso è quello che sventolava sulle insegne della battaglia di Lepanto o quello che Francesco d'Assisi ha venerato nella chiesetta di San Damiano e che si portava nell'anima quando cercava di evitare a Damietta il massacro tra l'esercito “cristiano” e quello musulmano.
E, per finire, direi che se si vuole proclamare la scelta per il simbolo dell'innocenza perseguitata, bisognerebbe affiancarlo alle gigantografie di Sacco e Vanzetti, Peppino Impastato, Malala, Oscar Romero, i morti sul lavoro e tutte le vittime dell'arroganza del Potere indipendentemente dalle latitudini e dalle etnìe.
Mi augurerei che il Consiglio Comunale si rendesse disponibile a un supplemento di indagine, proprio nel rispetto di tutte le culture.