di Giuseppe Cordaro.
Può succedere che in una sera d'inverno in un salone di un quartiere di periferia di Asti, si ritrovi il mondo intero o forse l'universo. Che le voci di mondi lontani si incrocino, ma soprattutto si comprendano, e gridino lo stesso bisogno. Un bisogno antico, di quella che, qualcuno durante la serata ha chiamato, la parte buona di questa comunità. Il bisogno dell'integrazione di una parte, che incontra il bisogno di dare di un'altra parte. Si, c'è anche questo aspetto, magari poco esplorato, ma il bisogno di dare lo ritengo meritevole di altrettanta riflessione, al pari dei bisogni di accoglienza e di integrazione ...
E così Osman dal Gambia ha raccontato i suoi perchè, il perchè ha affrontato i pericoli di mari di sabbia e d'acqua per giungere attraverso mille imprevedibili incroci nella piccola città di Asti. Ci ha raccontato di storie di ordinaria dittatura africana, in cui non c'è spazio per un'idea diversa e la discussione si limita allo sterminio o all'esilio. Ci ha raccontato una storia di famiglie disperse, e amore per la propria terra.
“Mai avrei lasciato la mia terra ….”, ripete più volte Osman, se solo avesse potuto realizzare nella propria terra il proprio sogno di vita normale. Completare gli studi, trovare un lavoro, farsi una famiglia. Una normalità a cui noi siamo stati abituati per decenni, data per scontata, salvo poi vederla diventare sempre meno sicura per noi, e addirittura improbabile per le generazioni future. Ed è questa incertezza, questa paura per il futuro proprio e dei propri figli, che ora rende così difficile concepire serenamente l'accoglienza dei migranti.
Paura che si fonda sull'illusione di poter garantire il proprio futuro, negandolo agli altri. L'illusione che questo pezzetto di terra chiamata Italia ci sia stata data e sia nostra per il solo fatto di esserci nati. L'illusione che difendendone i confini, tutto ciò che succede all'esterno di essa non ci riguarderà nè ora, nè mai. Ecco, io penso che dietro a quel bisogno di dare, che anima le splendide persone che si occupano gratuitamente dell'accoglienza dei profughi, ognuno con le sue possibilità, inclinazioni, passioni, competenze, religioni e appartenenze politiche, ci sia una grande intuizione; l'aver capito che la barca su cui viaggiamo tutti noi, non si chiama Italia, o Gambia, o Somalia, o Pakistan, ma universo; e se il viaggio continua, continuerà per tutti, e se finisce, finirà per tutti.
L'occuparsi dell'altro, del diverso, in quest'ottica, diventa una missione che sa di infinito. Nel donare a chi ha più bisogno, il proprio tempo, i propri saperi, il proprio affetto, si pianta un seme d'eterno, i cui frutti saranno raccolti da altri, in un tempo che non è certo quello della breve esistenza di ognuno di noi.
Si. Questo è ciò che questa splendida serata ha trasmesso alle tantissime persone presenti. Un messaggio troppo spesso sottaciuto dai mezzi di comunicazione ma che, sono sicuro, tutti i partecipanti alla serata, oltre ai volontari che già lo hanno fatto pensando e realizzando questa serata, porteranno avanti nella nostra piccola città e oltre.
Grazie dunque alla Caritas, alla Banca della Disponibilità, al CPIA, e a tutte le persone che con costanza, dedizione e coraggio portano avanti questa bellissima esperienza di accoglienza.