di Carlo Sottile.
Due risme di volantini bilingue, italiano e arabo, bandiere della pace e bandiera palestinese del mio corredo di arnesi da manifestazione, la macchina fotografica, tutto nella sacca. Presidio/corteo preparato durante la settimana, alcuni di noi, del movimento, molti di loro delle comunità musulmane. I miei contatti consolidati sono marocchini, ex emergenze abitative, soprattutto Ahmed che ha curato i rapporti con le comunità di Asti, Nizza e Canelli. Giorni di ascolto delle radio in streaming, soprattutto Radio Popolare, consultazione dei blog amici e visione del lavoro dei giornalisti di Aljazira, le uniche voce non embedded, insieme agli articoli del Manifesto, da opporre ad un mare di disinformazione e di indifferenza ...
Appena uscito di casa mi raggiunge una telefonata di Youssef, portavoce o imam della comunità mussulmana di Villafranca.. E' una conoscenza fresca fatta in piazza durante il presidio di sabato scorso, vestiva un comune abito da lavoro, forse fa il camionista.“Ci sei ?” “Si sto arrivando”. Si era già fatto sentire qualche giorno prima per una conferma. “Io sono via, ma c'è mio figlio che organizza e se ci sono problemi manda una e-mail a Fathia, lei ha ricevuto i tuoi volantini e ne ha già fatto delle copie”.
Arrivo in piazza, sono già in molti ma saranno molti di più alla partenza del corteo. Trovo anche i nostri, pochi e incerti, forse perché il presidio ingrossa di persone, e di differenze di cultura e di temperamento. Distribuisco le copie degli slogan da ritmare a voce alta. Dico che dobbiamo evitare la separatezza che si è annunciata durante il presidio precedente, noi da una parte e loro dall'altra. Mi guardo intorno e vedo che le comunità mussulmane si sono date da fare, c'è tanta animazione, ci credono dunque a questo corteo.
C'è un gruppo di donne e bambini un po' in disparte, da lontano si notano le kefia e i fazzoletti indossati come facevano le nostre nonne, ma non c'è nessuna nonna lì, sono tutte giovani. Su di loro, la facciata medioevale della chiesa mi sembra ancora più armonica del solito. “Quando si uniscono a noi” chiedo ad Ahmed, “Tranquillo, quando parte il corteo”. Si è parlato più volte tra noi dei loro rapporti con le donne, conoscendoli più da vicino, come è capitato a me, la conclusione è che noi non abbiamo niente di cui vantarci.
Arrivano i fotografi e questa volta non c'è bisogno di fare la foto di gruppo, siamo proprio tanti. Youssef e i suoi tirano fuori cartelli e striscioni e tante bandiere palestinesi. “Gaza” scritta in vernice rossa che cola, semplice, pochi centimetri quadrati di cartone inchiodati su un'asta di legno, ce ne sono molti e danno perfettamente l'idea. Appelli alla libertà di Gaza, “fermiamo il massacro di Gaza”, immagini del massacro, soprattutto bambini, “non toccate i bambini”. “Olmert e Barak assassini”, il capo del governo israeliano e il negoziatore egiziano uniti nel giudizio di condanna. Penso di essere d'accordo anche se proprio in queste ore può dipendere da lui uno straccio di cessate il fuoco, un soccorso umanitario. Accostamenti grafici tra israeliani e nazisti.
Qualcuno dei nostri mi chiede se non sia il caso di far togliere quegli accostamenti, che sarebbero ingiusti per Israele e controproducenti per noi. Ecco ci siamo, penso, anche qui come altrove gli equidistanti, quelli che ragionano, quelli che la rabbia è cattiva consigliera, i Lucia Annunziata di turno, quelli che se aspettavamo loro in piazza non ci portavamo nessuno. Taglio corto, “ti sembra che si possa andare in mezzo a loro, adesso, e selezionare i cartelli buoni e quelli cattivi ?”. Non mi sembra soddisfatto, ma tace.
Mario prende la parola; perché siamo qui e l'annuncio del dibattito di giovedì prossimo poi il corteo prende il via. Davanti c'è un cordone di bambini, reggono un'asta di legno larga quanto la carreggiata su cui sono affisse una decina di fotografie del massacro, anche loro ritmano slogan in arabo. Inquietante ? Mi torna in mente una affermazione di Olmert “ne ammazziamo tanti adesso per farne vivere molti in futuro”. Subito dietro uno striscione, “siamo tutti palestinesi”, qualcuno dei nostri con una bandiera di Rifondazione e poi numerosissimi tutti gli uomini delle comunità musulmane, marocchini e tunisini in maggioranza, giovani e meno giovani e poi le donne, ragazze e madri con bambini per mano o in carrozzella e poi ancora il gruppo più numeroso dei nostri, Piero, Giovanni, Egle, Marina, Sandro, Marisa....
