Da Milano ad Asti: la solidarietà difficile

ImageC'è un finissimo ma resistente legame che unisce situazioni di (tragicamente) "ordinaria" quotidianità in luoghi differenti.
Al centro, sempre, diritti negati, storie di alterità e di vite sofferte e sofferenti.
Che siano i Rom di Milano, gli sfrattati di Asti oppure i diseredati degli slums di ogni angolo del nostro mondo ...

Visita a Cristina, Romeo e alle loro famiglie

Credevo di aver visto un ventaglio esauriente di posti dove i rom continuamente scacciati si accampano, compreso il girone dantesco della fabbrica crollata di Rubattino tra macerie e topi (20 novembre).
Quello che ho visto oggi è molto, molto peggio.
Un edificio a più piani mai terminato, di cui esistono solo pilastri d’acciaio verticali e orizzontali e solette. Il tutto evidentemente abbandonato da anni ...

Dal marciapiede, spostando una lamiera, si accede a un prato incolto, lo si attraversa e si arriva all’edificio: nessuna traccia dei rom, non uno, non una voce.

Si costeggia il palazzo, cioè il suo scheletro, tra sporcizia e masserizie e si comincia a scendere per uno scivolo, fino ad infilarsi sotto il palazzo dove nella semioscurità vivono 7 o 8 famiglie rom. Sottoterra e con la pochissima luce che filtra, con le correnti fredde, molto fredde create da spazi pieni e vuoti.

Ci abituiamo alla poca luce (siamo in quattro, tre maestre e una signora volontaria) e cominciamo a veder tende a igloo, bambini, persone: fantasmi, ombre spaventate che non escono nel prato dove il sole rende la temperatura meno rigida per non essere visti. Il popolo del sottoterra milanese.

Tutti ci parlano del freddo, ma ancora di più dello sgombero annunciato per domani. Nessuno si lamenta, nessuno ci chiede alcunchè. Mentre siamo lì una signora rom pulisce i fornelli (l’acqua la prendono alla fontanella della piazza vicina), cambia i fogli di giornale che fanno da tovaglia, scalda una pentola d’acqua e lava le stoviglie. Un’altra scopa il pavimento di cemento: lo spazio in cui stanno è pulito, nelle tende regna l’ordine, ma è un posto da topi, siamo sottoterra al freddo e all’umido puzzolente.

Cristina, nostra scolara di 10 anni, ci chiede un libro per studiare: lei a scuola ci andava, ma i continui sgomberi hanno reso impossibile la frequenza. Ci chiede quando potrà tornare. Per tutto il tempo che stiamo lì non uscirà mai dalle braccia della sua maestra.

Romeo, 6 anni, quando vede la sua maestra si ferma immobile e resta così per un po’, ma intanto la faccina gli si trasforma e diventa un unico grande sorriso, sembra che gli scoppi la luce dentro. Poi le corre incontro e le salta in braccio.

Verso di noi solo rispetto, tanto rispetto e grande educazione, verso i bambini coccole e tenerezza. Noi ce li coccoliamo i nostri scolari e anche i loro fratellini.

Mi chiedo in quale altra parte del mondo le persone sono costrette a vivere così e con la paura di essere scacciati anche dai sotterranei: forse nelle fogne di Bucarest? Forse nell’Africa più ingiusta? Forse nelle favelas del Brasile?

Ci è difficile venire via da lì, e quando usciamo non commentiamo.
Una donna rom ci augura “buon 8 marzo”.

Una maestra.

7 marzo 2010: uno dei tanti giorni di inciviltà di Milano .


Una simpatica "carogna" ...

