di Sergio Motolese (Risonanze - dove nasce l’Armonia, Associazione per l’ascolto e la crescita della persona).
Un recente avvenimento di cronaca ha riacceso il dibattito sul cosiddetto “suicidio assistito”, nel quale ciascuna delle due fazioni ha cercato di accreditare le proprie ragioni, tutte degne di rispetto quand'anche non tutte condivisibili. Ma poiché non siamo di fronte ad un problema solo tecnico, giuridico, medico, non è possibile trattarlo con le stesse modalità usate per i temi economici e sociali, non può ridursi ad essere terreno di scontro da talk show, perché così facendo restano inevase proprio le domande centrali, quelle attinenti l'Uomo, quelle che toccano la categoria dell'umano ...
Sembra esistere, da parte di tutti, uno strano ritegno, quasi un pudore ad affrontare proprio queste domande, o perché ritenute estranee all'argomento o troppo personali.
Come possiamo decidere su materie così profonde, così delicate, senza interrogarci su almeno due temi basilari, che cerco si sintetizzare in due domande (più una terza decisiva):
1. La sofferenza, in tutte le sue forme e manifestazioni, fisiche e animiche, ha uno scopo, ha un significato?
2. E' possibile indagare attraverso il pensiero umano ambiti ritenuti insondabili sia dalla scienza ufficiale che dalle religioni organizzate, ambiti quali il dopo-morte e il pre-concepimento, in modo da non dover sottostare né a cosiddette “verità scientifiche” in continua mutazione né a regole morali astratte?
3. Soprattutto, ci interessa impiegare le nostre capacità di pensiero e di sentimento in questa direzione?
Per rispondere a questi quesiti vi è una via facile, che ci esonera dal cercare risposte, tutte affidate al “caso”, e una più impegnativa, che può essa stessa divenire scelta e senso stesso della vita.
In ogni caso, tentare risposte sempre più convincenti su tematiche di questa portata mi sembra più appassionante del tifo da stadio, del lancio di scomuniche e del rimpallo di soluzioni solo legislative che non possono che essere inadeguate.
Perché, comunque la si pensi su questi argomenti, occorre dire con chiarezza che la libertà, più che reclamata, può essere solo esercitata, praticata sulla propria responsabilità, certamente non “concessa” da un potere esterno, sia esso il papà Stato con una legge o mamma Chiesa con una regola morale, e ancor meno da un protocollo medico.
Ogni volta che deleghiamo a presunti ”esperti” soluzioni su argomenti di tale rilevanza, diventiamo nei fatti meno liberi, omettiamo proprio l'esercizio della nostra libertà, di pensiero e di azione; e questo esercizio è faticoso ma fondamentale alla realizzazione umana, può non essere sempre facile ma non può mai essere “gratuito”, se è veramente tale, perché coinvolge, e deve farlo, sempre la responsabilità personale delle proprie scelte.
Che poi gli “esperti” in questione siano laici o cattolici, credenti o atei, medici, sociologi, legislatori, giudici, teologi, cardinali, risulta a questi fini del tutto secondario.
Se si ritiene che esistano ambiti insondabili, inconoscibili, incommensurabili alla conoscenza umana, si rinuncia ad esercitare la libertà che poi si reclama astrattamente.
Sentirsi interiormente liberi non è un dato di natura, è una conquista quotidiana e richiede il coraggio, ma anche l'assunzione di responsabilità individuale, di decidere al di la di schemi ideologici, costumi, credenze e luoghi comuni.
Ogni scelta realmente libera è sempre creativa, mai ripetitiva, riveste i connotati della unicità, come unico è ciascun essere umano, ed è per il potere, qualunque esso sia, politico, religioso, scientifico, medico, sempre potenzialmente “eversiva”, perché lo mette in discussione.
Alla legge dovremmo chiedere unicamente che renda possibile e realizzi le condizioni di base, materiali, affinché la libertà e la realizzazione dell'individuo possa realizzarsi.
L'ultima cosa che dovremmo accettare o richiedere è una legge prescrittiva, che “permetta” qualcosa; dovremmo accettare unicamente leggi che vietano comportamenti lesivi della vita in comune, della libertà altrui.
Può sembrare una distinzione sottile, persino speciosa, ma credo sia l'unica via per rendere sempre meno opprimente un sistema che si illude di regolare tutto e in realtà genera disastri umani e ambientali.
Nessuna legge può certo vietare il suicidio, ma in fondo neppure l'omicidio, visto che continuano ad avvenire; la legge può solo evitare che l'omicida reiteri l'azione (e non sempre ci riesce), e in questo consiste la sua utilità. Ogni eccezione la snatura, come la pena di morte, in cui lo Stato compie ciò che vieta, o la guerra, in cui uccidere è obbligatorio.
Il fatto che si chieda di essere “assistiti” persino per suicidarsi ci deve comunicare che la malattia è dell'intero tessuto sociale, del modello di vita e di valori dominante, ci deve far riflettere sul fatto che è sempre più necessario e urgente cercare risposte sul senso, sull'essenza della vita, della morte, della salute e della malattia.
Le domande che ho posto all'inizio sono solo propedeutiche, perché man mano che ci si immerge in esse, altre se ne affacciano, e forse è preferibile appassionarsi a questa ricerca piuttosto che seguire con ansia gli istogrammi degli spread e dei MIBTEL dell'umana impotenza, questa sì, senza scopo.
Anche nell'assistere una persona che muore e che soffre possiamo provare impotenza e anche sofferenza, ma da esse possiamo trarre la forza e il coraggio di affrontare i temi che qualcuno vorrebbe insondabili alla conoscenza umana.
E tutto ciò non ci impedisce certo di provare compassione per chi non trova una soluzione esistenziale soddisfacente, anzi ci fornisce argomenti per fare letteralmente “appassionare” alla vita e alla libertà qualcuno che ci è vicino sofferente.
Solo dopo avere affrontato domande come quelle poste all'inizio ognuno potrà decidere “in scienza e coscienza” se ad esempio nascere in provetta, alimentarsi con cibi transgenici manipolati in laboratorio, assumere farmaci chimici sempre più dirompenti, sostituire i nostri organi come pezzi di ricambio, e infine morire con una iniezione di pentobarbital sodium, come un condannato a morte, il tutto mentre anche la natura intorno a noi degrada e muore anch'essa e le TV sfornano numeri demenziali di indici di Borsa... ognuno, dicevo, potrà decidere se tutto ciò e molto altro ancora che sembra attenderci sia ancora attinente la categoria dell'umano.