di Vincent Liegey*
In questi ultimi giorni assistiamo a un’escalation: bisogna stringere la cintura e imparare a fare a meno del gas e del petrolio russo per smettere di finanziare la guerra. Quello che era violentemente rifiutato adesso diventa normale. Allora sì, apriamo il dibattito sulla decrescita, l’unica via d’uscita logica e coerente, equa ed auspicabile di fronte alla tragedia in corso...
Sono stanco, fisicamente ma soprattutto psicologicamente, dopo due settimane trascorse con i movimenti di solidarietà e accoglienza ai profughi della guerra in Ucraina alla stazione di Budapest. Budapest, dove vivo da quasi 20 anni. Dove ho fatto la scelta della sobrietà e della decrescita. Del mutualismo e della convivialità. Ma questa è un’altra storia. Nel frattempo, accogliamo in Ungheria da 15 giorni treni stracolmi, di donne e bambini soprattutto, che arrivano stravolti, smarriti. Così tante vite spezzate, per fare cosa? Sono ancora più stanco per il fatto che tutto questo era tanto prevedibile quanto previsto. Certo non esattamente nella forma attuale, ma a grandi linee sì. Abbiamo costruito dei mostri tramite stili di vita eteronomi, dipendenti da risorse prelevate lontano da casa nostra, che necessitano dello sfruttamento di altre popolazioni. Risorse che impongono il sostegno cieco a regimi autoritari e bellicosi. La potenza degli stati che ci forniscono queste risorse è il risultato della nostra pigrizia intellettuale, della nostra cecità volontaria: don’t look up. E tuttavia non sono mancati gli avvertimenti, tramite testi, pubblicazioni universitarie, conferenze, sperimentazioni, post.
«Permettere al meccanismo del mercato di guidare da solo la sorte degli esseri umani e del loro ambiente naturale, e anche, di fatto, dell’ammontare e dell’utilizzo del potere d’acquisto, avrà come risultato la distruzione della società» Karl Polanyi.
La guerra è, ed è sempre stata, il risultato della nostra hybris. Il frutto della nostra arroganza, del nostro orgoglio, della nostra volontà di fare, di avere, di contare sempre di più in questa società della crescita, che ci spinge a produrre sempre di più, per consumare senza sosta. Questo comporta pressioni e tensioni su tutte le materie prime e sui territori. In primo luogo, ma non solo, la questione centrale delle energie fossili, da cui dipendiamo ancora per più dell’80%. E’ quello che ci ricorda Matthieu Auzanneau nel suo libro Oro nero, la grande storia del petrolio, che si rivela essere alla fine una grande storia della geopolitica degli ultimi decenni, e dunque delle guerre che il nostro mondo ha conosciuto a partire dalla fine del XIX secolo.
La nostra illusione di avere la libertà di consumare finanzia la guerra
Il decennio degli anni 2000 è un esempio sconcertante dei nostri appetiti insaziabili. Una successione di guerre imperialiste e illegali in cui le mappe dei conflitti coincidono con quelle delle fonti di energia fossile o di materie prime, o ancora delle rotte per la fornitura di idrocarburi. Ci troviamo di nuovo di fronte a questa follia della guerra, scatenata da un paese da cui dipendono le nostre economie, la nostra crescita, i nostri consumi, il nostro stile di vita. In effetti la Russia rappresenta rispettivamente il 26% e il 38% delle forniture di petrolio e gas in Europa. Questa energia concentrata che ci permette di mangiare, spostarci, incontrarci, curarci. La nostra dipendenza dalle fonti di energia fossile ci ha permesso di moltiplicare i nostri desideri, continuando a illuderci di essere onnipotenti. Ma questa illusione ha un costo, quello della guerra. Ogni gesto dei nostri consumi abituali è diventato un sostegno economico alla volontà di un regime di fare la guerra. Ogni giorno, a causa della nostra scelta di non mettere in discussione né il nostro stile di vita, né il nostro modello economico, versiamo circa 700 milioni di euro alla Russia, in acquisti di gas e petrolio… Dall’inizio dell’offensiva, abbiamo contribuito con circa 10 miliardi a sostenere l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia… ben lontani dagli annunci a effetto e dal mezzo miliardo sbloccati dall’Unione Europea per fornire balestre ai nostri amici ucraini che devono affrontare dei carri armati, e che noi mandiamo a morire.
