Giuliana Cupi ci segnala questa interessante (e forse poco nota) situazione.
di Matteo Zola.
La notizia è passata un po’ in sordina, ma ha dell’interessante. Si è aperta ad Atene un’indagine giudiziaria nei confronti del Fondo monetario internazionale (Fmi). L’indagine è stata ordinata dal Procuratore ellenico per l’Economia in seguito alle dichiarazioni di Panagiotis Rumeliotis, ex rappresentante della Grecia presso il Fmi. Rumeliotis ha rilasciato delle dichiarazioni secondo le quali l’organismo internazionale era al corrente sin dall’inizio che il programma di risanamento economico del Paese ellenico non avrebbe avuto successo ...
L’indagine si è aperta con la deposizione in Procura dell’ex ministro dell’economia, Luca Katseli, cui ne seguiranno altre: ministri, soprattutto, dei tanti che dal 2009 si sono succeduti nei governi ellenici preda della crisi. Alla fine delle deposizioni il Procratore deciderà se procedere contro il Fmi, inviando formale richiesta al parlamento. Non è difficile immaginare la portata di un tale atto. La Grecia, stritolata dall’austerity, avrebbe allora ingurgitato litri di medicinali scaduti, inadeguati a risolvere la crisi in cui versa. Non solo. Quanto fatto fin qui non sarebbe stato altro che tempo perso, compresi i sacrifici, l’indigenza e i suicidi.
Ipotizziamo che, in uno slancio di autonomia, la Grecia “processi” davvero il Fmi. La prima domanda sarebbe, ma il Fmi cosa ci guadagna dal somministrare consapevolmente ricette sbagliate? Ci guadagna che si crea un sistema di debitocrazia che consolida le economie forti e distrugge quelle deboli (il Fmi è al soldo di chi lo finanzia), favorendo processi di colonizzazione economica. Il Fmi è la voce delle economie più potenti, che versano maggiormente i loro quattrini indirizzandone, di fatto, le politiche. Come osservato da Joseph Stigliz, in Europa orientale, alla fine del comunismo, il Fmi ha appoggiato coloro che si pronunciavano per una privatizzazione rapida, che in assenza delle istituzioni necessarie ha danneggiato i cittadini e rimpinguato le tasche di politici corrotti e uomini d’affari disonesti. E’ ovvio che chi presta denaro chieda condizioni. Le condizioni chieste dal Fmi sono sempre le stesse: austerità, liberalizzazioni, specializzazione economica. Queste “condizioni” sono anche figlie della lezione ultraliberista, quella di von Hayek per intenderci, tanto cara a Regan e alla Tatcher, che tutt’ora resistono malgrado l’evidente fallimento di tali concezioni nella crisi in corso.
Le misure chieste dal Fmi infatti svuotano lo Stato de suo patrimonio che, liberalizzato, diventa proprietà di holding e società estere. La specializzazione economica, inoltre, rende i singoli Paesi produttori d’eccellenza in certi settori rendendoli però dipendenti dalle importazioni. Infine l’austerità – per dirla con Paul Krugman – serve a cavalcare la crisi, non a risolverla: “la corsa all’austerity in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali”.
Smantellare lo stato sociale (welfare state) è forse pre-requisito fondamentale affinché le nostre società possano competere con l’economia cinese o indiana? Certo, i costi dello stato sociale sono elevati ma, diceva Keynes: “Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Gli fa eco Krugman che, il 4 agosto scorso, sulle colonne del NY Times scrive: “Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione”.
La spiegazione è semplice. Dice Krugman: “Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito. E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora”.
Il Fmi, nel costringere i Paesi che hanno fatto richiesta di un prestito a misure di austerità, produce un secondo effetto negativo (il primo, secondo Krugman, è quello di peggiorare la crisi): la riduzione della democrazia. Secondo il Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, il Fmi impone le sue decisioni ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche. Va però detto che quei governi hanno prima accettato l’aiuto economico del Fondo e che la sovranità nazionale può non essere un dogma (si pensi all’Unione Europea che è, anch’essa, una riduzione volontaria di sovranità nazionale). Si tratta comunque di un problema grave in quanto il Fmi è l’unico offerente e rifiutarne l’aiuto può voler dire andare incontro alla bancarotta. Accettarlo, invece, significa applicare misure di austerità che possono colpire gravemente lo stato sociale (pensioni, sanità, istruzione) senza escludere che si può comunque andare in bancarotta (il Senegal e l’Argentina sono lì a dimostrarlo). I mali del Fmi li riassume bene Michel Chossudovsky, importante economista canadese, che spiega come le politiche economiche del Fmi sono obbligatorie, e scavalcano la consultazione dei cittadini: la democrazia ne esce perciò impoverita. I cittadini, esasperati dalla disoccupazione e dall’inflazione, protestano invano contro le misure di austerità e contro i governi che le hanno introdotte (accettando l’aiuto del Fondo). Il fatto è che le misure imposte dal Fondo non sono negoziabili. Le proteste, fosì frustrate, si fanno sempre più violente. Diventa allora necessario rafforzare gli organi di sicurezza e reprimere il dissenso. Così la democrazia viene messa ulteriormente in serio pericolo.
Ecco perché quanto sta avvenendo in Grecia potrebbe avere ripercussioni notevoli: nell’utopico e assurdo caso in cui il Fmi venisse riconosciuto colpevole di aver imposto misure economiche di cui sapeva l’inefficacia, si aprirebbero gli spazi per una ri-definizione del ruolo del Fmi e per una discussione sui modelli economici di cui si fa portatore. Certo, non succederà. Ma intanto ad Atene l’indagine è iniziata.
Tratto da: http://www.eastjournal.net