A proposito di scuola pubblica e scuola privata … di Gianfranco Miroglio.
Un crapone irridente dell’isola di Pasqua. Indecifrabile nell’espressione, sommario, disinnescato nei sentimenti. Quasi un segnatempo rozzamente scolpito dai venti e nelle aurore.
Come? Da quanto? Da chi? Idolo o spettro? Come tanti altri più piccoli di lui. Sequenze, pellegrinaggi e dissolvenze mentali man mano che il cielo si gonfia o si sgonfia di sole.
E’ una specie di macigno sulle coscienze di popoli già trapassati; di quelli che non sanno se farlo; di quelli che, se lo stanno facendo, non lo capiscono ...
Virtuale e incredibile più nelle ombre lunghe da cui è tallonato e insediato nel contesto che nei gesti, ridicoli, che lo segnalano.
Esteticamente inquietante, appoggiato sotto uno scalpo di rame, quasi un rito collettivo di pietra, quasi un culo individuale di roccia a cui servono la solidarietà degli sfondi e delle luci, oppure la fantasia di chi guarda, per farsi restituire un senso e un’interpretazione.
Così è rimasto e rimane. Per ore, per mesi, per anni, per ere: avulso dalle parole e dai commenti che pure gli danzano intorno, sopra, dentro e fuori.
Parole che, a grappoli, sgorgate da una sua crepa o da un suo orifizio qualunque, rimbalzano lungo la sua costola fredda, lungo uno sbrodolio di ammirazione o di disgusto o di paura.
Sentimenti in cerchio, estorti con la prepotenza della necessità, delle sette e dei regimi.
Amore obbligatorio
Degli indigeni, dei servi, dei sudditi.
Madidi nei riti al cospetto di un suo tronco che finisce senza gambe: conta il ventre, la pancia.
Conta Lui.
Dioniso o Venere o Orfeo.
L’Olimpo o l’Ade.
O Lacrime o Fragole o Sangue in una suburra a cinque stelle.
Ma il monolite ha una bocca sommaria, appena un alone tracciato dal laser o dai secoli.
Le parole non le ascolta, non le sente neppure, non le controlla, quasi sempre non le sa e non le conosce; ma accetta che gli si snocciolino giù secondo la deriva salgariana di una risata da maschera; poi le guarda, tronfio di autocompiacimento, rotolare – effetto domino, una ruba l’altra, l’altra ne innesca un’altra, fino al naufragio – minimi tonfi estemporanei - nel sottostante oceano, piatto di banalità oppure burrascoso di menzogne e populismo.
Bonaccia o tempeste. Tempeste e bonaccia.
Domani, ne è sicuro, si godrà gli effetti dello tsunami implacabile di un’ignoranza diffusa, coltivata ad orologeria.
Domani anche la solita, anestetica sbornia dell’oblio.
I Totem possono suggerire, ispirare, non parlare; e se qualche pazzo sostiene di averne udito la voce, sono suggestioni, sono travisamenti, sono perversioni, sono ricatti oppure preghiere.
Tranquillità.
Lui è un contorno tozzo, un’immanenza quotidiana che perseguita e asfissia, un ghigno che non si capisce mai che cosa nasconda e che cosa conservi: solo uno stupido sarcasmo, oppure addirittura una statuaria, tragica solitudine?
Lui è l’inconfessabile disperazione di chi non può più concedersi l’ambizione o il rigurgito o il rimorso di una morale e di una vergogna.
Per questo, semplicemente, tramanda in giro il conforto e il costume del gioco delle colpe senza castigo.
Così - per consolare o umiliare – recita la dannazione ad una sopravvivenza che va perfino oltre all’oscena provocazione dell’inamovibile, dell’indistruttibile e dell’eterno.
Pensieri
Pensavo a qualcosa del genere nelle ultime sere; affranto dagli ultimi messaggi, anzi dalle ultime recite, del Premier.
Da anni mi hanno certificato “sordo da destra”, e da un po’, per evitare ogni spiffero e sussurro, ho voluto ridurre al lumicino perfino “l’audio” dei giornali.
Mi colpivano in quegli istanti – troppi fino alla nausea! - il fregolismo della sua faccia, il baluginare dei suoi denti, la cartapesta e la canapa di gote e di capelli.
Banalità, lo so. Roba vecchia.
Ma – da sordo strategico - ne leggevo le labbra, per abitudine ormai, per bisogno.
La Famiglia, la Scuola, l’Educazione, il Buon Cuore, i Valori.
Un labiale che sferzava il silenzio con un filotto di maiuscole.
Pensavo alla Sua Famiglia e a quanto di euro nelle ultime ore s’era spartita pur in tempo di crisi.
… E a quanto di quel quanto potrebbe facilmente essere ascritto all’ancestrale svendita di nostri Diritti o allo sfruttamento dei nostri Doveri.