Via Fratelli Olivero 2, San Rocco, Asti: antico rione cittadino. Prima della industrializzazione sede di chiese, conventi, caserme, confraternite, case patrizie. Poi quartiere popolare, case/fabbriche, laboratori di sellai, fabbri e falegnami, residenze di operai. I primi lotti di alloggi iacp sono stati costruiti qui, quando la gescal (contributo su salari e stipendi, fino al 75) finanziava l'edilizia residenziale pubblica. Quegli alloggi sono stati quasi tutti venduti ai loro assegnatari, durante la prima ondata di privatizzazioni, negli anni settanta. Finiti nel marcato immobiliare, adesso possono essere di chiunque. Alcuni sono rimasti dell'atc (Agenzia Territoriale per la Casa).
Proprio in uno di quelli, segnato dalla vetustà e dall'incuria, di fronte al 2 di via Fratelli Olivero, abita Alaa El Din, appena uscito dall'emergenza, dopo sei contrastati rinvii dell'esecuzione dello sfratto. Due adulti e due minori in 50 metri quadri. Meglio del ritorno in Egitto prospettato dall'assessore.
Alaa non ha perso il buon umore, ormai è uno di noi, prima porta i bambini a scuola e poi si unisce agli altri dell'associazione. Ha ricevuto da pochi mesi la nazionalità italiana accompagnata dalle congratulazioni del Sindaco, la esibisce con amara ironia. Se si ha presente la storia di questo quartiere, in particolare dei ceti popolari che l'hanno abitato, gli avvicendamenti tra una migrazione e l'altra, non è proprio un caso che Alaa adesso abiti qui con tutta la famiglia. Tra i piemontesi sono venuti i veneti e i meridionali e adesso è il turno dei nord-africani.

Il quartiere di San Rocco è stato un quartiere antifascista. Alcune storie di antifascismo militante, a cavallo della lotta di liberazione e negli anni seguenti, sono iniziate qui. Eo Baussano è nato qui nel 1903. Partigiano comunista, esiliato e deportato, una sorta di gigante buono (alto 1,80; 90 Kg di peso) che si è prodigato in azioni di salvataggio, durante l'alluvione del 48. Una scuola elementare porta il suo nome. Altre storie di antifascismo sono ricordate nella toponomastica. Come quella dei fratelli Olivero. Il 29 novembre del 1944 era in corso un massiccio rastrellamento in tutta la regione sud dell'astigiano, dove si erano formate le giunte popolari di governo. In uno scontro nei pressi di Revigliasco cadono quattro partigiani, altri cinque vengono catturati e fucilati a Felizzano. Tra loro c'erano tre fratelli, Carlo, Oscar e Walter Olivero. Questo passato antifascista sembra davvero morto. In questo quartiere adesso si vota massicciamente lega e pdl. Ma non è detto che sarà sempre così. Samuele lo sa. Tutti noi lo sappiamo. Basta non farsi prendere troppo dalle apparenze. La talpa scava, prima di vedere la luce.

L'esecuzione dello sfratto è per le dieci e mezza, ma alle nove siamo quasi tutti lì. E' il terzo accesso, il Comune ha già pagato un rinvio. Mille euro, ma la morosità dell'inquilino è ormai di un anno. La famiglia minacciata di sfratto è di cinque persone con tre minori, di cui due in età scolare. Il capofamiglia ha perso il lavoro, a causa della “crisi”. Situazione sempre più frequente. Naufraghi dello sviluppo, di questo si tratta, di persone che devono affrontare circostanze asprissime imposte da altri, minacce che vengono da un altrove mai ben identificato. Ma di queste circostanze i nostri interlocutori istituzionali parlano di malavoglia o in modo notarile. Noi ne parliamo a ragion veduta da otto mesi. Non è un monologo inutile, rafforza la nostra coscienza dei fatti e delle situazioni, delle cose che si possono fare e di quelle che si devono fare.

Arrivo in bicicletta, trai primi. Fa un freddo cane, tira un vento di tramontana. Sul portone trovo l'inquilino. Ci presentiamo lì. Ha l'aspetto di quelli che partono da paesi lontani per non tornare. Io li vedo così, giovani, la fermezza e la calma nei gesti e nei lineamenti. All'associazione era venuta la moglie. Abiti tradizionali, quel copricapo da madonna, persone ormai frequenti nel nostro paesaggio urbano. Aveva commentato la proposta dell'assessore, quella della scissione della famiglia in centri di accoglienza e dormitori. Una critica aspra, un rifiuto fermissimo, l'espressione di sentimenti forti di indignazione, di cultura rifiutata, sono musulmani. Questa mattina aspetta in casa con alcune amiche, non è rassegnata al peggio che si prospetta. Due bambini sono a scuola, il più piccolo è all'asilo nido. Una sentenza della Cassazione, emessa proprio ieri, condannerebbe tutta la famiglia al ritorno al paese di origine. “A difesa dei confini nazionali”, pazzesco, incivile.

