Intervista a Carlo Sottile di Alessandro Mortarino.
C’è una preoccupante deriva psicologica che ci sta (da tempo) preoccupando non poco: l’idea che “il mio problema” sia solo ed esclusivamente un “mio problema” e non “un problema sociale”, cioè “di tutti”.
Scusate il linguaggio iniziale, ma trovare altre parole non è facile per sostenere una cosa ovvia: il nostro tempo ha trasformato ciò che di più assoluto esiste - il diritto - in un semplice bisogno individuale.
Uno dei principali esempi arriva dal diritto all’abitare. Le statistiche dicono che la casa di proprietà è il bene primario per eccellenza, ambito e ricercato dai cittadini italiani.
Ma ci sono famiglie che di abitazioni/residenze ne hanno due, tre, molteplici … E altre che non ne hanno neppure una. O altre ancora che, come puntualmente sta accadendo anche ad Asti, non riescono più a garantirsene nemmeno una in affitto.
Abbiamo cercato allora, di approfondire la situazione locale (ma non solo), incontrando Carlo Sottile, presidente del Coordinamento Asti Est, l'associazione di volontariato che da dieci anni è in prima linea in tutti i momenti di questa autentica “lotta” locale al diritto all’abitare.
Con lui abbiamo chiacchierato a lungo per mettere in luce gli esatti contorni della situazione attuale e provare a non fermarci lì, dinanzi all’esigenza di affrontare e superare una emergenza, ma scavare attorno alle cause strutturali, farne una precisa mappa, delineare obiettivi magari condivisibili che aiutino (anzi: ci obblighino …) ad affrontare il problema e a prepararne una soluzione.
Perché il “problema” c’è. E va analizzato …
Iniziamo con qualche dato, Carlo: in queste settimane il tuo Coordinamento ha lanciato la campagna “sfratti zero”: cosa significa ?
Significa che quella situazione di grave disagio in cui versano molte famiglie si è fatta drammatica e che le molte cause che la determinano, in primo luogo la modestia e l'intermittenza dei redditi, sono ormai fuori controllo. Sono fuori dalla portata di provvedimenti di tutela (che pure esistono) e dalle previsioni di una maggiore offerta di case popolari (che pure ci sarà). Alle persone o famiglie, spesso con minori al seguito, che non possono “permettersi” il regolare pagamento di un oneroso affitto, non si può dunque dire “chi non paga deve lasciare le case”.
E’ una emergenza che nasce da una politica della casa, nazionale e locale, fatta di rattoppi e di filantropia, ispirata dall'idea che il “mercato” delle locazioni può dare una risposta efficace al bisogno abitativo.
Non è così: come hai detto tu, il mercato ha prodotto delle gravissime diseguaglianze e se non si affrontano queste, il problema non si risolve.
Faccio notare, come parte del problema, che a questo esito hanno concorso con pari responsabilità amministrazioni sia nazionali e sia locali di centro/sinistra e di centro/destra.
E oggi c’è qualcosa di nuovo e di peggiore ?
La risposta dell'assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Asti e del suo nuovo Assessore (Pierfranco Verrua, Lega Nord, NdR …) può essere riassunta così “chi è povero, lo è per colpa sua e dunque si arrangi”.
E' una risposta che sposa in pieno il carattere filantropico e di rattoppo delle leggi vigenti (nazionali e regionali) con, in più, un tocco di “provocazione” nella decisione di abrogare le graduatorie dell'emergenza e di avviare decine di sfratti di inquilini morosi dell'ATC.
Invece di denunciare pubblicamente l'inefficacia degli strumenti di tutela (che pure esistono), preferisce ridurne i beneficiari. Così, agli sportelli dell'Assessorato, gli Operatori ascoltano i cittadini con l'idea che “chi chiede” agisce quasi sempre in modo fraudolento e chi “riceve” deve essere messo al riparo da azzardi morali.
Ma diciamo qualcosa di questi strumenti di tutela, per capirci meglio.