Pensavo alla sua scuola e alla sua educazione, ai suoi Modelli e alla sue modelle, ai piccoli set di Arcore, alle sue Educande dell’Olgettina.
Pensavo che un versamento – uno solo! - a una Rubi, o a una Maristelle, o a una qualunque delle tremila cenerentole accarezzate dal “buon cuore e dintorni” del Premier, è quasi il doppio di un Fondo di Istituto di una Primaria.
Consideravo che un paio di quei bonifici equivale al bilancio di un Istituto superiore e basterebbe a rilanciarne laboratori e progetti di formazione.
Computavo, infastidito dall’ovvietà del computo, che con i “bruscolini” di quel “settore educativo”, con gli avanzi di quegli stages, si coprirebbe in toto l’investimento attualmente previsto per la messa in sicurezza di dieci (10!) edifici scolastici.
Confrontavo – gioco forza - le trenta e più ragazze di quei “corsi serali”, con i trenta bambini stipati nei banchi e nei sottoscala del dopo riforma.
Le prime con un ben nitido percorso individualizzato.
I secondi con l’antico, restaurato, “piacere di massa” della deamicisiana maestrina dalla penna rossa.
Accostavo i menu, i cibi, le bevande e i costi delle mense e dei trasporti delle “allieve” del Premier a quelli delle tante scuola dove ho resistito fin che ho potuto.
Poi mi tornavano in mente – a proposito di Buon Cuore – i bambini con grossi problemi e con gravi disabilità lasciati senza un aiuto. I sostegni dimezzati, gli insegnanti e gli insegnamenti cancellati o ridimensionati.
… Pensavo al CUD dei docenti, alle loro paghe orarie; alle cifre concesse per la programmazione; alla recentissima farsa dell’autovalutazione; ai precari storicizzati in una storica questua di luoghi, di contenuti, di cattedre, semicattedre, un quarto di cattedre. Venti ore per tre discipline per quattro sedi per 120 bambini per 150 chilometri o su di lì.
… Ai docenti meridionali a rischio di essere rispediti al mittente per “bulla federale”.
… Alla costante presenza della Scuola di Stato e solo quella, in surroga di assenze e lontananze di troppi altri: variegati dei, patria e famiglia, appunto. Con le minuscole, però.
Pensavo, per forza, alla Gelmini laureata in Calabria.
Alla stessa Gelmini, di fianco al Premier, lei – incredibile! - muta davvero, anche nella decodificazione labiale, proprio mentre il suo Capo ne svillaneggiava l’Istituzione, quella che le è stata affidata come compito oltre che come vanto o come patacca da medagliere.
Pensavo alle code stropicciate e patetiche nei giorni e nelle bolgie delle”nomine”.
Alla felicità estemporanea per una firma da mille euro al mese; alla rabbia e all’impotenza degli esclusi: alle attese sempre più senza sbocco per un ingresso in “ruolo” a quarantacinque o cinquant’anni … oppure agli infiniti passi perduti nei corridoi delle segreterie, alle anticamere delle presidenze.
Ai curricula e ai titoli di studio pretesi per poter essere assoldati con l’elemosina garantita agli esperti, ai ricercatori …
Pensavo alle consulenze indispensabili ma ormai impossibili.
Pensavo al curriculum della Minetti.
E proprio mentre pensavo, mi danzava davanti – ovviamente silenziata – una piccola platea incrociata di “Repubblicani non so che cosa” e di “Cristiani non so per chi”.
Fibrillazioni, erezioni, pifferi, bandiere, labari, campanacci.
Repubblicani – pensavo – quindi Costituzione; … Cristiani – pensavo – quindi una Fede, una Chiesa, dei Valori.
Ma il labiale del Premier, impietoso, sparpagliava suggestioni inequivocabili e francamente irresistibili.
Maiuscole ancora: Comunisti, Sinistra, Magistrati, Gay, Bunga Bunga!
Gli applausi speculari da un gruppuscolo all’altro, da un ruffiano all’altro, da un canale all’altro, hanno finito per confermarmi poche note:
- che forse la nostra timida democrazia si sta dimenticando di essere – nonostante tutto e tutti - venuta al mondo;
- che i suoi principi fondanti si stanno arrugginendo e svaniscono, giorno dopo giorno, come insignificanti scarabocchi su insegne di latta;
- che i mercanti vanno e vengono nel, dal e per il Tempio sotto l’occhio consenziente di sacerdoti contabili in minigonna e giarrettiere;
- che la cura all’Azheimer di Stato deve diventare priorità; … con segnali, con azioni, con proposte soprattutto da parte di chi, oggi, si convince di contrastare lo spettro inseguendone pietosamente l’avanspettacolo.
E soprattutto che per rimuovere il crapone dell’isola di Pasqua occorrerebbe l’enorme leva di una riscossa e di una dignità collettiva.
Oppure l’intervento di qualche superiore provvidenza.