di Luca Giunti.
(Mi vengono pensieri brutti e cattivi. Scrivo per esorcizzarli. E per la consapevolezza che annunciare un fatto grave forse aiuta a evitarlo). La Torino-Lione è ormai una religione, materia di fede incrollabile e indiscussa come ogni culto che si rispetti. Proprio indiscussa, nel senso che si fonda su dogmi dei quali non è ammesso dubitare, pena l’eresia o l’esorcismo: è strategica, la chiede l’Europa, non possiamo fermarci, porterà lavoro. Insomma, Deus vult! ...
O anche: vuolsi così colà dove si puote e più non dimandare. Come un culto barbaro e pagano, ha bisogno di sacrifici per alimentarsi. E di sacrifici umani, non solo economici, ambientali e sociali. Ne ha già pretesi in passato: nella migliore tradizione classica, ha immolato due giovani, un maschio e una femmina. Ma oggi li ha dimenticati e ne reclama altri. Sarà un carabiniere, un finanziere o un poliziotto, questa volta?
Sarebbe meglio, cinicamente. Un olocausto da quella parte ridurrebbe al silenzio gli eretici, i contestatori, gli amministratori locali, seppellendo per Luca Abbà, scampato alla morte dopo la clamorosa azione nonviolenta del febbraio 2012, quando si arrampicò su un traliccio Enel, ogni possibile ripensamento in nome del “non può essere morto invano”. Sarà un manifestante, come l’altra volta? Una giovane sorridente o un pensionato arrabbiato? C’é mancato poco, la scorsa estate: tra le migliaia di lacrimogeni sparati dai celerini molti sono stati scagliati contro i volti e alcuni li hanno colpiti. Hanno lasciato cicatrici e occhi accecati, doverosa antifona al rito sacrificale. Ancor prima, una saetta moderna – non più Zeus ma Enel – ha folgorato un ragazzo temerario avvicinandolo alla morte, rinviata per caso o per destino. Ma quando accadrà, la rivoluzione che implacabilmente scaturirà dal rito finalmente compiuto avrà un nuovo martire cui inneggiare, dopo la Stella e il Fulmine.
O sarà un operaio al lavoro? Sepolto da una roccia lasciata cadere da una divinità più antica, Madre Terra, adirata con chi continua a lacerarla impunemente. Una vittima perfetta, più vittima di tutti gli altri perché portato lì sotto non da grandi ideali o interessi economici, ma dalla necessità basale di sopravvivere e di lavorare per poterlo fare. Un tributo cinicamente calcolato, perché deve verificarsi statisticamente un tanto a chilometro. E qui ce ne sono sessantacinque. Chi sarà il predestinato? Lo stato delle cose rende uno di questi martirî necessario, presto o tardi. Per evitarlo servirebbe un altro tipo di sacrificio, personale e penitenziale: ingoiare l’orgoglio, umiliarsi, fermarsi. Ammettere le bugie, riflettere sugli errori, dubitare dei dogmi da qualsiasi parte si trovino. E andrebbe compiuto insieme, soldati, oppositori, lavoratori, politici, in un rito collettivo purificatore, finalmente salvifico e rigeneratore. Sapremo farlo? Altrimenti, come si dice, avremo – tutti – un morto sulla coscienza. E il suo nome, nuovamente dimenticato, fra vent’anni battezzerà il primo, inutile, convoglio.
(Luca Giunti, “Il rito osceno”, 4 settembre 2013. Amara riflessione sullo stato di tensione in valle di Susa attorno al progetto Tav Torino-Lione, dopo le prese di posizione di Erri De Luca e Giorgio Cremaschi che giustificano il ricorso all’illegalità nella protesta valsusina sostenendo che la giustizia viene prima della legalità. Naturalista guardiaparco, agente di polizia giudiziaria e consulente tecnico della Comunità Montana, Giunti è un autorevole esponente No-Tav attivamente impegnato nella diffusione democratica e nonviolenta delle ragioni contrarie alla maxi-opera).
Tratto da: http://www.libreidee.org