Il “sostegno alla locazione” previsto da una legge nazionale, per tetti di reddito sempre più bassi, garantisce coperture che non sono mai superiori al 30 %. II “contributo di avvio della locazione”, erogato dall'Assessorato, per tetti di reddito sempre più bassi e a contratto di locazione già firmato, funziona solo quando i proprietari non sanno di esserne indirettamente i beneficiari. Il Fondo Sociale dell'ATC, a tutela degli assegnatari di un alloggio popolare, non copre mai più del 37 % dei costi della locazione (canone + spese casa), ma l'accesso è consentito solo agli assegnatari “morosi non colpevoli” , essendo la “colpevolezza” attribuita dall'assessorato. In più, è attribuito al Comune (e, dunque, all'Assessorato), l'onere della parte di morosità “non colpevole” non coperta dal Fondo e di tutta la morosità colpevole degli inquilini per i quali lo stesso Comune, dunque l'Assessorato, non ha avviato la procedura di sfratto. Un meccanismo infernale, sancito per legge (regionale: 46/95), che trasforma una tutela nel suo contrario.
Insomma, la “colpevolezza” cresce, il numero di accessi al fondo diminuisce in relazione alla disponibilità finanziaria di Comune e Regione. E così il cerchio si chiude implacabilmente nelle tasche degli inquilini. Il prodotto più recente di questo meccanismo infernale è l'avvio di 130 procedure di sfratto a danno di altrettanti inquilini dell'ATC, classificati “morosi colpevoli”.
Provo a riassumere, partendo da un caso pratico: quello dello sfratto previsto nei giorni scorsi, che il vostro intervento ha fatto prorogare alla fine di Febbraio. Una famiglia monoreddito, formata da madre, tre figli (gemelli di un anno e mezzo) e padre con un lavoro a tempo determinato scadente a febbraio e un reddito mensile di 1.800 euro. Tra il 2002 e il 2006, la famiglia salda regolarmente la pigione. Poi il lavoro del padre si fa precario, con pause di disoccupazione e mobilità e il parto tri-gemellare fa lievitare le spese casalinghe. Ad un certo punto, l’affitto non viene più pagato e ora giunge lo sfratto per morosità.
Questa è la situazione in cui può trovarsi un normale inquilino di un alloggio privato con un costo di locazione (canone + spese) mai inferiore a 500 euro/mese.
Stiamo parlando, in questo caso, di un alloggio in periferia; in centro i costi sono molto più elevati.
Qualcuno potrà obiettare che 1.800 euro al mese possono essere sufficienti per “tirare avanti” una famiglia di 5 persone: lo sono se le entrare non hanno una intermittenza (cioè se non sono rigorosamente certe ogni mese). Non voglio entrare in filosofie specifiche, dico solo che l’incertezza famigliare che un lavoro a scadenza (che non si sa se ti verrà rinnovato) determina, nessuno può fare a meno di percepirla. Chi di noi, benestanti, avrebbe il coraggio di spendere i propri risparmi sapendo che fra uno/due/tre mesi non ne avrai più per acquistare il pane e il latte per la tua famiglia ?
Certo, ma l’opinione pubblica replicherebbe: possibile che lo sventurato Inquilino non abbia chiesto al suo “padrone di casa” di pazientare e mettersi una mano sulla coscienza ?
Ci sono mille motivi, in mezzo: fattori culturali, linguistici, morali, questioni d’onore e di dignità. E c’è un elemento ancora più grave che “noi fortunati” fatichiamo a immaginare: queste situazioni non sono la punta di un iceberg, sono – purtroppo – la norma. Ad Asti, centinaia di persone/famiglie vivono condizioni abitative pessime, alcune volte insostenibili.
La "domanda" di alloggi popolari censita dall'ultimo bando ATC è di 600 persone/famiglie. E' una domanda per difetto, perché i requisiti per accedere al bando sono molto selettivi e oscurano una parte non irrilevante del bisogno abitativo, soprattutto quello dei migranti extracomunitari.
