di Marco Bersani, Attac Italia.
Molto si è già detto e scritto sul decreto legge approvato dal governo Renzi che impone alle Banche Popolari con asset superiori a 8 miliardi la trasformazione nell’arco di 18 mesi in Società per azioni. Dall’utilizzo della decretazione senza le caratteristiche di urgenza e necessità (essendo l’unica urgenza in campo quella personale del premier di presentarsi in Europa con un nuovo coniglio estratto dal cappello) alla subalternità della politica agli interessi dei grandi capitali finanziari, che infatti festeggiano in Borsa il nuovo succulento boccone messo a cuocere in pentola per loro ...
In un paese che negli ultimi 25 anni è riuscito a produrre la performance, unica al mondo, di passare da un controllo pubblico sul sistema bancario pari al 74,5% (1992) allo zero odierno, la trasformazione della natura delle Banche Popolari (per ora solo le più grosse ed appetibili) dimostra la perseveranza senza soluzione di continuità con cui si cerca di smantellare ogni funzione pubblica e sociale del sistema finanziario.
«Ci sono troppi banchieri e facciamo poco credito alle imprese e alle famiglie” ha dichiarato impavido Renzi. Peccato che, dati alla mano, il provvedimento vada a colpire proprio l'unico settore che, al contrario, proprio durante la crisi ha aumentato il credito alle famiglie e alle piccole imprese.
Capiamo la difficoltà di chi vive di fantasmagorie nel prendere atto della realtà, ma basta consultare i dati della Cgia di Mestre per rendersene conto.
Nell’arco di tempo che va dall’inizio della fase di credit crunch (2011) sino alla fine del 2013, le Popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4 per cento; diversamente, quelle sotto forma di Spa e gli istituti di credito cooperativo hanno diminuito l’ammontare dei prestiti rispettivamente del 4,9 e del 2,2 per cento. Lo stesso trend negativo è stato registrato anche dalle banche estere presenti nel nostro Paese: sempre tra il 2011 e il 2013, i prestiti sono diminuiti del 3,1 per cento.
Inoltre, tra le 10 realtà che entro 18 mesi dovranno adeguarsi alle nuove regole introdotte dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ci sono anche due Popolari venete: Veneto Banca e la Popolare di Vicenza. In questi ultimi anni (2010-2013) anche loro hanno incrementato il volume dei prestiti. Se per la prima l’aumento è stato del 2,5 per cento, per la seconda la crescita è stata addirittura del 9 per cento.
Come si vede, il decreto governativo va esattamente in direzione contraria rispetto alle intenzioni dichiarate, peraltro aggiungendo elementi di dubbia costituzionalità, come la possibilità per la Banca d'Italia di vietare il recesso dei soci che non condividano la trasformazione societaria (!).
Senza alcuna esaltazione a prescindere delle banche popolari, diverse delle quali divenute nel tempo altro dalla loro mission originaria, risulta evidente come la loro trasformazione in Spa, avrà il risultato di eliminare presidi finanziari collegati al territorio e ai settori economicamente più fragili dello stesso, come le famiglie e le piccole e medie imprese.
Infine, quanto all'idea che “una testa, un voto” sia un principio meno democratico del “ogni dollaro un voto”, oltre ad essere in contrasto con l'art. 45 della Costituzione che riconosce e favorisce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità, evidenzia ancora una volta la fase di transizione epocale nella quale siamo da tempo immersi: dallo stato di diritto allo stato di mercato.