Le donne sono vivaci quanto gli uomini, passo a loro i volantini con gli slogan, sono scritti in italiano, sono lunghi, con il ritmo anni 70. Ma la loro musica è un'altra, non li ripetono solo tre volte ma molte, molte di più. Mi sgolo al megafono “Basta con l'embargo, basta con la guerra, Palestina libera, pace sulla terra” e loro ripetono, esattamente. Quella più vicina a me parla benissimo l'italiano e traduce per le altre. Dico,“Facciamo questo, è di sostegno alla resistenza” legge, traduce per le altre e lo prova sottovoce, “si va bene”. Allora le passo il megafono ed io più liberamente che mai posso urlare “Contro le bande armate dei sionisti, Palestina libera Gaza resisti”. Su di me un altro striscione “Israele minaccia per l'umanità, media l'industria del falso”.
Mi rendo conto che questa vicinanza è mediata dalla rabbia e dallo sgomento, mediata dai sentimenti. Mi rendo conto che questi ultimi muovono da immaginari e preriflessioni che non sono sovrapponibili. Adesso me ne accorgo ? Sono anni che sono qui tra noi. Penso però che una ragione non alimentata dal sentimento sia sterile, penso che le nostre ragioni siano troppo spesso sterili. Penso che oltre questa occasione che non avremmo voluto vivere, cercheremo altre ragioni umane per agire insieme. Noi e loro. Raggiungo la testa del corteo, faccio foto e riprese più volte. Slogan rabbiosi, “Gaza massacrata Gaza vincerà”, mi traduce il mio vicino arabo, giovanissimo con la kefia avvolta fin sulla bocca. Mi vengono alla mente certi nostri cortei anni 70.
Penso alla politica che è al lavoro su questo massacro di vecchi, donne, bambini e di giovani militanti di Hamas. Penso che quello che sta accadendo è un crimine di guerra, è un genocidio. Ciò che vogliono è umiliare e cancellare la speranza di un popolo. Capi militari e politici israeliani ispirati dal fondamentalismo dei coloni, la diplomazia più preoccupata di disarmare la resistenza che di imporre la pace necessaria affinché i diritti umani siano salvaguardati, lo spossessamento sistematico e quotidiano di un popolo, il furto dell'acqua, della terra, delle condizioni dell'esistenza, cosa altro è se non un genocidio ? Ieri sera ho visto “L'albero dei limoni” una lezione straordinaria di umanità, l'annuncio di una politica che può tornare nobile.
Tanto chiasso e tanto colore non passa inosservato, si avvicinano in molti, è giorno di mercato. Alcuni di noi distribuiscono volantini, e raccolgono più diffidenza e ostilità che consensi. “Cosa dicono, cosa vogliono, vadano a pregare Allah nel paese da dove sono venuti”. Giovanni ha una impennata “cosa cazzo vuoi”, non c'è nessuna intesa nello scambio di sguardi con ambulanti che conosce. Il muro dell'indifferenza, della disinformazione, del pregiudizio, è duro da abbattere, lo sapevamo. Si dovrà insistere, raccontare, con pazienza.
Alla testa del corteo vengono imposte delle soste per far parlare alcuni di noi. Siamo noi, quelli che hanno promosso la manifestazione, che dobbiamo spiegare a quelli che si avvicinano il senso di quel che accade. E' un compito che ci viene assegnato lì, una delega per ragioni di lingua, di cultura, perché un evento così insolito e così carico di domande deve essere raccontato nella nostra lingua, siamo noi gli ospiti.
Yussef mi chiede di parlare, il mio è un intervento liberatorio, dico quel che penso e dalle loro espressioni capisco che intercettano perfettamente il mio sentimento. Non c'è pace senza giustizia. Penso che la fede di molti di loro abbia qualcosa a che fare con la mia utopia. Forse il mio Thomas Münzer può andare a braccetto con il loro Allah. Ma vallo a raccontare ai nostri che fuori dal corteo ascoltano, mi sembrano più gentili e compiacenti le forze dell'ordine che ci accompagnano e che alla fine saranno anche ringraziate.
Fuori da questo corteo c'è un fiume di chiacchiere che passa vicino ai fatti senza nemmeno riconoscerli, un fiume che purtroppo scorrerà a lungo. I politici, compreso il nostro Berlusconi, già riparlano di due popoli e due stati dopo aver fatto di tutto, compreso questo ultimo massacro, per cancellare qualsiasi possibilità di tracciare dei confini. E' per questo esito nefasto che la questione riguarda l'intero medio Oriente, tutta l'Europa. Ha ragione Arrigoni, che trasmette da Gaza la cronaca del massacro, siamo fasulli o rischiamo di esserlo, siamo cloroformizzati dai consumi e dal marketing, siamo assuefatti ad un mercantilismo che cancella ogni umana ragione. Così quando siamo costretti al confronto con qualcosa di vero balbettiamo, scantoniamo, perdiamo la misura, ci sentiamo spiazzati, abbiamo persino paura.
Restiamo umani.