Ma il dato peggiore, che segna l'andamento delle assegnazioni di case popolari di questi ultimi decenni, è che solo il 7 % di questa domanda viene soddisfatta.
Le ragioni economiche, prima ancora che sociali (coabitazione, sovraffollamento, problemi di relazione), che inducono persone/famiglie ad affollare le graduatorie ATC, sono le stesse che impediscono alle medesime famiglie di accedere ai canoni di locazione di uno degli oltre mille alloggi privati sfitti presenti in città: redditi modesti e intermittenti, disoccupazione.
Sono le stesse ragioni che rendono difficili le relazioni tra inquilini e proprietari; per molti è diventato difficile pagare i canoni convenuti e inesorabilmente scattano le procedure di sfratto. Così molte persone e famiglie, dopo aver affollato inutilmente le graduatorie per l'assegnazione di una casa popolare, spariscono nel silenzio e fuori da uno sguardo pubblico, nel mare del malessere sociale cittadino.
Insomma: ad Asti mancano case popolari e lasciare il bisogno di chi cerca casa ai valori economici proposti dal “mercato” è, a tuo parere, come voler compilare una condanna “a morte” …
E’ così in termini reali, non è solo una mia sensazione. Il mercato privato delle locazioni è, come noto, altamente speculativo; è il campo d'azione di innumerevoli Immobiliari che hanno come fine principale la rendita urbana. Per fare un esempio, il “mercante ricco della piana di Motta” non mette i suoi guadagni in banca, compra case oppure, associandosi in immobiliare, compra interi stabili: è più remunerativo.
E' in questo modo che negli ultimi anni è cresciuto il mercato immobiliare, trascinando verso l'alto anche i canoni di locazione. Il Censis segnala che i canoni di locazione nel periodo 1999-2006 hanno registrato un incremento medio del 107%, con punte del 112% nel centri con oltre 250mila abitanti e del 128% nelle grandi città.
L'indagine del Censis prende in considerazione anche i costi complessivi dell'abitare in affitto. Il valore medio per il pagamento di acqua, gas, luce e riscaldamento è di 175 euro al mese, senza variazioni di rilievo a livello territoriale. Tenendo conto anche del pagamento per le utenze, la spesa complessiva legata alla casa incide per la fascia più bassa (10mila euro annui) nella misura del 62% del reddito nelle città sotto i 250mila abitanti e dell'86% nelle grandi città.
Il mercato delle locazioni è, dunque, escludente per una parte assai rilevante del ceto popolare.
Ma l’Assessore ai Servizi Sociali dice: “tutti nuclei che potrebbero pagare il canone, ma scelgono di non farlo … Il loro sfratto consentirà di poter soddisfare le esigenze abitative di veri poveri …”.
Ed è una risposta gravissima. Ripeto: una autentica condanna … Vogliamo estrometterli dalla nostra Società, fingere che non esistano, che si “arrangino” da soli. Vogliamo, dunque, affermare che questa nostra Società è il luogo della supremazia del forte, del ricco, dell’insensibile … Ma io non ci sto ! E chiedo ai miei concittadini di non nascondere la testa sotto la sabbia: ciò che accade a questi “reietti”, d’altra parte, potrebbe capitare domani a chiunque di noi …
Ti riferisci al fatto che il diritto all’abitare è intimamente correlato ad un altro diritto: quello al lavoro, ennesimo “cancro” dei nostri giorni ?
Esattamente. I “nuovi poveri” stanno numericamente esplodendo in ogni angolo d’Italia, d’Europa, del Mondo. Sono giovani, giovanissimi, non più giovani, anziani … precari, insomma. Il potere d’acquisto dei salari non permette più esistenze dignitose, l’affitto ne erode fino al 70 % della sua disponibilità, le famiglie monoreddito non riescono a gestirsi. I regolamenti e le graduatorie dei Servizi Sociali, le politiche della “casa” nazionali e locali prescindono da questa situazione sociale.
Questo è un problema nazionale, però. A livello locale cosa ritieni si potrebbe fare ?
