Ingrid libera: la Colombia torna a sperare

di Alessandro Berruti, Volontario CISV dal 2006 al Febbraio 2008 in Colombia.
ImageQuella di Ingrid Betancourt è una vicenda quasi romanzesca e la notizia della sua liberazione, lo scorso 2 luglio, ripresa dai media, merita un passo indietro per capire chi è Ingrid e cosa “bolle in pentola” in Colombia.
Nata a Bogotà nel 1961, Ingrid Betancourt è figlia di una senatrice e di un ex ministro colombiani e mentre il padre lavora presso l’Ambasciata di Parigi Ingrid completa gli studi universitari, sposando poi un diplomatico francese, grazie al quale acquisisce la doppia cittadinanza.
Nel 1990 è eletta al Parlamento colombiano e nel 1998, alla guida del Partito Verde Ossigeno, che aveva come cavalli di battaglia la tutela dell’ambiente e la lotta alla corruzione, è eletta senatrice ...

Quattro anni più tardi Ingrid fa un ulteriore passo avanti: è candidata indipendente alla Presidenza, ovvero al governo della Colombia. Durante la campagna elettorale, il 23 febbraio 2002, decide di vistare la “zona di distensione”, una fetta di Amazzonia, nel Caquetà, in cui guerriglieri delle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane, di ispirazione marxista) e rappresentanti del governo fino a poche settimane prima avevano cercato di trovare un armistizio.

Quel viaggio in un’area considerata off-limits le fu fatale: venne rapita dalle Farc a San Vicente del Caguan lo stesso giorno in cui vi mise piede, insieme alla sua segretaria Clara Rojas.
Le elezioni furono vinte all’epoca da Alvaro Uribe, uomo forte della destra conservatrice, sospettato tra l’altro dall’FBI di essere stato vicino al “re della coca” Escobar e patrocinatore di vari gruppi paramilitari, una sorta di “esercito parallelo” incaricato da latifondisti e industriali di condurre una “guerra contro-rivoluzionaria” sporca, attraverso atti terroristici e massacri di popolazioni contadine inermi. Per la cronaca, il partito della Betancourt raggiunse appena l’1% dei voti.

Ma da allora di lei si cominciò a parlare sempre di più; iniziarono le campagne di sensibilizzazione, le proteste dei famigliari di altri sequestrati e soprattutto le telefonate di ministri francesi allo stesso Uribe, per ribadire che la Betancourt non poteva certo finire, come altri, inghiottita per sempre dalla foresta. Le Farc colgono subito l’importanza del sequestrato che hanno tra le mani: Ingrid diventa, suo malgrado, simbolo di tutti i sequestrati colombiani (centinaia secondo diverse stime), merce di scambio preziosa nelle trattative col governo e anche, per l’opinione pubblica all’estero, emblema della tragedia colombiana.
Ma che diavolo succede in Colombia? Quale guerra civile si combatte? Tecnicamente si tratta di un conflitto a “bassa intensità” in quanto registra “solo” un migliaio di morti l’anno, ma sul piano politico e sociale è qualcosa di più profondo.
La guerra che si combatte tra guerriglia, arroccata nelle campagne e nelle periferie delle città, e Stato colombiano sembra trascinarsi per inerzia e si è ormai svuotata, a detta degli analisti, di ogni contenuto politico riformista. Tutto cominciò cinquant’anni fa con la rivolta dei contadini “rossi” che volevano una riforma agraria, ma col passare del tempo le guerriglie rurali colombiane hanno perso il loro radicamento, la loro legittimazione e la loro spinta emancipatrice.

Quel che resta oggi è una rete militarizzata assai capillare che controlla zone importanti del Paese, dove semplicemente lo Stato è assente. Là dove mancano scuole, servizi, strade, polizia e lavoro, quella del guerrigliero diventa in primo luogo una professione (non a caso, ci dice l’Unicef, sono arruolati 5mila minorenni) e poi una sorta di autorità costituita laddove appunto la legge non arriva.
La guerriglia colombiana offre critiche acute alle deriva neoliberista del Paese, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

E i suoi comunicati sono invettive contro le aristocrazie locali che non lasciano maturare una sana democrazia nel Paese, che lo privatizzano, che ne azzerano lo Stato Sociale, che fanno sì, in buona sostanza che il 48% della popolazione sopravviva con meno di due dollari al giorno. Ma se la crisi sociale colombiana ha dimensioni spaventose è altrettanto tremendo sapere che la guerriglia pratica esecuzioni sommarie, dissemina migliaia di mine antipersona, si finanzia coi proventi del traffico di droga (le stesse Farc non ne fanno mistero e parlano di una “tassa sul commercio”), con l’estorsione ai danni di contadini e imprenditori, con i sequestri di decine di persone, prigionieri di guerra ma anche semplici cittadini, in violazione di ogni trattato umanitario internazionale.
E poi vi è la retorica trita, quella visione del mondo, quella strategia rivoluzionaria tardo leninista, rimasta la stessa dagli anni Sessanta.

Oggi la liberazione (con blitz dei servizi segreti) della Betancourt è la vetta più alta di una contro offensiva che Uribe ha lanciato contro la guerriglia, forte di una popolarità nazionale altissima.
Nell’ultimo mese sono morti Antonio Marulanda, anziano fondatore delle Farc, il suo vice Raul Reyes e altri capi si sono arresi o sono caduti in combattimento.
Ci sono state le pressioni di Chavez, Sarkozy e Bush che hanno appoggiato Uribe sulla strada di una soluzione diplomatica del conflitto. Il momento delle trattative arriverà presto, ma prima di sedersi a un tavolo il Presidente colombiano vuole assicurarsi che le Farc siano militarmente in ginocchio.
Difficile, nel labirinto colombiano, fatto spesso di mezze verità e sospetti, capire quanto davvero le Farc siano prossime alla sconfitta, ma quel che è certo è che la società civile è stremata e chiede pace e democrazia. Lo ha fatto marciando più volte a Bogotà come altrove, lo ha fatto appoggiando il nuovissimo Polo Democratico, il primo schieramento di centro sinistra emerso nella storia politica del Paese, lo ha fatto chiedendo verità e giustizia per le violazioni dei diritti umani compiute dai gruppi armati illegali così come dall’esercito.

Ora Ingrid, finalmente libera e a casa dopo sei anni, è stata candidata al Premio Nobel per la Pace, un riconoscimento che ne farebbe un autorevole leader per la realizzazione di quelle riforme sociali che la Colombia aspetta da troppi anni e che la avvierebbero sulla strada della normalità.

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