di Domenico Massano.
La mattina del 15 luglio scorso, nel quartiere di Primavalle a Roma, dopo un assedio durato tutta la notte, un imponente apparato di forze dell’ordine (centinaia di agenti, diciotto blindati della polizia, sei camionette, sei defender, due idranti e un elicottero), ha effettuato lo sgombero di alcune decine di famiglie italiane e straniere (con circa 80 minori), che abitavano dal 2003 in un edificio di via Capranica. Inutili i tentativi di “dialogo” portati avanti nel corso della notte: “Si è trattato di una trattativa fasulla, l’ordine era quello di sgomberare sin dal principio e di farlo in maniera plateale”...
L’assessorato ai servizi sociali di Roma, dopo aver dichiarato la ricerca di soluzioni abitative dignitose senza dividere le famiglie, ha poi proceduto al ricollocamento temporaneo di parte delle persone (sradicate dai loro contesti sociali, scolastici, e di vita senza alcuna prospettiva futura), in dormitori, centri di accoglienza a bassa soglia e servizi non meglio identificati sparsi per il territorio.
Don Luigi Ciotti ha evidenziato i preoccupanti risvolti della vicenda: “viene spontaneo chiedersi che democrazia è quella che, invece di costruire giustizia sociale in un concorso di diritti e di doveri, colpisce la povertà e la disperazione come se fossero dei reati”.
Domanda che riemerge sempre più prepotentemente ultimamente, ma le cui radici sembrano aver attecchito in terreni preparati da tempo.
La mattina del 19 luglio 2017, esattamente due anni prima dello sgombero di Primavalle, nella città di Asti (dove il Prefetto era Formicola, l’attuale vice capo gabinetto del Ministro dell’Interno), si era verificato un episodio molto simile. Uno spropositato schieramento di forze dell’ordine (circa 40 agenti, due furgoni blindati, 5 volanti, due mezzi dei vigili del fuoco), si era presentato all’alba in strada del Fortino per lo sgombero di tre famiglie (in tutto 15 persone di cui 6 minorenni), dallo stabile che occupavano da diversi anni e il loro successivo ricollocamento “emergenziale” (uomini in dormitorio, donne e bambini in comunità, separati e allontanati dal contesto di vita in cui erano ormai integrati), a cura dell’assessorato ai servizi sociali.
Pur nell’evidente differenza numerica delle persone interessate nei due sgomberi, si possono rilevare diverse similitudini, soprattutto nell’esibizione e utilizzo di un apparato eccessivo di forze dell’ordine, nella quasi totale assenza di precedenti percorsi di negoziazione finalizzati a garantire una soluzione abitativa dignitosa per gli occupanti e nella ricollocazione "emergenziale" delle persone secondo logiche prettamente assistenzialistiche e istituzionali. Tali continuità testimoniano non solo l’assenza di valide politiche e strategie per garantire, come previsto dalla Costituzione, il diritto all’abitare e la funzione sociale della proprietà, ma sembrano anche essere sintomo di una deriva securitaria in atto da diversi anni nel nostro paese, che sta trasformando le questioni sociali in problemi di ordine pubblico con tutte le conseguenze che questo comporta (soprattutto in termini di rispetto dei diritti e della dignità delle persone).
La società che rischia di prefigurarsi restando indifferenti a questa deriva, può essere intravista negli sguardi dei bambini vittime di questi “sgomberi feroci”, nei loro occhi smarriti e preoccupati. Occhi che, però, sembrano anche andare oltre e guardare, con fierezza e dignità, a un altro futuro possibile, interrogando, ieri come oggi, tutti noi, troppo spesso spettatori silenti di queste tragedie.