Arrivano gli altri, Luca attacca lo striscione, qualcuno passa di lì e si ferma a leggere. Curiosità, disapprovazione ? Chi lo sa. Certo non si fermano neppure a fare domande. Arrivano due digos. Siamo più preoccupati del solito e non abbiamo alcuna certezza sull'esito dell'azione. Non abbiamo alternative da opporre. Con le immobiliari è più facile misurare le nostre certezze. Sono senza ombra di dubbio una controparte. I loro titolari li classifichiamo tra i responsabili sociali e morali di questo scempio del diritto all'abitare. Ma questi titolari non hanno nemmeno un volto, la faccia nel confronto con noi ce la mettono gli avvocati, le loro ragioni di mercato ci arrivano per interposta persona. Possiamo immaginarli come i componenti della banda bassotti, spersonalizzati dunque un po' disumani. Questa mattina invece dalla parte della proprietà, non c'è una immobiliare. La nostra inchiesta ci ha avvertito che incontreremo una famiglia di piccoli artigiani ex operai, di lavoratori salariati, il risparmio investito in quell'unico alloggio.

Prima arriva il loro avvocato. Lo conosco, è disponibilissimo. Mi avverte che saranno possibili delle intemperanze, soprattutto se non sapremo proporre delle alternative. I suoi clienti arrivano in tre, più il fabbro che qualcuno di noi riconosce come il vicino della porta accanto. Sono aggressivi e rancorosi. Padre, figlio e nipote. I primi due in abiti dimessi, da lavoro, grandi e grossi con un'aria niente affatto pacifica. La nipote è una donna giovane, arruffatissima ma elegante. L'avvocato tenta una presentazione formale per indurre un certo fair play, ma è inutile. Prima esitano a stringere mani, poi si lasciano andare ad una sequela di invettive, di giudizi sommari, di indignazione. Sparano le loro parole in direzione di tutti i presenti. Quelli meno graditi siamo noi. Io tento un approccio, di fronte a tanta ostilità riesco solo a balbettare, sono troppo irrigidito. Samuele dura più a lungo ma non avvicina di un millimetro le nostre ragioni alle loro. Insistono, vogliono cacciare i loro inquilini (dicono che sono furbi e con poca voglia di lavorare). Si considerano vittime di intollerabili vessazioni: la morosità, le spese che devono pagare, la mobilità della signora a seguito di licenziamento, tutto viene messo nel conto da presentare all'inquilino, a noi, all'ufficiale giudiziario. Nemmeno la più pallida idea di poteri, interessi e responsabilità che trascendono quella situazione. Un accumulo di malessere non sciolto, che non lascia spazio a sentimenti di solidarietà o di semplice condivisione. Difficile considerarli dalla parte del problema. In ogni caso sono la prova evidente di una coesione sociale irrimediabilmente rotta.

Tra noi quello più sciolto è Claudio. Riesce persino a sorridere, riesce a farsi riconoscere. Conosce la storia più prossima del quartiere, conosce molte persone, il più anziano è stato operaio, può aver fatto il famoso sciopero per la casa del 69. Con lui scorre qualche parola, cade qualche diffidenza. Non credono che la situazione possa mutare, se non nel senso da loro auspicato, mettendo tutto nel conto dell'inquilino. Arriva l'ufficiale giudiziario. Non è tranquillo, ci siamo noi ma ci sono anche tre bambini, si rende conto che non è facile mettere la famiglia sulla strada o nelle mani delle assistenti sociali del Comune. Si rivolge a noi, come vecchie conoscenze. Cosa avete da proporre. La promessa di un nostro impegno al “tavolo delle emergenze”, un nuovo presidio davanti al 350. Per il suo ruolo è meno che niente. Luca decide di telefonare in assessorato ma da quella parte arriva la solita risposta, i centri di accoglienza ci sono, le case popolari non ci sono. Abbiamo un foglietto, passato dalle assistenti sociali alla madre dei tre bambini. E' il consiglio, scritto a mano, di accettare l'accoglienza del Comune per evitare conseguenze peggiori. Il sottinteso è la sottrazione dei bambini. Una vergogna. Fa ancora più freddo. L'ufficiale giudiziario decide di trasferire la discussione al riparo dell'alloggio.

