La scelta del Governo Berlusconi di spostare il G8 dalla Sardegna alla città de L’Aquila colpita dal terremoto non è solo una boutade propagandistica ad uso e consumo dell’immagine del leader. Sul terremoto e sulla ricostruzione in Abruzzo si sperimenta un modello che consideriamo paradigmatico della crisi globale e dei tentativi di uscita a destra dalla stessa ...
Il terremoto è un fenomeno naturale. Le devastazioni che ha prodotto in Abruzzo sono il risultato di una politica del territorio, abitativa e sociale costruita in spregio dei più elementari diritti alla vita, alla salute, all’ambiente e alla sicurezza sociale delle popolazioni.
Ciò che non produce redditività è per il modello liberista un costo da eliminare: ecco perché non c’è stata alcuna politica di prevenzione, di messa in sicurezza, di coinvolgimento attivo delle popolazioni perché potessero rispondere con consapevolezza collettiva all’evento sismico.E una volta che questo si è verificato, con la scia colpevole di morte e distruzione, l’Abruzzo e le sue popolazioni colpite sono diventate le cavie di un esperimento sociale paradigmatico.
Da una parte si è messo in campo ancora una volta il capitalismo delle catastrofi, ovvero l’idea di un modello economico, urbanistico e sociale costruito a tavolino, con il tentativo di azzerare la storia e la cultura di interi territori e popolazioni e di finanziare sulla spalle delle stesse la ripresa delle grandi lobbies mafiose dell’edilizia, delle infrastrutture, dei poteri forti finanziari; dall’altra si è messa in campo, insieme all’azzeramento di fatto del coinvolgimento degli enti locali, il disciplinamento di massa delle popolazioni, perseguendo, attraverso la cosiddetta efficienza della Protezione Civile, la passivizzazione della popolazioni, la militarizzazione delle relazioni sociali nelle e fra le tendopoli, la frammentazione sociale delle comunità.
L’obiettivo è chiaro: la solitudine competitiva, dentro la quale il messaggio diventa “ciascuno pensi per sé” e superi la paura dell’insicurezza attraverso l’identificazione diretta con chi detiene il potere e può decidere se il futuro di ogni singola persona sarà di vita o di precarietà disperata.Comunità frammentate e persone disciplinate che dovranno sorridere speranzose all’Obama di turno che, girando fra le tende con telecamere al seguito, stringerà loro le mani, facendo capire al mondo come “siamo tutti sulla stessa barca … avvengono crisi economiche, avvengono terremoti, stringiamoci intorno all’umanità dolente, che ha ... che deve avere ... fiducia in noi”.
Ripresa dell’economia (la loro ...), new town per tutti e applaudite il Commissario (e il premier).
Questo è il paradigma costituente dell’Abruzzo: quello che vuole nascondere la crisi e gli effetti delle politiche liberiste, quello che vuole far diventare sistema gli esperimenti autoritari già messi in opera sulla vicenda rifiuti in Campania, quello che ha bisogno di diventare modello accettato, in attesa di poterne affondare tutta la potenza contro altri conflitti territoriali già in atto (Val di Susa, Vicenza) o futuri (le centrali nucleari).
Ma se l’Abruzzo è un paradigma, significa che lì la battaglia sarà di lungo corso.
Ma se l’Abruzzo è un paradigma, significa che quella battaglia deve divenire un patrimonio di tutti i movimenti in lotta per un altro mondo possibile. Il G8 a L’Aquila non è stato scelto a caso: è stato voluto per tentare di usare le drammatiche condizioni delle popolazioni nelle tendopoli contro i movimenti di contestazione dei potenti della terra, primi responsabili della crisi globale.Chi oserà mai protestare di fronte a queste popolazioni ferite?
Chi oserà mai rompere questa aurea di solidarietà verso coloro che hanno perso tutto ? Chi vorrà parlare di crisi globale di fronte alle tendopoli ? Le popolazioni stesse hanno cominciato a farlo. Superato il panico da shock, compreso che solo sulla memoria e sulle relazioni con il proprio territorio e le persone che lo abitano poteva essere pensato un possibile futuro, hanno cominciato a manifestare per una ricostruzione totale, delle case e delle relazioni sociali. Sono primi segnali che c’è chi si oppone alla passivizzazione di massa, chi non vuole consegnare il proprio territorio alle consorterie mafiose, di chi non vuole che si giochi la partita del consenso ad una certa uscita dalla crisi sulle loro spalle. Segnali che sono anche il frutto del lavoro di diverse realtà di movimento che da subito si sono messe in azione a L’Aquila per portare solidarietà concreta e per stare dal basso con le popolazioni colpite.Nel frattempo, i G8 territoriali avvenuti e in corso in ogni angolo del Paese, sono accompagnati da altrettante esperienze di contro-forum e di contestazione (da Siracusa a Torino, da Roma a Lecce etc.). Sono tutte esperienze che pongono - da ciascun livello territoriale - istanze e bisogni di una radicale fuoriuscita dalle politiche liberiste, che dicono chiaramente come la crisi la debba pagare chi l’ha provocata e che dev’essere un’altra la società da costruire, più giusta e uguale per tutte e tutti.
Noi pensiamo che il G8 a L’Aquila possa diventare un’occasione.
Con tutte le difficoltà del caso e le delicatezze necessarie, riteniamo che le esperienze dei contro-G8 territoriali, le esperienze di conflitto territoriale (da Vicenza alla Val di Susa, ai Movimenti per l’acqua e per i beni comuni) debbano provare ad incontrarsi proprio a L’Aquila con le importanti esperienze che anche lì sono state messe in atto dai movimenti aquilani e abruzzesi.
Un luogo di incontro e di confronto tra territori e movimenti, per capire assieme gli intrecci della crisi globale e gli intrecci del paradigma Abruzzo; un luogo di discussione e solidarietà che rafforzi le lotte territoriali e inneschi l’assunzione della realtà abruzzese come fulcro delle iniziative future. E un luogo di protesta e mobilitazione contro la crisi globale e le politiche liberiste, contro il governo e le politiche di ricostruzione. Da costruire insieme alle popolazioni. Naturalmente, non pensiamo ad una manifestazione classica anti G8, che attacchi zone rosse e che abbia come scopo lo scontro, né tanto meno ad iniziative autoreferenziali e semplicemente simboliche calate dall'alto su quel territorio. Pensiamo ad un momento di lotta costruito sulle rivendicazione dei movimenti territoriali che operano sul territorio, per sostenerle e connetterle con le altre rivendicazioni che i movimenti esprimono.
Immaginiamo le difficoltà, comprendiamo le prudenze, non inseguiamo feticismi.
Ma crediamo anche che tutte le strade debbano essere tentate per fare dell’ennesimo affronto alle popolazioni (il ballo dei potenti davanti alle tende della tragedia) un’occasione di lotta e di solidarietà.A questo cercheremo di dare il nostro modesto contributo.Per questo saremo a L’Aquila nei giorni del G8, dentro le iniziative che tutte/i assieme sapremo costruire.