Di che ridete?



di Luciano "Willy" Rizzolari.

Da anni, passo parte dei miei giorni in Italia e in questa cittá. Ho ritrovato amici e conoscenti e con essi, tra un caffé e una bibita, si riapre la conversazione interrotta nel tempo. Avverto, osservando attorno a me e ascoltando con attenzione, che c’é paura di pensare per conto proprio, senza timore di esprimere delle conclusioni compromettenti, ció che il "buon Carletto” Marx definiva in “la miseria della filosofía”. Una cosa é pensare con la propria testa, scrivere ció che si sente, vivere senza condizionamenti coercitivi; altra cosa é il “bisogna”, il “tu devi”, che si legge diffusamente per la nostra cittá, rivolto ai suoi cittadini, e piú in generale agli italiani, e se si é fuori da queste logiche si é dei “gufi”, “disfattisti”, “conservatori”, non si vuole il cambiamento ...

Quando si rimane allineati e coperti o addirittura “occultati” dall’ombra “dell’uomo solo al comando”, di turno, non esistono piú frontiere, tutto é in ordine con una argomentazione persuasiva, spesso con digressioni o spiegazioni tendenziose.

Mi permetto un accostamento azzardato saltando a pié pari epoche, filosofi, pensatori e scrittori, ma spero efficace: dal pensiero letterario-comunicativo e nei nostri giorni (reti sociali: facebook, twitter, ecc.) quasi inavvertitamente, siamo transitati dal “realismo magico” di “Gabo” Marquez, al “realismo russo” e ci troviamo, oggi, nel “realismo renziano”, deliziati dall’essere “borghesi torturati” e scaraventati nell’epigolo dell’Ispettore di Gogol, ”Di che ridete? Di voi stessi ridete”.

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