Inizio col dirti che, per prima cosa, occorre “fare” … Al Comune consiglierei una serie di interventi urgenti per contrastare l’emergenza:
1. la requisizione degli alloggi sfitti di proprietà delle immobiliari oppure la disponibilità (per un tempo definito) di questi alloggi, concordata tra Enti e immobiliari stesse;
2. un più efficace intervento a sostegno degli affitti, in particolare con modalità che permettano di interrompere o prevenire le procedure di sfratto e garantire il passaggio da casa a casa;
3. il rispetto, senza se e senza ma, del diritto ad abitare delle donne sole con minori in emergenza abitativa;
4. una maggiore trasparenza di tutte le procedure amministrative attivate per far fronte a questo problema, in modo che i cittadini coinvolti siano responsabilizzati e sottratti al ruolo passivo di destinatari di azioni di clientelismo e filantropia.
Con quali fondi ?
Lo so che cosa intendi dire: i Comuni sono “poveri” … con tutti i tagli che le Finanziarie praticano ogni anno ai loro Bilanci … Invece, esiste una risposta ed è quella che ogni persona responsabile si dà nella propria gestione quotidiana: tagliare le spese non essenziali e potenziare i servizi, ad iniziare da quelli primari. Ci sono innumerevoli voci di spesa riducibili nell’attuale Bilancio comunale. E’ la Politica che deve individuare scelte serie ! Con un po’ di coraggio. Non è possibile farlo ? Allora meglio sarebbe una denuncia pubblica, argomentata e sottolineata da dimissioni; un richiamo di responsabilità vero, rivolto a tutti.
La democrazia partecipativa, di cui parliamo spesso, si fa anche così, denunciando i limiti della democrazia delegata. Cosa ci va a fare lì un Assessore se, poi, di fronte ai problemi veri alza una cortina fumogena o, peggio, si iscrive alla peggiore scuola neoliberista ?
Oltre all’emergenza, ci sono i problemi strutturali: proposte in merito ?
L'avvio di una vera politica per la casa anche a livello locale:
1. scegliere un approccio partecipativo al problema, mettendo in rete Enti e Associazioni, Sindacati degli inquilini e dei piccoli proprietari compresi;
2. fare una istruttoria sul patrimonio edilizio pubblico e privato, il numero di alloggi sfitti, il numero di alloggi fatiscenti, le caratteristiche dell'attività immobiliare dell'ultimo decennio;
3. ridefinire il "bisogno abitativo", differenziando almeno tre fasce di reddito e relativi gruppi sociali;
4. utilizzare il regime delle convenzioni per ottenere quote di edilizia residenziale pubblica.
5. sostenere tutte le iniziative, di movimento e istituzionali, che in campo nazionale sono alla difesa del diritto all'abitare. Ti ricordo che, lo scorso anno, la magistratura ha confermato a livello nazionale che l’occupazione abusiva di case sfitte, in situazione di bisogno e reale disagio, non è un reato ma l’esercizio di un diritto …
Quali sono le prossime tappe della tua campagna “sfratti zero” ?
Presenziare ad ognuno degli sfratti esecutivi programmati, possibilmente con una partecipazione popolare numericamente crescente. E richiamare l’attenzione di tutta la società civile e delle forze politiche ad una urgente analisi della situazione: non possiamo lasciare al “bastone” dell’Assessore Verrua il compito di risolvere i deficit della nostra malata modernità !
Ma la campagna “sfratti zero” è, per noi volontari dell'Associazione, la prova di un saper fare orientato alla responsabilità e alla partecipazione; l'ennesimo tentativo di promuovere una cultura dei diritti non semplicemente rivendicativa, non semplicemente traducibile in regole. Si tratta, da parte nostra, di investire in beni relazionali: fare “comunità”, come si dice...
Certo, dobbiamo anche fare delle rivendicazioni pubbliche, cosicché altri cittadini sappiano e si responsabilizzino.