E’ arrivato il momento di diventare adulti, di controllare i nostri desideri e di passare alla decrescita
La storia ce l’aveva insegnato, ma noi ripetiamo sempre gli stessi errori, quelli di un’economia selvaggia, di questa farsa intellettuale e assassina della mano invisibile del mercato, quella che ci ricade addosso ogni volta, distruggendoci sempre di più. Karl Polanyi, anche lui di Budapest, con La Grande Trasformazione, quest’opera di grande rilievo scritta nel 1944, in piena seconda guerra mondiale, ci ricorda che le stesse cause producono sempre gli stessi effetti. Un mercato libero e non falsato, che provoca disuguaglianze e dominio, sfocia nel totalitarismo e in guerre distruttive. Quello stesso mercato che permette oggi ad alcuni di speculare sulle armi e sulle derrate che a breve scarseggeranno, e di cercare di arricchirsi grazie ai drammi che ci minacciano. E’ arrivato il momento di reinserire l’economia nell’insieme più ampio del nostro modello di società. E’ arrivato il momento di mettere l’economia al nostro servizio, e non il contrario. E’ arrivato il momento di diventare adulti, di controllare i nostri desideri e di passare alla decrescita. Perché è la crescita che alimenta la concentrazione del potere in poche mani, a scapito di tutti gli altri, ma anche del pianeta.
Quando una tragedia ne nasconde un’altra
Ma non bisogna dimenticare l’altra tragedia in gioco, mentre la guerra imperversa di nuovo in Europa. L’ultimo rapporto dell’IPCC, più allarmante che mai, non ha attirato l’attenzione di quasi nessuno, in mezzo al rumore delle bombe. E che dire del crollo della biodiversità, che prosegue e accelera silenziosamente. Ma tutto è collegato. Il nostro modello di civiltà, rinchiuso nel sempre di più, raggiunge i suoi limiti. Più che mai, e forse per l’ultima volta, la scelta che abbiamo davanti si concentra in due parole: decrescita o barbarie. Cioè condivisione e solidarietà, rilocalizzazione aperta e convivialità o questa fuga in avanti autodistruttiva, a cui assistiamo con terrore, sotto le bombe, ma anche da un punto di vista ambientale e culturale.
La sobrietà in una società della crescita è solo recessione
I timidi appelli alla sobrietà solo per quanto riguarda il gas e il petrolio, senza mettere in discussione il sistema dominante e le disuguaglianze che ha generato, sono degli appelli all’indigenza. Se non metteranno in discussione le disuguaglianze e il nostro sistema economico, non faranno altro che peggiorare la sofferenza sociale, non affrontando il pericolo ambientale. La sobrietà in una società della crescita è solo recessione. La decrescita non consiste nel fare la stessa cosa con meno, perché questa è la recessione, e ne conosciamo i dolori. E’ quella che impoverisce le classi medie e porta i poveri alla miseria. E’ quella che obbliga a sopravvivere con (quasi) niente in una società dove tutto è previsto per l’abbondanza, la crescita, il consumo… La recessione è una minaccia per noi. La Decrescita, è quello che dobbiamo e possiamo ancora scegliere.
Le soluzioni ci sono...
Da circa dieci anni a questa parte, attraverso una rete di iniziative di cittadini, oggi in prima linea nell’accoglienza dei profughi, sperimento uno stile di vita sobrio e solidale, non senza difficoltà e contraddizioni. Ma questa avventura collettiva dimostra che non solo è possibile e necessario uscire dalla società della crescita, ma è anche auspicabile e gioioso.
Che fare?
Allora che fare adesso, in questo contesto? Quello che avremmo dovuto avviare già anni fa bisogna farlo nelle prossime settimane. L’uscita dall’escalation della guerra comincia dall’interruzione della nostra dipendenza dalle fonti di energia fossile, quindi dalla fine del nostro sostegno ai regimi bellicosi. Va fatto più velocemente possibile, accompagnando chi è stato reso dipendente dal petrolio e dal gas, per attutire l’impatto. Ma per ognuno di noi è arrivato il momento di mettere radicalmente in discussione il nostro stile di vita e le nostre abitudini. Per non dipendere più da un sistema economico globalizzato moribondo, dobbiamo ritrovare il senso della condivisione, dei beni comuni, dell’autoproduzione, della rilocalizzazione aperta, del low-tech e dell’agroecologia. Ma prima di tutto, il senso della sobrietà, dell’essenziale e della convivialità. E’ oggi o mai più che dobbiamo auto-istituire la decrescita, altrimenti la barbarie ci raggiungerà. La decrescita, come progetto di società, attraverso una trasformazione radicale dei nostri modelli economici, è la sola via per la pace. Ignorarlo, vuol dire accettare la guerra all’orizzonte.
(*) Vincent Liegey. Autore di Décroissance, Fake or Not (Tana Edition, 2021). Ingegnere, ricercatore interdisciplinare, saggista e conferenziere sulla Decrescita – Co-coordinatore della cooperativa sociale Cargonomia.
Tratto da: https://www.decrescitafelice.it/2022/03/la-decrescita-o-la-guerra/