E' al terzo piano, l'ultimo. Io salirò in conclusione. L'alloggio è modestissimo, non vale i 350 euro del canone. Se vanno via questi inquilini, quelli che seguiranno saranno ancora migranti. Qui la mano passa a Luca, a Egle, a Oreste. I più autorevoli e dialoganti tra noi. Zio e nipote non intendono ragioni. E' un dialogo tra sordi. E' un dialogo impossibile, perché contrappone un umanissimo bisogno di abitare alla rancorosa necessità di mettere a valore una proprietà, un alloggio a suo tempo acquistato. E' la voce della Lega che parla. Parla quel che è rimasto di una antica idea di umanità, di comunità. Quando si tratta di migranti solo i soldi sono un argomento negoziabile. Per i proprietari non importa da dove vengono, purché ci siano, subito. Soldi e cinismo, soldi e sopraffazione. Vince il più forte. La sfida mercantile era già partita sulla strada. E' stata la signora elegante, operaia in mobilità, a dire: Perché non ve li prendete voi, perché non pagate voi ?

Anche in una situazione così concitata non si smette di pensare. C'è un baratro di incomprensione che ci separa da un bel pezzo di società. Non c'è nessun automatismo tra coscienza e essere sociale. Si può essere proletari e al tempo stesso animali della giungla. Sapere che non c'è niente di scontato è persino tranquillizzante. E' tranquillizzante sapere che la parola e il sentimento della parola, solidarietà e comunione (comunismo), sono l'unica forza che abbiamo. Il nostro problema è quello di moltiplicare di senso questa parola, propagarne fedelmente l'eco, senza affidarla ai media. Il problema è quello. Non basta un megafono, di cui necessariamente facciamo uso, anche adesso.

Non so chi abbia detto, bene allora è l'associazione a mettere i soldi necessari, non so chi abbia negoziato con quei rabbiosi proprietari dell'alloggio 300 euro per un rinvio dell'esecuzione della sfratto a fine mese. Qualcuno di noi lo ha fatto. Qualcuno di noi ha subito detto, dobbiamo fare al più presto una cena di autofinanziamento. Anche le cene possono essere uno strumento delle nostre azioni. Sodalizi a tavola, non impersonali collette. Un breve preambolo per spiegare le intenzioni. Persone che sentiamo vicine e che possono finanziare la nostra filantropia ce ne sono. Gli avvocati, gli ufficiali giudiziari, i giornalisti, gli agenti della digos, i volontari non inseguiti dagli assilli della precarietà, ci sono persone disposte ad uscire dai loro ruoli per un gesto di solidarietà. Si può fare, sicuramente non ci vendiamo l'anima. La filantropia come propedeutica alle nostre azioni più incisive, come esercizio dello stare insieme, per affrontare meglio le cause di questo problema sociale. Ma se non riusciamo a costruire questo nesso sarà tutto inutile. Di associazioni che mettono un po' d'olio per lubrificare questo sistema di sfruttamento ce ne sono fin troppe.

Abbiamo negoziato con l'avvocato e i suoi clienti i 300 euro in cambio del rinvio. Sciolta la tensione alcuni di noi se ne sono andati. Quelli rimasti hanno formato un piccolo corteo fino al famigerato 350 di corso Alfieri, alla ricerca dell'ennesimo incontro con l'assessore. Ma Stefano della digos ci aveva già avvertito che l'assessore era assente per impegni elettorali. I digos sono in tanti questa mattina, sono gentili come sempre ma la nostra intenzione di occupare l'assessorato è uno spettro che non tranquillizza nessuno. La parola di Luca è al megafono, chiara e forte contro l'ingiustizia. Una semplice testimonianza dell'esserci. C'è qualcuno che non ha dato il cervello e l'anima all'ammasso. C'è la convinzione che, trattandosi di un processo di liberazione dall'oppressione e dal bisogno, l'essere in pochi è solo un ostacolo tra gli altri. Mentre eravamo lì, a ripetere come altre volte la nostra rabbia, la nostra analisi e le nostre proposte, è passata una land rover di quelle verdi, una sorta di ljeep militare. La guidava il proprietario anziano, l'ex operaio, dal quale ci eravamo separati mezz'ora prima. Ci ha visti, ci ha fatto le corna, con un vistoso gesto del braccio, ghignando è passato via. Una simpatica carogna.

Asti 9 Marzo 2010, Carlo Sottile.

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