Tratto da "Peter Camenzind" di Hermann Hesse.
Nimikon, il nostro villaggetto, giace su un piano obliquo triangolare incuneato tra due propaggini montane in riva al lago. Una strada porta al vicino monastero, un'altra a un villaggio distante quattro ore e mezza, mentre gli altri villaggi del lago si raggiungono per via d'acqua. Le nostre case sono di legno, costruite all'antica, e non hanno un'età determinata; non si costruiscono quasi mai case nuove, e le vecchie vengono riassestate, secondo il bisogno, a mano a mano ...
Quest'anno si rifà il tinello, un'altra volta si ripara il tetto e certe mezze travi o certe tavole che una volta facevano parte, poniamo, del rivestimento di una stanza, si trovano ora a far da correnti nel tetto e quando non servono più nemmeno lì, ma non è ancora momento di farne legna da ardere, si adoperano per rassettare la stalla o il fienile o per ricavarne il paletto della porta di casa.
Lo stesso accade di quelli che ci vivono; ognuno rappresenta la sua parte fintanto che può, poi si ritira mogio nella cerchia degli inservibili e sprofonda infine nelle tenebre senza che se ne faccia molto scalpore.
Chi ritorna da noi dopo anni di lontananza non trova nulla di mutato, se non qualche vecchio tetto rinnovato e qualche tetto nuovo invecchiato; i vecchi di allora sono scomparsi, è vero, ma altri vecchi abitano nelle medesime stamberghe, hanno gli stessi nomi, sorvegliano un'uguale figliolanza dai capelli scuri, e nel volto e nei gesti si può dire che non si distinguono da quelli che nel frattempo sono passati a miglior vita.