di Marco Bersani, Attac Italia.
Grande fibrillazione nel mondo politico-istituzionale per l’arrivo dall’Europa del bastimento carico di miliardi del Pnrr. Ricordando che nessun Babbo Natale ne è al comando e che si tratta di prestiti gravati da centinaia di condizionalità, stiamo assistendo alla scoperta dell’acqua calda: la gran parte dei Comuni non è in grado di farvi fronte.
Non esattamente un evento imprevedibile, visto che per trenta anni le cosiddette politiche di riduzione del debito pubblico sono state scaricate tutte sui Comuni, dai quali sono stati drenati oltre 14 miliardi, nonostante il loro concorso alla formazione del debito pubblico nazionale non superi l’1,5%...
Oggi un comune su cinque si trova in difficoltà finanziaria e, date le diseguaglianze territoriali, questo rapporto sale a sei su dieci in Calabria e a quattro su dieci nel Lazio, solo per fare due esempi. Non male come risultato di decenni di politiche che avevano l’unico obiettivo-quasi compulsivo- del risanamento dei bilanci.
Non solo. I Comuni sono stati depauperati di personale (-27% negli ultimi venti anni), di energie creative (oltre il 65% di chi lavora nei Comuni ha più di 50 anni), di conoscenze (le esternalizzazioni e le privatizzazioni cedono saperi dal pubblico al mercato) e di riconoscimento sociale.
Oggi i Comuni rischiano di non avere futuro, perché sono state sottratte loro tutte le politiche strategiche: affidando al mercato la gestione dei beni comuni, dei servizi pubblici locali, dei servizi sociali e culturali, la loro funzione non va oltre la gestione affannosa di “quel che c’è”, mentre la democrazia di prossimità è progressivamente scivolata nel puro disciplinamento sociale.
Ma cambiare si può: ce lo dicono le due proposte di legge d’iniziativa popolare promosse dalla campagna Riprendiamoci il Comune (www.riprendiamociilcomune.it), che intervengono esattamente sui nodi sistemici che impediscono ai Comuni di esercitare la loro funzione pubblica e sociale e alle comunità territoriali di rappropriarsi dei beni comuni, della ricchezza collettiva e della democrazia di prossimità.
La prima proposta di legge si prefigge una profonda riforma della finanza locale, inserendo, oltre all’equilibrio finanziario, il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale, reinternalizzando i servizi pubblici a partire dall’acqua, difendendo suolo, territorio, beni comuni e patrimonio pubblico e dando alle comunità territoriali strumenti di autogoverno partecipativo.
La seconda proposta di legge si prefigge la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, trasformandola in ente di diritto pubblico decentrato territorialmente e mettendo a disposizione dei Comuni e delle comunità territoriali le ingentissime risorse del risparmio postale (280mld) come forma di finanziamento a tasso agevolato per gli investimenti dei Comuni decisi attraverso percorsi di partecipazione della comunità territoriale.
Si tratta di decidere in quali comunità territoriali vogliamo vivere: se nei luoghi anonimi dell’estrazione di rendita finanziaria e delle privatizzazioni, abitati da individui brulicanti e rancorosi, o in territori che si riconoscano come comunità di cura capaci di lotta, di partecipazione e di trasformazione.
Si tratta di scegliere se inseguire il folle disegno dell’autonomia regionale differenziata, che frantuma il Paese e ne esaspera le disuguaglianze, o costruire un altro modello sociale, ecologico e relazionale, che rimetta al centro la democrazia di prossimità e una vita degna per tutte e tutti.
(Articolo già pubblicato su il manifesto dell’8 aprile 2023 per la rubrica Nuova finanza pubblica).