L'insostenibile narcisismo dell'essere



di Mario Pianta, Università di Urbino, Centro Linceo Interdisciplinare, Accademia dei Lincei.


“L’inferno, sono gli altri”, scriveva Jean Paul Sartre nel 1944 nell’opera teatrale “A porte chiuse” su tre persone pronte a torture reciproche. A vedere molti comportamenti sociali, sembra che questa sia diventata la convinzione più diffusa. Si sfugge alle relazioni con gli altri in ogni modo possibile: riducendo i rapporti a un rassicurante circolo di persone identiche a noi, viaggiando in altri luoghi per ritrovare gli stessi ambienti, piegati sul proprio smartphone, indifferenti agli estranei, diffidenti dei diversi ...

Si direbbe che "le persone reagiscono agli altri come se le loro azioni venissero registrate e contemporaneamente trasmesse ad un pubblico invisibile, o conservate per un attento esame in futuro. Le condizioni sociali esistenti hanno tirato fuori i tratti della personalità narcisistica che erano presenti, in varia misura, in tutti: una superficialità autoprotettiva, la paura di relazioni vincolanti, la disponibilità a strappare le proprie radici quando necessario, il desiderio di mantenere le proprie opzioni aperte, l’avversione a dipendere da qualcuno, l’incapacità di fedeltà e gratitudine".

Non c’erano né selfies né social media quando Christopher Lasch scriveva questa postfazione al suo libro del 1979 “La cultura del narcisismo”. Il suo sguardo anticipatore spiegava che “il nuovo narcisista è ossessionato non dal senso di colpa, ma dall’ansia. Non infligge agli altri le proprie certezze, ma cerca un significato nella vita. Liberato dalle superstizioni del passato, dubita perfino della realtà della propria esistenza (…). I suoi atteggiamenti sessuali sono permissivi anziché puritani, ma la sua emancipazione da antichi tabù non gli offre pace sessuale. Ferocemente competitivo nella sua ricerca di approvazione e consenso, diffida della concorrenza (…). Elogia cooperazione e lavoro di squadra quando ha impulsi profondamente antisociali. Afferma il rispetto delle regole nella segreta convinzione che non si applichino a se stesso. E’ acquisitivo, nel senso che le sue voglie non hanno limiti (…), ma esige soddisfazione immediata e vive in uno stato di desiderio inquieto e perennemente insoddisfatto".
Che altro c’è da dire? Questi siamo noi. E lo stavamo diventando già prima del neoliberismo, che certo ha fatto di tutto per rendere assoluta e universale questa condizione. Una condizione che rompe ogni legame sociale, frammenta i soggetti, cancella le identità collettive, rende impossibile il cambiamento.

Andiamo con ordine. Se l’identità individuale è il valore assoluto, i rapporti con gli altri sono ridotti a strumento di autoaffermazione. I legami sociali sono possibili solo a partire da valori condivisi e da identità collettive, per quanto parziali: possiamo essere europei, cittadini italiani, lavoratori, abitanti di una città, sensibili al problema x, disponibili a impegnarci insieme sul problema y. Ma dobbiamo vivere una condizione comune che ci trasformi in soggetti collettivi. Persone che fanno lo stesso lavoro ma con sei tipi di contratti diversi - stabili o precari, con salari diversi, in Italia o delocalizzati in Polonia - difficilmente si percepiscono come un soggetto sociale con uguali interessi, la solidarietà è limitata, l’organizzazione sindacale impossibile. Se siamo sensibili all’ambiente, abbiamo bisogno di un’organizzazione – dal gruppo di acquisto solidale al Wwf - che usi le nostre energie, costruisca un’identità collettiva e sappia tradurre in pratica i cambiamenti che progettiamo. L’affermazione della propria individualità deve cedere il passo alla ricostruzione di identità collettive – con pratiche concrete, non virtuali – ricostruendo legami sociali e possibilità di cambiamento: nelle vite individuali, nei comportamenti sociali, nelle scelte politiche.
Quanto sia difficile lo vediamo fin dai valori che vogliamo affermare. Siamo tutti d’accordo sul valore della libertà in Tibet, ma non sappiamo più – nonostante Norberto Bobbio – che posto dare all’uguaglianza da noi.

Non è un caso che Matteo Renzi, cogliendo lo “spirito del tempo”, appena conquistato il vertice del Pd abbia fatto della rottura tra libertà e uguaglianza il suo primo intervento pubblico. Insomma, l’individualismo è una deriva senza sbocco e il narcisismo è una malattia mortale. Cerchiamo di essere ancora, con Aristotele, animali sociali.

Articolo pubblicato su http://www.sbilanciamoci.info/ e http://ilmanifesto.info/linsostenibile-narcisismo-dellessere-contemporaneo/

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