di Paolo X Viarengo.
Quando, qualche tempo fa, mi sedetti di fronte a lui per parlare della sua vita, non avevo paura. Ora ne ho, retroattivamente. E a ragione: è stato condannato a 13 anni e 2 mesi per presunti illeciti nella gestione dei migranti. E uno che è stato condannato ad una pena del genere è sicuramente persona da temere...
«Vivo un conflitto interiore, come persona e come magistrato. Comprendo il peso di una pena del genere: quando ho chiesto 7 anni e 11 mesi, sapevo che c’era il rischio di una condanna più alta – racconta Michele Permunian, il pubblico ministero dell’inchiesta su Mimmo Lucano - La pena inflitta all’ex sindaco di Riace è il risultato di un processo molto tecnico, ma l’opinione pubblica non vuole capire. A Lucano sono stati contestati più di 22 reati. Il problema non sono i finti matrimoni. Qui ci sono varie forme di peculato, truffa aggravata a danno dell’Unione europea. E poi è stata riconosciuta l’associazione a delinquere con altre 4 persone».
Quando intervistai Mimmo Lucano, mi parlò di un ragazzo del profondo Sud, dove quello che vediamo in televisione viene vissuto sulla propria pelle. Dove le baronie e i latifondi esistono ancora. Dove anche un prete può essere scomunicato ad divinis come Natale Bianchi, per aver litigato con un altro prelato non così convinto che la mafia esistesse per davvero.
Un posto dove se vai in pizzeria a festeggiare una vittoria del tuo partito non è detto che ne esca vivo, come è successo negli anni ’80 a Giuseppe Valarioti, morto fra le braccia del suo amico Peppino Lavorato, sindaco di Rosarno, cui forse erano destinate le pallottole per il suo impegno antimafia.
Domenico Lucano è figlio di quegli anni e di quella terra. Poi il vento decise per lui e fece approdare una nave carica di un paio di centinaia di Curdi sulle spiagge di Riace. Fuggivano perché non avevano più una terra, strappata loro dalla politica internazionale: il nord alla Turchia e il Sud all’Iraq. Non avevano più una casa, mentre a Riace le case c’erano: proprietà dei Calabresi che erano per il mondo in cerca di una vita migliore e più giusta: come i Curdi stessi.
Nacque così il cosiddetto “Modello Riace” esaltato e studiato da riviste e studiosi che approdarono lì da ogni dove. Così, quella terra martoriata che invece ha le potenzialità per essere la più bella al mondo, per qualche anno lo divenne davvero. Le case disabitate, con il consenso dei proprietari all’estero, vennero ristrutturate e date a chi ne aveva bisogno. Il paese si ripopolò. L’asilo e le scuole, destinate alla chiusura, riaprirono con bambini italiani, curdi e di tutte le nazionalità possibili. Vennero assunte 14 maestre e 70 mediatori culturali. Si riaprirono botteghe. Negozi. Si istituì addirittura una valuta che gli esercenti di Riace accettavano in attesa dei tempi biblici con cui lo Stato avrebbe versato i contributi previsti.
Ma tutto questo era ed è pericoloso. Uomini di diverse etnie e provenienze potevano vivere assieme: dov’era quindi il nemico su cui fondare una campagna elettorale e una macchina del fango social per prendere voti facendo leva sugli istinti primordiali degli elettori? Si, ora lo sappiamo dov’e’ il nemico da infangare.
Il mostro ora è lui: Domenico Lucano, detto Mimmo.
Colui che gridò al mondo che l’integrazione è possibile. Che il nemico non c’e’ e siamo tutti esseri umani. Colui che ora, accusato di peculato tra le altre cose, non ha i soldi per pagarsi gli avvocati e per difendersi da tutto quanto è stato accusato. E condannato. Reati amministrativi. Carte bollate. Timbri. Burocrazia. Ma che, in questo nostro paese strano, possono portare in carcere un uomo per un tempo superiore a quello di un riconosciuto mafioso, assassino o stupratore.
Le leggi parlano chiaro e i magistrati le applicano, giustamente. Il problema è che i magistrati applicano le leggi, giuste o sbagliate che siano. Lo fanno i magistrati che applicano la legge islamica e mandano alla lapidazione l’adultera. Lo fanno i magistrati che applicano la legge americana e mandano a morte donne e uomini. Lo hanno fatto i magistrati italiani che hanno applicato le leggi razziali o fascistissime. Il problema non sono i magistrati che, coperti dalla loro toga, interpretano il loro ruolo dimenticando di essere donne e uomini. Donne e uomini per cui le Leggi sono fatte e non viceversa: e se una legge è palesemente ingiusta bisogna disobbedirle. Cambiarla. Opporvisi.
E si diventa mostri. Di cui la gente ha paura. Si diventa mostri. Dal latino monere: portento, prodigio.
E si diventa mostri. Da rincorrere con forconi e torce per riportare la tranquillità nel villaggio. Il quieto vivere. Il conformismo. Per bruciare sul rogo il prodigio che ha voluto portare il cambiamento. Per bruciarlo sull’altare della Legge: mostro essa stessa, sfuggita di mano e divenuta più forte del suo stesso creatore.