Recentemente, avete denunciato la (tragica …) situazione di un alloggio popolare vuoto da anni, “dimenticato” dalla stessa Amministrazione … Ci sono altri casi del genere ? E da cosa dipende questa incredibile negligenza ?
L'ATC funziona sempre più come una Immobiliare, ha gli obblighi di legge di una azienda privata e l'attenzione ai canoni riscossi è inevitabile. Da questo punto di vista mercantile, importa assai più riscuotere canoni e spese piuttosto che vigilare sull'uso che viene fatto dell'alloggio, sui requisiti dell'inquilino e così via. La volontà di ricondurre l'intera gestione a regole trasparenti c'è da parte dell'ATC, c'è molto meno da parte degli inquilini. Sembra paradossale ma è così ed è il risultato di comportamenti e di culture sedimentate negli anni. Possiamo semplificare la questione in questo modo: se la gestione di un patrimonio pubblico è affidata a corporazioni e, dunque, frequentata da clientele, se non c'è il senso di un Bene Comune da difendere, i risultati sono straordinariamente regressivi da un punto di vista sociale e pessimi da un punto di vista economico...
Poi arriva il moralizzatore di scuola bocconiana e affida il tutto al mercato. E' successo così......
Un ultimo problema: le case-famiglia. Spesso, i Servizi Sociali si trovano a dover intervenire in situazioni di sfratto eseguito con l’ospitalità di una famiglia in una struttura assistenziale: ma nell’astigiano di queste “risorse” praticamente non ce ne sono …
Una risposta decente all'emergenza abitativa può essere data solo se si hanno a disposizione gli strumenti per accompagnare la persona o la famiglia lungo un percorso di reinserimento nella “normalità”.
Gli strumenti non ci sono o non sono adeguati e la “normalità” è, purtroppo, largamente compromessa dai problemi di cui abbiamo parlato. Vale a dire: un mercato del lavoro che produce precarietà dei redditi, un mercato immobiliare che produce diseguaglianze ed esclusioni, politiche sociali “misericordiose” ...
Non c'è, ad Asti, un centro di accoglienza per famiglie e i domicili esistenti (dormitorio e centri di accoglienza per donne e minori), sono sovraffollati. In questa situazione può accadere davvero il peggio. Per esempio, che problemi esclusivamente abitativi possano essere trasformati in problemi di relazione e dare luogo ad interventi distruttivi dell'unità della famiglia.
Un esempio: una famiglia subisce uno sfratto esecutivo e c'è un minore di pochi mesi che non può essere messo sulla strada ? Allora si ospita la madre e il minore in un centro di accoglienza e il marito “che si arrangi” ...
Provate ad immaginare: il centro di accoglienza è a Frinco, il marito è un operaio a salario intermittente che ha la sede di lavoro ad Asti ma viene mandato in trasferta al Sestrière. Oppure: la famiglia occupa abusivamente un alloggio ATC, viene sgombrata con l'intervento della forza pubblica, trova una sistemazione di fortuna in un garage e si disperde in ospitalità in casa di amici; interviene l'ufficio minori, fa una relazione al tribunale, il bambino più piccolo viene sottratto alla madre, messo in un centro di accoglienza e la madre sottoposta a controlli di genitorialità. E' pazzesco ! Ma è accaduto ...
Questi esiti, tra l'altro, rimandano ad un ulteriore aspetto della questione, su cui magari torneremo in un’altra conversazione. Le politiche filantropiche o tappabuchi o del minor danno … sono anche politiche del controllo sociale e queste ultime, se necessario, si avvalgono dell'esercizio della forza. Contrastare uno sfratto è, da questo punto di vista, assolutamente istruttivo. Noi siamo ovviamente dialoganti, ma attorno a noi si affollano, a difesa del sacro diritto di proprietà, Avvocati, Ufficiali Giudiziari, Vigili Urbani, Poliziotti e Agenti della Digos...
Ma ne riparleremo, perché il diritto è diritto (e le emergenze sono i sintomi di un meccanismo che non funziona e va modificato …).