di Daniela Grassi.
Ho conosciuto Roberto quando era al suo primo mandato come presidente provinciale delle Acli di Asti, per cui lavoro anche attualmente, e non sapevo nulla né di lui, né delle Acli di Asti e della loro realtà, così fortemente legata ai Circoli sparsi sul territorio, e che a volte cercavo sulla cartina della provincia, tra le colline.
Non sempre era facile capire quello che Roberto diceva, sia che parlasse di quei Circoli, sia che, come è successo tante volte nei lunghi anni trascorsi, ci occupassimo di argomenti più “alti”, tanto che spesso si scherzava sul fatto che ciò che concepiva avesse poi bisogno di interprete per essere compreso dai mortali, specialmente in un mondo che ha ben poca voglia di attardarsi su tutto ciò che sia meno che sintetico e immediato.
Ma una cosa era chiara, sempre: che a Roberto davvero piaceva stare con gli altri, passare del tempo insieme; persino quando c’erano grossi guai da risolvere, diceva che alla fine la cosa buona era che si stava di più insieme. Lo stare insieme per “fare cose di senso”, cose buone, era secondo me la sua passione, il comune denominatore di ogni sua attività...
Spesso, mentre ci parlavamo e ci confrontavamo, mi pareva di vedere dietro la sua fronte e gli occhi sorridenti, una serie di ingranaggi che lavorassero alacremente producendo una sorta di tessuto.
Sovente ascoltava, apparentemente distaccato, lasciava che tutti dicessero, e poi, con un certo divertimento, tirava fuori un’opinione spiazzante, che ribaltava il gioco in tavola.
Ma quello che più mi stupiva era che da questo macramè mentale, lievemente visionario, derivassero alla fine sempre cose “vere”, “tangibili”, che fossero progetti, incontri o altre iniziative.
Era evidente che nella sua mente, tra quegli ingranaggi, il filo si svolgeva senza intoppi, sapeva dove sarebbe arrivato, pur prendendo strade insolite.
Era un filo che derivava da una notevole curiosità intellettuale e da molte letture di articoli e testi; più di una volta, ho invidiato, nel senso migliore del termine, la sua posizione lavorativa che gli dava la doverosa possibilità di leggere e informarsi su tanti argomenti e ritengo che per Asti sia stata una bella fortuna che a doverlo fare e a trarne idee sia toccato proprio a lui.
Pochi mesi dopo il mio arrivo, eravamo all’inizio del nuovo millennio, si tenne ad Asti il Congresso Regionale delle Acli e ancora ricordo che, nel suo discorso introduttivo di presidente provinciale, Roberto fece un paragone che nessun altro avrebbe fatto. Paragonò il suono della sigla ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) ad un termine antico, “Accueil”, un termine francese che deriva dalla parola “Acuelh”in langue d’oc, la quale a sua volta lo ha tratto dal latino colligere (cueillir) e che significa riunire, associare, essere con.
Sul Dictionnaire Robert: «l’accueil est la manière de recevoir quelqu’un, de se comporter avec lui quand il arrive» (L’accueil è il modo di ricevere qualcuno, di comportarsi nei suoi confronti quando arriva presso di noi)
E sul Bourdieu (1998): «chaque milieu social transmet un habitus qui n’est autre qu’un code de pratiques sociales, assimilé par chaque individu. L’accueil est un des éléments de ce code qui fait partie des rituels sociaux de la rencontre.» (Ogni ambiente sociale trasmette un habitus che altro non è che un codice delle pratiche sociali, assimilato da ogni individuo. L’accueil è uno degli elementi di questo codice che fa parte dei rituali sociali dell’incontro.)
Su altri testi si fa presente come quest’atto di accogliere, sia fondamentale nel creare il rapporto successivo, di fiducia. L’accueil fa capire a chi ci viene incontro di essere considerato persona, con la sua realtà, i suoi problemi, le risorse che porta e le fragilità per cui chiede aiuto.
Ho ripensato più volte a questo paragone di assonanza tra Acli e Accueil quando con Roberto siamo andati nei nostri Circoli sui bricchi e l’ho visto commuoversi nel rilasciare un riconoscimento per quelle attività e quelle persone che si danno per semplici e scontate, mentre spesso sono state il nutrimento di un “essere con”, di un “associare” che rischia di perdersi nelle secche dell’individualismo.
Roberto amava il suo territorio, amava “fare le Acli”, come si dice con un’altra anomala espressione che segnala il legame necessario dell’azione intellettuale con quella pratica, quel “fare” che si lega ai lavori agricoli, ma anche al dedicarsi alla cura gratuita di un luogo in cui ritrovarsi per una partita a bocce, per fare due chiacchiere o per far fare attività ai bambini, insegnare loro come si sta bene insieme. Cose semplici, che però vanno coltivate giorno dopo giorno, con costanza, nella prospettiva di un avvenire migliore.
Avevo da poco saputo che Roberto ci aveva lasciati andando oltre questi ultimi mesi crudeli, quando sono passata sulle rive del Borbore, rive per cui lui ha lavorato, e tra le canne ho visto il gregge di pecore, capre e asini che in questi giorni vi ha fatto tappa.
Ascoltavo i belati, profondi o teneri, guardavo quegli animali morbidi cercare ombra per i loro agnelli, i cani traversare l’acqua bassa, e mi è parso che anche lui guardasse, insieme alle persone lì intorno, poggiato al parapetto del ponte: c’era, nella scena antica e urbana al tempo stesso, quella mansuetudine, quella serenità d’una città diversa, di un territorio di tutti, di pace, per cui si erano mossi svelti e silenziosi gli ingranaggi della sua mente e il “fare” del suo lavoro.
Certo gli sarebbe piaciuto e ne avrebbe sorriso, prima di riprendere il cammino.