a cura del coordinamento La Musica che Gira.
Lettera Aperta a Mario Draghi, Presidente del Consiglio dei Ministri Daniele Franco, Ministro dell’Economia e delle Finanza e Dario Franceschini, Ministro della Cultura.
Questa storia inizia il 21 giugno 2020 in piazza duomo a Milano quando in un flash mob con artisti e lavoratori dello spettacolo si è chiesto al parlamento di approvare degli emendamenti al Decreto Rilancio. Tra questi era prevista una disposizione per la modifica della destinazione di 10 milioni di euro dalla cosiddetta “Netflix della Cultura” ad un fondo per il sostegno dello spettacolo dal vivo.
Il 17 luglio 2020 il Decreto Rilancio è stato convertito in legge ordinaria. Con la conversione, l’art. 183 prevedeva un nuovo comma, l’11-quater, che ha disposto un fondo ad hoc per il sostegno dello spettacolo dal vivo: la Netflix della Cultura si è fatta comunque, ma il Ministero ha destinato pari importo ad un fondo per lo spettacolo dal vivo.
Chi aveva chiesto questo emendamento ha lavorato con la Direzione Generale dello Spettacolo a un bando che potesse trasformare il fondo sulla ripartenza in un nuovo fondo per ristorare poiché a ottobre era chiaro che la ripartenza non ci sarebbe stata. Si è inserita pertanto una premialità per chi in estate aveva tentato di “ripartire”, ma di fatto quello è stato un fondo destinato, come giustamente doveva essere, ad un ristoro delle perdite.
È stato pubblicato così il bando numero 486 collegato in termini di senso e di erogazione ad un bando precedente con gli stessi parametri, il 397.
A novembre 2020 ci è stato detto che i fondi sarebbero stati erogati entro dicembre per evitare lungaggini dovute alla chiusura del bilancio dello stato.
A gennaio 2021 ci è stato detto che i fondi sarebbero stati erogati entro fine febbraio. Il 20 febbraio ci è stato detto che gli elenchi per il pagamento erano stati inviati alla Banca d’Italia e che si attendevano gli esiti. Il 5 marzo ci è stato detto che la ragioneria non aveva autorizzato i pagamenti da parte della Banca d’Italia e il giorno dopo abbiamo appreso che Ministero dell’Economia deve rimettere a disposizione una nuova cassa.
Da quel emendamento, quindi dall’istituzione di un fondo, sono passati quasi 8 mesi.
Non cerchiamo colpe, non ci interessano. Pretendiamo che qualcuno si prenda la responsabilità di dirci dove sono finiti questi 10 milioni del bando 486 e le residue erogazioni del bando 397.
Per sopravvivere abbiamo fatto affidamento su cifre che lo Stato ci ha fornito come risultato di parametri specifici. Cifre che non sono mai arrivate mentre le nostre realtà stanno miseramente morendo. Ci siamo fidati dello Stato. Abbiamo fatto male?
Assistiamo in questi giorni all’annuncio dello stanziamento di nuovi fondi, su cui facciamo ovviamente affidamento, mentre il settore non ha ancora contezza di quando riceverà quelli di cui avrebbe già dovuto disporre. La questione non è solo il “quanto”, pur essenziale per un settore che si è fermato il 24 febbraio 2020, ma anche il “quando”: la scialuppa di salvataggio serve quando c’è ancora qualcuno da salvare. È una questione di tempo. E quel tempo è finito.
Qualcuno ci dica quando arriveranno i fondi, senza promesse, con date certe che non vadano oltre marzo 2021.